Intercettazioni dalle quali si evince che è un suo pupillo devotissimo, che ha fatto la tesi di laurea al figlio di lei Elio, scapestrato e svogliato per ammissione della madre, che si è procurato per fargli avere tutti e otto i punti dei docenti per la laurea, che ha mandato, su spinta della Saguto un mellone al prefetto di Palermo Francesca Cannizzo per ingraziarsela e chiedere la sua forte intercessione onde ottenere la nomina di amministratore del centro Cara di Mineo, dove si parcheggiano da molti mesi circa 3000 migranti, per i quali lo stato paga 38 euro al giorno e la prefettura due euro e cinquanta a testa.
Il giro ha funzionato così: Saguto ha fatto la segnalazione del nome di Provenzano alla Cannizzo, la quale ha fatto qualche telefonata a Roma ed ha ottenuto una risposta positiva. Pareva fatta, al punto che, telefonando alla Saguto Provenzano arriva a dirle: “Prima di festeggiare, un bacio sulla bocca ti dò.” Un giornale scrive che ha avuto tre incarichi di amministratore giudiziario, un altro sostiene che ha avuto incarichi e richieste di consulenze, da parte di amministratori legati alla Saguto. È possibile che sia stato il trait-d’union, la longa manus, il punto di collegamento, tra gli amministratori e la Saguto. Del resto era uno di quelli che organizzava e che teneva dotte relazioni al corso di formazione per amministratori giudiziari che ogni anno si tiene presso l’Abbazia Sant’Anastasia di Castelbuono, dove era presente tutta la corte della Saguto, come ho scritto altrove.
Provenzano, quarantenne ricercatore universitario dell’Università Kore di Enna, quella di Crisafulli, laureato in economia e commercio è un esperto, a quanto pare, dalle sue pubblicazioni, soprattutto in lingua inglese, di problemi commerciali, di economia aziendale e di strategie economiche, se si preferisce, di marketing.
La Saguto ha una grande stima del professore, afferma che insegna in tre università, ma in realtà, a parte qualche incarico a Palermo, il suo posto è a a Enna. In un articolo pubblicato pochi giorni prima che scoppiasse la bomba, su “La Repubblica”, che ormai è schierata con i lecchini del potere, si può leggere, nella pagina di Palermo, quasi nascosto e ripreso poi a pag. 15 un articolo del nostro studioso, dal titolo “La guerra sui beni sequestrati” in cui egli dimostra di essere vicino, come del resto ci è stato confermato da una delle tante vittime dell’operato degli amministratori giudiziari, all’ufficio misure di prevenzione e cerca in tutti i modi di difendere l’operato di questo settore scrivendo un mucchio di scemenze, camuffate da qualche termine inglese, tanto per dimostrare una sapienza che non c’è.
Intanto non si sa di che guerra si tratti, almeno che non si voglia chiamare guerra l’operato, senza alcuna limitazione e con molto arbitrio, di chi procede con disinvoltura al sequestro dei beni ritardando con rinvii continui il momento in cui il sequestrato dovrebbe far valere le sue ragioni e dimostrare l’estraneità al sodalizio mafioso. È una guerra che ha in partenza un vincitore, ovvero chi usa i poteri dello stato. In tal modo si assicura un permanente reddito all’amministratore nominato e al suo gruppo di amici, a spese dell’azienda sequestrata, sino a produrne il fallimento. Provenzano si è inventato un termine, la psychological operation per dire che gli stakeholders, cioè i detentori di interessi leciti e illeciti, lavorano sotto sotto per causare tensioni, depressioni, difficoltà psicologiche di ogni tipo ai poveri amministratori giudiziari, che si trovano a giocare “una partita simile a quelle di calcio in terza categoria: la tensione si avverte con l’ingresso nel paese e chi sta sugli spalti è pronto a fare continue invasioni di campo”.
Che cazzo vuol dire? A volere trovare un significato pare che si voglia dire che l’impresa sequestrata prima, vedi un po’ non aveva controlli, adesso sì, prima non era in regola, adesso sì, prima non pagava i dipendenti, adesso sì, anzi, questi cattivi sono loro a chiedere di essere pagati e messi in regola. Sarebbe lungo elencare tutti i casi di dipendenti ed ex dipendenti da amministrazioni giudiziarie che aspettano di essere messi in regola e di avere pagato numerose mensilità, ma figurarsi se dall’alto della sua sedia il dottor Provenzano può conoscere tanti di questi casi umani: il giudizio di questo leccatore dell’ultima ora è impietoso; sono tutti mafiosi o amici dei mafiosi.
Addirittura scrive: “una serie di sanzioni e prescrizioni si abbatte contro l’amministrazione giudiziaria e contro l’azienda”. Te lo immagini? Il tribunale nomina il suo amministratore, che opera in stretta collaborazione con chi lo nomina, e invece, secondo il Provenzino diventa vittima del suo stesso ruolo. E dietro questa povera vittima inesorabile ci sta la solita mafia che invia numerosi clic dopo il sequestro agli operatori dentro e fuori l’impresa: “il sequestro è ingiusto, a brevissimo si risolverà la causa e tutto ritornerà al suo proprietario”, “il sequestro serve ad arricchire gli amministratori giudiziari e fa fallire l’azienda”, “la giustizia divina farà il suo corso”.
In pratica i due amministratori giudiziari catanesi di cui qualche giorno fa abbiamo dato notizia, che incassavano 40 mila euro al mese a testa, sono dei poveracci, così come il bisogno di credere che possa esistere una giustizia che metta a posto le cose, sono tutte minchiate messe in giro da mafiosi, ma anche, guarda un po?!!! Da gente come quella di Telejato, che intralciano l’operato lineare e coraggioso della giustizia in una terra dove “fare impresa”, secondo alcuni settori deviati della magistratura e degli investigatori, significa scendere per forza a compromessi con la mafia.
In realtà, caro Provenzano Carmelo, noi non abbiamo accesso alle colonne di La Repubblica, perché non lecchiamo.
Ma ci permettiamo di dire, nel nostro piccolo, che non è così e che i tuoi amici amministratori giudiziari non sempre sono vittime del dovere, ma quasi sempre creano vittime a causa di una legislazione esistente solo in Italia, che andrebbe profondamente rivista. Vuoi vedere che, secondo te facciamo gli interessi non dei lavoratori, ma dei mafiosi, mentre tu che hai capito tutto fai gli interessi del miliardario Cappellano Seminara?
È probabile che Provenzano si sia trovato in un gioco più grosso di lui e che abbia creduto che, in nome della legalità, dell’antimafia e della tutela dei rappresentanti della giustizia avrebbe potuto far carriera. Intanto apprendiamo che l’università di Enna ha aperto un’inchiesta sul nostro bravo prof. e sospettiamo che i suoi consigli agli amministratori non siano poi tanto qualificati, dal momento che quasi il 90% delle aziende sotto sequestro sono fallite.
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