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Il Gruppo Imprenditoriale Rappa

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Il sequestro dei beni sequestrati

Il nonno – Le vicende giudiziarie del gruppo Rappa costituiscono un caso davvero anomalo: il 28 marzo 2014 la DIA di Palermo pone sotto sequestro un ingente patrimonio immobiliare e societario facente capo all’imprenditore Rappa Vincenzo, nato a Borgetto (PA) l’8/4/1922, deceduto il 28/3/2009. Secondo il  Direttore della DIA, Arturo De Felice, e il  capocentro di Palermo Giuseppe D’Agata, attraverso una serie di indagini economico-patrimoniali, il defunto imprenditore palermitano avrebbe accumulato i suoi beni grazie a un fitto reticolo di interessi finanziari e societari, sia nel settore dell’edilizia privata, sia in quello dei pubblici appalti, condotto con esponenti di autorevoli famiglie mafiose.

Rappa Vincenzo, arrestato assieme al figlio Filippo nel 1997, è stato condannato, in primo grado, a otto anni di reclusione, e, con sentenza nr. 994/2004 divenuta definitiva 1’8 novembre 2007, a quattro anni, perchè ritenuto colpevole del delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Ad accusarlo alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Salvatore Cancemi e Giovanni Brusca, Antonino Avitabile, Calogero Ganci, Francesco Paolo Anzelmo, Nino Galliano.

Il processo in Corte d’appello ha chiarito che Rappa non era organicamente inserito in “Cosa nostra”, ma che, attraverso i contributi economici derivanti dalle sue attività avrebbe contribuito, come concorrente esterno, a rafforzarne l’apparato strutturale, in un primo momento con il pagamento di tangenti, successivamente con il versamento di ingenti somme di denaro, grazie alle quali avrebbe avuto in cambio la possibilità di realizzare importanti operazioni immobiliari, accaparrandosi importanti commesse e realizzando lauti profitti. Il mafioso Raffaele Ganci sarebbe stato il punto di contatto per una serie di rapporti e di organica collaborazione con “famiglie” mafiose, come quella della Noce, di Resuttana e dell’Acquasanta, per il tramite di quella di Borgetto, di cui era capo Francesco Rappa, che non è un parente. Nel processo è stato prosciolto da igni imputazione il figlio Filippo, padre dei due giovani imprenditori eredi dei beni sequestrati. Proprio in quella sentenza era scritto: ”si esclude all’evidenza che vi siano state immissioni di denaro proveniente da attività illecite di” Cosa Nostra nei circuiti leciti del gruppo imprenditoriale Rappa. Va pertanto disposta la revoca della confisca con conseguente dissequestro”. In sostanza Rappa aveva dovuto piegarsi, nel 1999 alle estorsioni, cioè aveva fatto “elargizioni” (pizzo) alla consorteria mafiosa,  dopo avere fatto negli anni svariate denunce alle Autorità giudiziaria, rimaste impunite, e dopo numerosi attentati dinamitardi.

I nipoti

Quando tutto pareva finito, venerdì 28 marzo, nel quinto anniversario della morte del nonno Vincenzo, ultimo giorno utile, servendosi della normativa che, dal 2011 consente di aggredire tutti i beni già in capo al soggetto condannato per mafia, entro i cinque anni dalla data del suo decesso, il Tribunale di Palermo, Sezione Misure di Prevenzione, Presidente Silvana Saguto, condividendo le risultanze investigative evidenziate dalla DIA, supportate peraltro dalla sperequazione finanziaria rilevata nei confronti di Rappa Vincenzo, nonché nei riguardi di Rappa Filippo, cl 1943 (figlio) e di Rappa Vincenzo Corrado, cl 1973 e Gabriele cl 1976 (nipoti), ha emesso il provvedimento di sequestro che ha colpito gli immobili e le aziende acquisite dagli eredi e/o quelle che si sono sviluppate da imprese riconducibili al capostipite della famiglia. Nessuno degli eredi Rappa è indagato, ma il patrimonio ereditato avrebbe beneficiato del “rapporto preferenziale instaurato con Cosa nostra”. Nell’azione della DIA ha avuto un ruolo centrale un colonnello della GdF, in forza alla stessa DIA, F. Nasca, grande amico della Saguto. Il sospetto che l’operazione sia stata concordata a tavolino è troppo forte.

I beni

Sul valore dei beni sequestrati i giornali hanno fatto stime diverse, ma comunque si parla di un valore che va dai 600 agli 800 mila euro: ville, edifici, terreni,, la concessionaria di pubblicità Pubblimed, le concessionarie di auto, con sede a Isola delle Femmine e Catania, che commercializzano marchi di lusso come Bmw, Mini e Jaguar. Sotto sequestro anche il palazzo del TAR di via Butera, che pare possa essere stato acquistato con soldi provenienti dalla malavita organizzata, nonché alcune palazzine liberty del centro ed alcune ville tra Mondello e l’Addaura. Bloccate inoltre alcune società immobiliari che fanno capo ad una holding milanese.

Ha colpito soprattutto il sequestro di TRM, una delle prime emittenti televisive private in Sicilia, fondata da Filippo Rappa nel 1976: nel 1984 Filippo Rappa, che aveva assunto la guida della tv, siglò l’accordo con il gruppo Fininvest di Silvio Berlusconi cedendo al network nazionale di Retequattro alcune frequenze televisive. Una circostanza che, anni dopo, sarebbe finita in diversi processi di mafia, da quello a Marcello Dell’Utri, amico di vecchia data dei Rappa, a quello agli stessi imprenditori, padre e figlio, poi arrestati nel 1997. Vincenzo Rappa senior aveva subito un sequestro di dieci miliardi di lire, poi restituiti e attualmente nelle mani di banche creditrici.

Nel frattempo i due nipoti giovani, Gabriele e Vincenzo, hanno costruito proprie attività imprenditoriali, fatturando cifre consistenti e dando lavoro a circa un centinaio di dipendenti e sono andati avanti rifiutando qualsiasi contatto con Cosa Nostra. Tra l’altro il sequestro dei beni Rappa era già proposto una prima volta ma la proposta era stata rigettata.

Il sequestro del sequestro

Il 23 febbraio 2015 il tribunale misure di prevenzione di Palermo ha reiterato il sequestro dei beni del gruppo Rappa, già decretato un anno fa, con l’aggravante che i Rappa sono ritenuti “socialmente pericolosi” e con l’accusa che  non avrebbero avuto «disponibilità economiche lecite idonee a giustificare la legittima provenienza dei beni a loro intestati». Da un anno la difesa dei Rappa ha prodotto una mole di documenti e dichiarazioni dei redditi che dimostrano come i Rappa abbiano costruito il loro patrimonio fuori dall’influenza e da eventuali capitali mafiosi attribuibili al padre: l’imminente sentenza della Cassazione potrebbe disporre la restituzione, ma proprio per far fronte a tale eventuale atto, il tribunale, con un atto di strategia forense che rischia di sembrare persecutoria, ha riproposto il sequestro con una nuova imputazione fatta a Filippo Rappa, che sarebbe l’intestatario fittizio dei beni di suo nonno, molti dei quali acquistati o realizzati dopo la sua morte: cambiata la motivazione cambia il procedimento e inizia un nuovo processo, che, attraverso i soliti rinvii di 90 giorni allungherà di alcuni anni i tempi dell’amministrazione giudiziaria, garantendo a chi l’effettua un lavoro quasi stabile. Un atto davvero inusuale da parte della dott.ssa Saguto, che sfida apertamente le decisioni processuali per portare avanti, in qualsiasi modo le proprie decisioni e giustificare il proprio operato.

L’amministratore giudiziario

I beni sotto sequestro sono stati affidati al giovane amministratore giudiziario Walter Virga, lo stesso che amministra i beni della famiglia Giardina, proprietaria dei negozi Bagagli. Walter, titolare di uno studio legale a Palermo, è figlio di Tommaso Virga, presidente della seconda sezione penale del Tribunale di Palermo, componente del direttivo della Associazione Nazionale Magistrati ed ex-componente del Consiglio Superiore della Magistratura, per la corrente Magistratura Indipendente. Insomma uno dei magistrati palermitani più autorevoli, che da voci raccolte e non confermate, avrebbe evitato alla dott.ssa Saguto un procedimento disciplinare. È vero che, nel momento in cui Telejato ha tirato fuori questa notizia, si trattava di una illazione, di un’insinuazione fondata sul principio, tipicamente siciliano di “na manu lava l’autra e tutti dui lavanu a facci”, ma, con lo scoppio dello scandalo alle misure patrimoniali Virga è finito nella bufera, si è dimesso, il padre è sotto procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale e l’amministrazione giudiziaria è stata affidata all’ex prefetto Isabella Giannola (quella dei Rappa) e all’avvocato di fiducia del presidente Mattarella, Coppola (quella Bagagli).

La lettera

Con la nuova decisione del tribunale, per i Rappa si ricomincia da capo e si continua all’infinito. In una lettera pubblicata da Live Sicilia (24 febbraio) Vincenzo Rappa scrive:

“Ed a proposito di verità, ho riflettuto molto in questo lungo periodo, in cui sono stato privato del mio lavoro (per cui ribadisco ho sacrificato tutta la mia vita: lavoro da oltre 23 anni in modo onesto e libero) e non riesco a dimenticare il boato delle due bombe fatte deflagrare nel 1986 dai “mafiosi” davanti le porte della casa in cui all’epoca abitavo. Non dimentico neanche che ho per anni diretto un telegiornale imprimendo sempre una linea editoriale di contrasto duro alla criminalità mafiosa ed al contempo ho sempre denunciato minacce e danneggiamenti ricevuti alle Autorità competenti alle quali ho fornito piena e concreta collaborazione.”

La vicenda della famiglia Rappa sembra chiudersi definitivamente il 16.12.2015, allorché la Corte di Cassazione di Palermo dispone il dissequestro, giudicando illegittimo l’operato dell’Ufficio misure di prevenzione diretto da Silvana Saguto. 

Da ricordare che ai Rappa appartiene TeleMed, legata a Telejato per intervento del ministro Passera, a seguito di 70 mila firme per scongiurarne la chiusura, e che il terzetto Saguto-Nasca-Virga, con la collaborazione dell’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, ne avevano disposto, nel luglio passato la chiusura, per far chiudere anche Telejato.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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