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La corsa al Colle tra doping e sgambetti

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È un match senza esclusioni di colpi quello che si sta giocando tra partiti, correnti, leader e opinionisti per la corsa al Quirinale.

Due anni fa il Pd si è spaccato ed in 101 votarono contro Prodi e si andò irrimediabilmente verso il Napolitano bis, perché non si riuscì, o non ci fu la volontà di riuscire a trovare un altro nome. Oggi la sfida è ancora più grande; Renzi deve trovare un comune denominatore che riunisca tutte le varie correnti del Pd, e compattare civattiani, cupperliani, bersaniani e quant’altro. Comunque non basterebbe: anche se il premier riuscisse nell’impresa, mancherebbero minimo una sessantina di voti all’appello.

Tra Camera, Senato, delegati regionali e senatori a vita il Partito Democratico può contare su circa 450 voti. A partire dalla quarta votazione i voti necessari sono 505, contro i 672 della prima votazione. Sel è troppo debole e non ha i numeri per supplire alle mancanze, così come Ncd. Restano fondamentalmente Forza Italia ed il Movimento 5 stelle. Senza contare la possibile scissione interna al Partito Democratico, che farebbe perdere altre forze al Pd di Renzi.

Grillo si è espresso abbastanza chiaramente su cosa pensa di un possibile patto con il presidente del consiglio, dandogli del buffocello e chiedendo ancora di fare uscire la rosa di candidati per sottoporla alle votazioni in rete. “Il partito del Nazareno” l’ha chiamato Di Battista dal palco della notte dell’Onestà di Roma, riferendosi alla solida alleanza tra il premier e Berlusconi. I 5 stelle rifiutano di trattare sul nome del futuro Presidente, convinti ormai che sia meglio tenersi fuori dai giochi di potere tra i partiti tradizionali per cercare di rimanere “puri”. Renzi ha di fatto risuscitato politicamente Berlusconi, è chiaro a tutti. Ma Berlusconi non ha forse più le forze per controllare il suo partito. Ormai sono diverse le voci contrarie che si levano dal consueto coro, e Fitto capeggia l’ala dei contestatori; vuole smetterla di spalleggiare Renzi ed è contro alcune delle riforme a base del patto del Nazareno.

La Lega di Salvini si tiene lontana da tutti, cercando di riacquistare una verginità ormai perduta da tempo, e di farsi portavoce di coloro che si sentono sempre più lontani e mal rappresentati dal mondo dei politici in giacca e cravatta. Vendola propone una “nuova sinistra”, una sorta di Syriza italiana che raggruppi i dissidenti di sinistra del Pd, Sel, e Rifondazione. Un soggetto politico che si riappropri davvero delle tematiche di sinistra che vengono sempre più messe in disparte dai vari Parlamenti non eletti, e da un centro sinistra che si sposta sempre più verso il centro se non più in là. Subito uno dei possibili “padri spirituali” dell’ancor innato movimento, Stefano Rodotà, si è detto contrario, parlando di una forzatura. “Ci vuole pazienza e occorre ricostituire nel Paese un pensiero di sinistra”, dice: e si è fatto sempre più critico verso l’idea stessa di partito, ormai non più rappresentativo del popolo. Bisogna ripartire dalla forze attive nel sociale, e sono i movimenti come Emergency, Libera, Fiom, il futuro della politica.

Il mercato presidenziale è aperto. Ora ci saranno giornate di frenetiche offerte, proposte, possibili scissioni, tradimenti dell’ultim’ ora. Rabbie e attacchi. In attesa della prima votazione del 29.

In fondo, restiamo in Italia.

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Redazione

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