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Villa Santa Teresa è ormai senza soldi e piena di debiti: dopo 13 anni di amministrazione, lo stato ha fallito

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Villa Santa Teresa, senza soldi e piena di debiti. Il fallimento dello stato dopo 13 anni di amministrazione.

Rischia di chiudersi in un fallimento la clinica Villa Santa Teresa di Bagheria, da tre anni confiscata a Michele Aiello e affidata a un Consiglio di amministrazione formato da Giosuè Marino, da Giovanni Chinnici e da Luigi Croce. La gestione disastrosa dell’amministratore giudiziario Dara e, prima ancora, di Cappellano Seminara, ha lasciato una serie di debiti e di strascichi che gli attuali amministratori  non sono riusciti a ripianare. Si parla di 28 milioni, ai quali è da aggiungere il debito del mutuo acceso da Dara per una serie di lavori di ampliamento e di nuovi reparti, i cui lavori sono stati iniziati e mai completati, che portano a 36 milioni il carico di debiti da ripianare. C’è da aggiungere anche la somma di 150 mila euro per la truffa consumata per le tariffe gonfiate dal reparto di radiologia, nei confronti della Regione. Dopo una serie di contatti il debito è stato rinegoziato per 50 mila euro. Sino a quando la clinica era sotto sequestro, era possibile accedere ai soldi di Aiello, sequestrati e depositati sul F.U.G, che è il Fondo in cui vanno a finire i soldi liquidi e i depositi bancari sequestrati: adesso, dal momento della confisca, dovrebbe essere il prefetto Postiglione, che dirige l’agenzia dei beni confiscati a decidere se dirottare i soldi del FUG all’amministrazione della clinica, ma Postiglione, sino ad adesso ha fatto orecchie da mercante alla richiesta di 700 mila euro avanzata. È stato promesso un vertice, tra Postiglione, la Regione, i sindacati e l’Amministrazione ma al momento non si sa né quando, né se si terrà questo incontro. Postiglione, a partire dal prossimo maggio dovrebbe andare in pensione e forse non ha intenzione di impegnarsi su questa vicenda che vede avanzarsi minacciosamente lo spettro del licenziamento e della disoccupazione per 180 lavoratori. Intanto l’azienda, per quanto ancora lavori e offra prestazioni d’avanguardia, proprio per mancanza di soldi sta andando incontro al decadimento tecnologico e alcune sue attrezzature, come quelle dell’acceleratore radiologico di particelle, rischiano di essere superate da nuove attrezzature che non è in grado di acquistare. Probabilmente, vista la situazione debitoria, i lavoratori temono di non avere più lo stipendio a partire al prossimo mese.

La gestione allegra vede incredibili disparità tra primari e medici che ricevono tariffe superiori anche ai 5 mila euro mensili, e personale infermieristico e amministrativo, che si trova a essere minacciato da licenziamenti per esubero, dopo che negli anni scorsi erano state fatte circa 80 assunzioni di cui non c’era bisogno. Al momento della confisca Crocetta aveva pomposamente annunciato che la clinica, con l’assistenza della regione e con l’acquisizione della stessa alla gestione regionale, sarebbe diventata la perla della sanità siciliana. Sono passati tre anni e quella perla minaccia di diventare falsa come le perle delle collane cinesi. Tra le tante soluzioni escogitate per prendere in giro i lavoratori è stata prospettata quella della creazione di una cooperativa, nella quale ogni lavoratore dovrebbe impegnare una parte del proprio TFR, ma, al momento si tratta di fumose soluzioni che nascondono la volontà di chiudere senza bilanci e resoconti la gestione amministrativa attuale per arrivare poi al fallimento della cooperativa, mettere in vendita, anzi in svendita tutto e affidarlo nelle mani di qualche privato che potrebbe ricominciare, oppure chiudere quest’esperienza che, quando è cominciata, con i soldi d’Aiello, e quindi, della mafia, era una delle strutture sanitarie più importanti d’Europa e che oggi, dopo tredici anni di gestione dello stato, rischia di chiudere mestamente la sua esperienza e di lasciare senza cure e senza risposte le centinaia di malati che ogni giorno frequentano questa struttura e cercano risposte e cure alle proprie malattie.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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