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Terremoto al tribunale di Palermo. Era già stato previsto tutto

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Chi l’avrebbe mai immaginato che diversi magistrati del Tribunale di Palermo venissero messi sotto inchiesta all’interno di un indagine relativa alla gestione dei beni sequestrati (non confiscati come in molti continuando a sostenere) a dei presunti mafiosi?

Ha dell’incredibile quanto sta emergendo dall’indagine della procura di Caltanissetta. Un’indagine, che per la gravità delle accuse e i soggetti a cui sono rivolte è destinata a far discutere per molto tempo. E da raccontare c’è tantissimo.

C’è la storia di una “piccola” emittente televisiva che in tempi non sospetti e nel silenzio generale ha acceso i riflettori sulla gestione dei beni sequestrati e ha mostrato anche il dietro le quinte. Le cose peggiori. Storie di famiglie finite in strada a distanza di poche settimane, di amministratori giudiziari che percepivano parcelle milionarie, di giornalisti che hanno atteso alla finestra dimenticando il loro ruolo, di commercialisti, periti, avvocati, consulenti che ruotavano nel mondo dei beni sequestrati a dei cittadini non ancora mafiosi (e che talvolta non lo sono anche se si ritrovano, dopo diversi anni, con un azienda fallita nelle mani), di una Commissione Nazionale Antimafia che non ha voluto ascoltare e che ancora una volta delega e arriva dopo le inchieste giornalistiche e giudiziarie. Storie che la Sicilia non potrebbe permettersi, più. Spunta perfino l’ipotesi di un falso attentato e l’ipotesi di auto riciclaggio.

Il prefetto Caruso (ex direttore dell’ANBC) aveva denunciato le problematiche legate alla gestione dei beni sequestrati in Commissione Antimafia. Niente, non era successo niente. Anzi. Ora giustamente rivendica quanto fatto: “In tempi non sospettie in tutte le sedi istituzionali e nonho rappresentato tutte le criticità riscontrate” nella gestione dei beni sequestrati e confiscati “e proposto le relative soluzioni. Ora qualcuno dovrà giustificarsi e qualcun altro forse dimettersi…”. [1]

 

Chissà cosa penserebbero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino se sapessero del terremoto al Tribunale di Palermo. Chissà cosa scriverebbero giornalisti come Pippo Fava e Mauro De Mauro se fossero venuti a conoscenza che nel 2015, mentre in Italia mafie e corruzione sono diventati elementi costituitivi di questo paese, quattro giudici e parte della famiglia di uno di questi venissero messi sotto inchiesta a vario titolo per corruzione, induzione alla concussione, rivelazione di segreto d’ufficio e abuso d’ufficio.

Un anno e mezzo fa, Pino Maniaci e la redazione di Telejato chiedevano di essere ascoltati dalla Commissione Antimafia per approfondire il tema dell’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati. L’appello fu riproposto dopo qualche mese con il lancio di una petizione che raccolse 30.000 firme nel giro di pochi giorni ma  tutti fecero orecchie da mercante.  Nel frattempo sono accadute tante cose. Al frontman di Telejato, tra le altre, hanno impiccato due cani e lo stesso è stato denunciato per stalking dall’ Avv. Cappellano Seminara. Il “re” degli amministratori.

È una storia brutta e grossa questa. E il velo di silenzio che l’ha coperta ce lo ha confermato. Insieme a pochi giornalisti e giornali ne hanno parlato, anche “Le Iene”, che con i servizi televisivi andati in onda nei mesi scorsi ha provocato forte imbarazzo. Fonti ben informate dicono che le notizie pubblicate in questi ultimi giorni sono soltanto la punta di un iceberg molto profondo.

È stato un anno duro per l’antimafia. Inchieste e vergogne legate ad un giro di potere e di soldi. Di corruzione e favori che hanno mostrato la parte più marcia di questo paese. Staremo a vedere. Intanto abbiamo già perso, tutti.

[1] Ancora veleni menzogne e ombre, Telejato, 11 settembre 2015.
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Redazione

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