Le motivazioni addotte erano così fumose che i due sindaci venivano reintegrati con una sentenza del TAR Lazio, cui si erano rivolti, nel marzo 2015, ma venivano di nuovo e definitivamente “posati” con una sentenza del Consiglio di Stato nel settembre 2015. Le motivazioni erano che lo scioglimento può essere determinato anche sulla base di semplici sospetti, come misura di prevenzione. E siamo sempre lì, il sospetto che scavalca l’onere della prova e autorizza prima il ministro, e di conseguenza la Presidenza della Repubblica, e il potere politico, poi il la magistratura, e il potere giudiziario, ad emettere sentenze che stridono con i principi che regolano il diritto penale.
“La foglia di fico del codice penale che assolve o condanna, non giustifica ogni cosa” ha detto Fava… Uno che afferma che si farebbe trent’anni di galera per nascondere Matteo Messina Denaro, con il quale si è abbracciato, con cui hanno pianto assieme e che dice che, al suo posto ucciderebbe un figlio al suo cugino Lorenzo Cimarosa, che si è pentito, per convincerlo a non parlare, può ingenerare il sospetto di essere colluso con la mafia? Per Alfano ancora no. Siamo alle solite: in Italia esistono due pesi e due misure, figli e figliastri, e in questo caso sembra che la spiegazione sia data dal partito di appartenenza del sindaco di Castelvetrano, e della maggioranza che lo sostiene, ovvero il Nuovo Centro Destra che, guadacaso, è lo stesso partito di cui Alfano è il massimo esponente.
L’antimafia è bella, ma non questa. Quella.
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