Il governo sta provvedendo a scrivere una nuova normativa che, per quel che se ne sa, e per quella che è la linea guida del governo, cambierà alcuni nomi ma, non la sostanza delle cose. Sinora ha funzionato secondo le linee simili a quelle dell’ufficio misure di prevenzione, ovvero la nomina, da parte del giudice di un commissario liquidatore, di un curatore e, se occorre, di un amministratore che si occupa della gestione dell’azienda in crisi per portarla definitivamente al “default”. Si tratta di professionisti iscritti all’albo degli avvocati o dei commercialisti di cui i tribunali si servono secondo il “metodo Saguto”, ovvero privilegiando sempre gli stessi nomi, ai quali vengono affidati decine di incarichi. Non a caso moltissime aziende sequestrate ai mafiosi sono finite in liquidazione. Il curatore si serve, per il suo lavoro di collaboratori, per lo più amici della sua cerchia o colleghi con cui ci si scambiano favori, decide come pagare i creditori, e, quando ne è capace,può anche preparare piani di risanamento per fermare il fallimento. Il curatore ha il compito di garantire l’interesse della massa dei creditori, anche mettendo all’asta i beni aziendali. In base al rapporto attivo-passivo viene poi stabilita la sua parcella che parte da un minimo di 800 euro circa.
Nei giorni dello scandalo, il 18 settembre scorso, e mentre il neo presidente del Tribunale, Salvatore Di Vitale, dettava le nuove regole per amministrare i beni sottratti ai boss, il Il dott. Fabio Marino, presidente della sezione fallimenti , appena insediatosi, assieme ai giudici delegati Monica Montante, Raffaella Vacca, Flavia Coppola, Mauro Terranova, Clelia Maltese e Giuseppe Sidoti diramarono una circolare per il “monitoraggio periodico degli incarichi” con una serie di norme che anticipano, per alcuni aspetti, la riforma governativa. È fissato anche il numero degli incarichi ma, come abbiamo scritto in un precedente articolo, ci sono tutti gli elementi per potere eludere le disposizioni, come si è soliti fare in Italia.
Qualche quotidiano online ha tirato fuori oggi che i giudici misure di prevenzione attingono ai nomi della Fallimentare anche per nominare amministratori giudiziari, ma si tratta della scoperta dell’acqua calda, perché da tempo abbiamo detto e scritto che il circuito dei cosiddetti “quotini“ è unico, che la rotazione degli incarichi avviene all’interno dello stesso cerchio chiuso, che c’è un esercito di gente che ormai ha costruito il suo lavoro, la sua ricchezza, la sua alterigia e la sua boria di classe padrona sulla distribuzione delle varie porzioni della torta dei beni sui quali si allunga la mano e la giurisdizione del tribunale, dai beni sequestrati a quelli mesi in liquidazione. E non ci si illuda che, una volta avviate le procedure fallimentari tutto sia chiuso: i tempi per risolvere una liquidazione si aggirano dai dieci ai 15 anni. Nel 2013 a Palermo sono state presentate 974 domande di fallimento, si è arrivati alla dichiarazione di fallimento solo per 355 aziende e ci sono ancora, ma si tratta di un dato di due anni e ci sono 3.440 cause da definire.
Come si vede i tempi della giustizia sono lentissimi e non si può mettere mano a una riforma cambiando qualche nome, ma assumendo gente che sappia venire incontro alle normali, ma anche alle drammatiche vicende di chi, a seguito di qualcosa che non ha funzionato, è stato costretto a svendere tutto e a vedere per sempre scritto sulla fronte il marchio di “fallito”.
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