Si tratta di una cava di pietrisco, in territorio di Montelepre, già di proprietà di Giacomo Impastato, detto “u Sinnacheddu”, lontano parente di Luigi, il padre di Peppino Impastato. Da lui è passata al figlio Luigi, ucciso a Cinisi il 23 settembre 1981, nel corso della guerra tra i seguaci di Badalamenti e i Corleonesi. La gestione effettiva della cava è stata portata avanti dall’altro figlio Andrea, al quale il 22 febbraio 2008 vengono sequestrati beni per 150 milioni di euro riconducibili, secondo le indagini, a Bernardo Provenzano e a Salvatore Lo Piccolo, dei quali Andrea sarebbe un prestanome, attraverso il suo compaesano Pino Lipari, accusato di essere ministro dei lavori pubblici di Provenzano. In realtà molti di questi immobili sono stati realizzati dagli Impastato grazie alla loro intraprendenza e alle loro capacità imprenditoriali, ma, secondo le indagini della G.d.F. sono emerse ombre sulla lecita provenienza dei capitali investiti.
Il provvedimento si riferisce a innumerevoli immobili e appezzamenti di terreno da Carini a San Vito Lo Capo, il Mercatone Uno di Carini, cinque ulteriori aziende, tutte del mondo dell’edilizia, la più grossa delle quali è la Medi.Tour, che si occupa della gestione della cava di Montelepre, ma c’è anche la IN.CA.S, la “Prime Iniziative”, la Paradise. A San Vito, in contrada Calamancina c’è il residence “Il Baglio”, con 27 villette.
Amministratore giudiziario dei beni, e quindi anche della cava viene nominato uno dei pupilli della dott.ssa Saguto, regina della sezione “misure di prevenzione”, Salvatore Benanti, un commercialista con studio a Palermo in via Vincenzo Di Marco. In passato, tra i vari incarichi a Benanti nel 2004 era stata affidata l’amministrazione giudiziaria dei beni di Rosario Alfano, un imprenditore ebanista di 71 anni, trasferitosi da Bisacquino a Palermo, proprietario di Torre Artale. Troviamo il suo nome persino in un sequestro giudiziario a Sant’Agata Militello (Me).
Benanti avuto occasione di dimostrare di avere buone conoscenze quando, ottenuta l’amministrazione dei beni del costruttore, Francesco Sbeglia, di Palermo, nel 2010, al Centro Excelsior (Hotel Astoria) mandò, a un incontro con alcuni imprenditori che volevano collaborare alla gestione dei beni, lo stesso Sbeglia. In tal caso, grazie alla protesta dei tre imprenditori, gli venne revocato l’incarico, ma solo quello, in quanto non gli venne meno la fiducia della dott.ssa Saguto. Non si conosce il numero di incarichi, ma corre voce, che abbia dilapidato cifre altissime nella gestione del Mercatone, sede a Carini, più volte sull’orlo della chiusura. Il suo nome non è venuto fuori nemmeno nelle polemiche seguite alle dichiarazioni del prefetto Caruso. Tra gli incarichi c’è la Costruzioni Amato s.r.l.: il decreto di sequestro dell’intero capitale, composto da quote appartenenti a D’Asaro Carlo e Amato Giovanni e dell’intero complesso aziendale avviene il 16 settembre 2008: il giorno dopo viene firmata la nomina di Benanti come amministratore giudiziario e curatore speciale. Qualche anno prima gli era stata affidata la EdilMilvar di Conti Rosa, sequestrata con decreto del 28 giugno 2006, in pregiudizio di Ponziano Innocenzo, con relativo complesso dei beni aziendali, e di ogni accessione e pertinenza.
Andrea Impastato ha quattro figli, due dei quali, Luigi e Giacomo, dipendenti della cava. Nel 2011, su decisione del tribunale, i due fratelli vengono licenziati, ma non si perdono d’animo e creano una nuova società, la Icocem, con sede a Carini, riconquistando, a poco a poco, buona parte del mercato che si riforniva nella loro ex cava. I fratelli denunciano al magistrato diversi tentativi di richiesta del pizzo e iniziano una fitta collaborazione con le autorità. Da parte sua Benanti, che si presenta una volta ogni tanto alla cava di cui è amministratore, in una sua relazione accusa gli Impastato, diventati suoi diretti concorrenti, di associazione mafiosa. Con strana sollecitudine il tribunale dispone il sequestro della Icocem, la dott.ssa Saguto ne affida l’amministrazione al solito Benanti, il quale mette in liquidazione la società che è chiamato ad amministrare e che è vicina alla cava, ormai diventata “sua”. Nel frattempo vengono licenziati i 20 operai che lavorano nella cava, e alcuni vengono riassunti “a tempo”, secondo le richieste di materiale da parte delle imprese di costruzione del territorio. Uno degli operai che ha lavorato ala cava afferma ed è disposto a testimoniare che qualche anno fa sarebbe stato disposto l’interramento di rifiuti tossici all’interno della cava, coprendo poi il tutto con terra e con la piantumazione di stelle di alpine: al giardiniere che avrebbe svolto il lavoro di abbellimento sarebbero stati pagati 18.000 euro. È un’informazione sulla quale sarebbe opportuna l’apertura di un’indagine.
Gli Impastato intanto presentano ricorso, con una loro relazione, nella quale è dimostrata la tracciabilità e la regolarità di tutte le operazioni che hanno condotto alla creazione della loro società, ma l’udienza, che avrebbe dovuto svolgersi ad ottobre, per indisposizione della dott.ssa Saguto è rinviata, dopodiché c’è stato un ulteriore rinvio e un altro ancora, sino ad arrivare ai nostri giorni, allorché è stata chiesta una proroga dagli Impastato, al prossimo novembre, per predisporre e presentare una perizia di parte diversa da quella presentata dai periti nominati dalla Saguto.
Il compenso di Benanti per l’amministrazione delle aziende sequestrate si aggira sui 20-25 mila euro al mese per le sette aziende da lui amministrate, e se sommiamo questa cifra per otto anni ci rendiamo conto che ormai si tratta di una cifra vicina ai due milioni di euro, in pratica un ricco stipendio che ormai sembra essere un vitalizio. La sola Icocem di cui ormai non esiste quasi più nulla, gli frutta 8 mila euro ogni tre mesi. A 5 mila euro l’anno vengono invece affittate le villette di San Vito il cui valore di locazione, specialmente nel periodo estivo, può anche arrivare a mille euro la settimana. Per amministrare tutto ciò Benanti si serve di coadiutori, il cui stipendio mensile si aggira sui 3 mila euro. Tra questi ha un ruolo importante, come direttore della cava, Grimaldi, figlio di Fulvio, Cancelliere dell’ufficio misure di Prevenzione, cui è stato ucciso il figlio, anche lui direttore di una cava, la Buttitta, amministrata da Cappellano Seminara. Nella gestione della cava, specie nel trasporto del materiale edile si è preferito lasciar marcire i mezzi in dotazione e affidarsi ai cosiddetti “padroncini”, cioè a proprietari di altri mezzi, che lavorano con altre cave, poiché si ritiene che il noleggio dei mezzi ha costi inferiore all’uso dei mezzi di proprietà della cava. Il poco personale rimasto si lamenta delle videocamere di sorveglianza, disseminate dappertutto, della poca disponibilità di spazi, pieni di mezzi inutilizzati e abbandonati, della facilità con cui vengono erogate sanzioni e multe a lavoratori il cui torto è quello di chiedere di far valere i propri diritti, dell’obsolescenza dei mezzi di lavoro e della mancanza di sicurezza.
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