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Due pesi e due misure

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Nell’agosto 2014, su proposta del ministro degli interni Alfano, sono stati sciolti i comuni di Giardinello e Altavilla Milicia sulla base di alcune intercettazioni dalle quali si evinceva il sospetto che sindaci e amministratori comunali fossero stati eletti con l’appoggio di elementi mafiosi.

Le motivazioni addotte erano così fumose  che i due sindaci venivano reintegrati con una sentenza del TAR Lazio, cui si erano rivolti, nel marzo 2015, ma venivano di nuovo e definitivamente “posati” con una sentenza del Consiglio di Stato nel settembre 2015. Le motivazioni erano che lo scioglimento può essere determinato anche sulla base di semplici sospetti, come misura di prevenzione. E siamo sempre lì, il sospetto che scavalca l’onere della prova e autorizza prima il ministro, e di conseguenza la Presidenza della Repubblica, e il potere politico, poi il la magistratura, e il potere giudiziario, ad emettere sentenze che stridono con i principi che regolano il diritto penale.

Il caso del consigliere Giambalvo di Castelvetrano, reintegrato, nel suo ruolo, malgrado le allucinanti intercettazioni che ne documentano i contatti con il capomafia locale, Matteo Messina Denaro, e lo sconvolgente servizio televisivo delle “Iene”, prese a pesci in faccia e malmenate, non solo a parole, da alcuni consiglieri comunali, e, se vogliamo guardare a qualche giorno prima, l’invito inascoltato fatto da Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia, a tutto il Consiglio Comunale a dimettersi per dare un chiaro segnale di presa di distanza da un individuo “sospetto” di collusione mafiosa, pone una precisa domanda, rivolta al ministro Alfano: perché, pur essendoci motivazioni ben più probanti di quelle di Giardinello e Altavilla, il comune di Castelvetrano non è ancora stato sciolto?

“La foglia di fico del codice penale che assolve o condanna, non giustifica ogni cosa” ha detto Fava… Uno che afferma che si farebbe trent’anni di galera per nascondere Matteo Messina Denaro, con il quale si è abbracciato, con cui hanno pianto assieme e che dice che, al suo posto ucciderebbe un figlio al suo cugino Lorenzo Cimarosa, che si è pentito, per convincerlo a non parlare, può ingenerare il sospetto di essere colluso con la mafia? Per Alfano ancora no.  Siamo alle solite: in Italia esistono due pesi e due misure, figli e figliastri, e in questo caso sembra che la spiegazione sia data dal partito di appartenenza del sindaco di Castelvetrano, e della maggioranza che lo sostiene, ovvero il Nuovo Centro Destra che, guadacaso, è lo stesso partito di cui Alfano è il massimo esponente.

L’antimafia è bella, ma non questa. Quella.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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