La legge di Stabilità passa al Senato, ed adesso riprende il suo iter alla Camera.
Votazione convulsa ed agitata, quella del Senato della Repubblica, che di certo non sarà ricordata come esempio di stringente rispetto delle opposizioni. Il Presidente dell’assemblea, Piero Grasso, ha dato il via alle operazioni, protrattesi per molte ore, allo scopo dichiarato di completare il percorso della legge in tempi brevi, certi, incalzanti. Una notte molto agitata quella di Palazzo Madama. Le opposizioni si sono mosse in ordine sparso. Forza Italia, prima abbandona aula e lavori, poi si riposiziona sugli scranni e vota negativamente. Movimento 5 stella e SEL invece parlano di dittatura morbida, considerando l’uso della Fiducia, che di fatto azzera le possibilità dell’incidenza delle opposizioni, poi si riferiscono al presidente Grasso intimandogli la responsabilità di avere fatto votare un testo incompleto. E’ di tutt’altro avviso il premier, da cui il ruolino di marcia è giunto: <<abbiamo fermato l’assalto alla diligenza>>, pratica quella a cui si riferisce Renzi di inserire emendamenti fuorvianti ed utili all’interesse di pochi, con lo scopo di far saltare l’impianto della legge. Dello stesso avviso il ministro Padoan, il quale sottolinea come avere impossibilitato la correzione della legge, di avere permesso solo emendamenti governativi e poco altro, servirà <<a dare credibilità all’Italia sul panorama internazionale e sui mercati>>. Indipendentemente che pensiate male o bene di Renzi, il premier dimostra indubbiamente poca affezione per le pratiche parlamentari, per le consuetudini costituzionali, insomma per tutto ciò che si frappone tra se ed i suoi obbiettivi. E’ pacifico riconoscere la voglia di velocizzare i tempi del governo, risulta però abbastanza illogico, almeno per ora, portare una legge alla Camera, dove potrebbe essere modificata, data la fretta elaborativa, per poi farla rispedire al Senato. Tutto ciò sarebbe evitato ponendo nuovamente la fiducia anche alla Camera, ma in pratica si costruirebbe una legge senza l’indispensabile ausilio, riconosciuto in Costituzione, delle minoranze.
Di questa legge, di ciò che socialmente produrrà, ne daremo conto, dicendo già da ora come è apparentemente inefficace ed insufficiente nel rilanciare l’occupazione e tutelare welfare e classi sociali più deboli, salvo palliativi.
In particolare però possiamo già darvi conto di un dato, che riguarda direttamente Telejato, e tutte le televisioni locali. Il governo, con un proprio emendamento, ‘congela’ i canoni per le frequenze tv: anche in riferimento al 2014 si pagherà come nel 2013. Una scelta, questa, che vuole “evitare una significativa riduzione di gettito per l’erario”, e che fa saltare anche il maxi-sconto in vista, da almeno 40 milioni di euro, per Rai e Mediaset. Non cambiano quindi, per ora, i metodi di calcolo del tributo in questione. Scelta in netto contrasto rispetto alle indicazioni dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. In base ai nuovi meccanismi, bloccati appunto dall’emendamento alla Legge di Stabilità, sarebbe aumentata la quota a carico delle società che gestiscono le torri di trasmissione, con una ricaduta immediata sui costi delle piccole realtà di provincia e dei mezzi di informazione di frontiera. Il pericolo tuttavia, da quello che è dato sapere, non è scampato, in quanto lo stesso sottosegretario Giacomelli ha chiarito che potrebbe vararsi un regime transitorio che dovrebbe far giungere comunque il sistema di calcolo dell’imposta nei limiti di quello fissato dall’Autorità. E’ illogico permettere che ciò accada quando è palese come realtà minori facciano parte del tessuto sociale di un territorio, e che possono essere lo sbocco delle migliori istanze, a cui i giganti dell’informazione non danno spazio, lasciando che si propinino reality e talk show spesso scissi dalla realtà.
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