L’esposto parte dalle origini dell’attività giornalistica portata avanti dall’emittente diretta da Maniaci, nel 1999 e dalle finalità civili che si è riproposto da sempre il tipo di giornalismo portato avanti da attraverso la denuncia di “fatti riguardanti la criminalità organizzata” in una zona ad alta densità mafiosa “in un contesto “difficile” per chi intende fare giornalismo in maniera tutt’altro che deferente e ossequiosa verso i potentati locali”, sottolineando che, “se, da un lato, questo tipo di attività ha fatto guadagnare a Telejato l’attenzione e l’appoggio, non solo morale, dei tanti cittadini onesti – che vi hanno visto un baluardo contro la prepotenza, il malcostume e l’impunità dei boss mafiosi, piccoli e grandi – dall’altro, ha scatenato la reazione di chi vi ha visto un “elemento di disturbo” per un gattopardesco equilibrio di potere ritenuto immutabile. Si fa riferimento a una serie di attentati cui l’emittente è stata sottoposta, nella persona del suo gestore e sottolinea la particolare attenzione rivolta nei confronti di alcune discrasie e di alcune “vittime”, da parte dell’Ufficio misure di prevenzione, a partire dal 2010. Vengono ripercorse anche le numerose inchieste che hanno evidenziato il “monopolio” delle amministrazioni giudiziarie”, affidate a poche persone nelle grazie della dott.ssa Saguto, e legate ad incarichi e consulenze concesse, in questo settore al di lei marito Lorenzo Caramma. “Quello che si scorgeva – si legge nella denuncia – appariva come un sistema riguardante una rete di “intoccabili”, sia per il potere che rivestivano, sia per il ruolo di “garanti della legalità” che veniva loro unanimemente riconosciuto. Il messaggio che si ricavava da tali risultanze – per cui un’impresa funziona e dà lavoro finché è gestita dal privato, anche se appartenente a Cosa Nostra, mentre è costretta a chiudere i battenti quando viene rilevata e gestita dallo Stato – era troppo destabilizzante per essere taciuto, ed ha assunto rilevanza nazionale con la trasmissione del 15 maggio 2015 fatta dalle “Iene” su “Italia uno”. Maniaci denuncia che alcuni Magistrati, con appartenenti alle Forze dell’Ordine, nonché il Prefetto di Palermo dott.ssa CANNIZZO erano indebitamente a conoscenza dell’inchiesta della Procura di Palermo che lo riguardava avendo avuto modo “di leggere sulla stampa, fra l’altro di un’intercettazione, pubblicata dal quotidiano “la Repubblica” in data 27 ottobre 2015, in cui il Prefetto di Palermo, Francesca CANNIZZO, chiedeva al Giudice Silvana SAGUTO: “Ma che tempi abbiamo per Telejato?”, domanda alla quale la dott.ssa SAGUTO rispondeva: “Ha le ore contate”. Maniaci ipotizza che le sue recenti vicende giudiziarie, ovvero le denunce per estorsione, possano avere come possibile causa una rivalsa nei suoi confronti, da parte dei magistrati e delle persone di cui ha denunciato il malaffare”
Leggiamo: “Tutto questo, nonostante lo scrivente abbia impegnato gli ultimi venti e più anni a denunciare proprio fatti di tale gravità, all’ordine del giorno nel contesto socio-politico in cui vive. È pertanto di solare evidenza la gravità dell’accusa che mi è stata mossa nel detto procedimento 3643/13 Palermo, perché nella pubblica opinione accostare una persona di origine siciliana alla commissione di fatti di estorsione, equivale purtroppo a qualificarlo come “mafioso”. Precisa che solo in data 4 maggio 2016 gli è stata notificata un’ordinanza di divieto di dimora nelle province di Palermo e Trapani, e che solo in quel momento ha avuto formale conoscenza della esistenza di un procedimento penale a suo carico, mentre la stampa era a conoscenza da prima di un vero e proprio “spot promozionale” dell’inchiesta a suo carico, con tanto di firma rappresentata dal logo dell’Arma dei Carabinieri di Palermo, che altro non era che il suggestivo ed artificioso montaggio di intercettazioni telefoniche ed ambientali, tratte evidentemente dagli atti processuali, e maliziosamente giustapposte ad immagini di repertorio “estratte” da varie trasmissioni televisive – locali e nazionali – cui io egli aveva partecipato, il tutto “confezionato” con un sapiente montaggio al solo evidente fine di denigrare la persona, visto che venivano inseriti nello “spot” anche intercettazioni e filmati televisivi che non avevano alcuna rilevanza penale.
Nel filmato il sottoscritto – nella prima parte – avvertiva il Sindaco di Borgetto (PA) che il Prefetto era in procinto di inviare al Ministero dell’Interno una relazione con cui avrebbe chiesto lo scioglimento del Consiglio comunale a causa della presenza di alcuni elementi “attenzionati” dalle Forze dell’Ordine (alcuni consiglieri ed assessori comunali, ritenuti “in odore di mafia”). Quindi, invitava il primo cittadino a prendere le distanze da quegli elementi e a non “sbagliare” più. “Poi – nella seconda parte di questo brano del video – è ripreso il momento in cui il Sindaco, in singolare “favore di telecamera” (postura del tutto anomala ed innaturale, nel contesto della conversazione, che fa sorgere il legittimo sospetto trattarsi di una “posa” assunta dal Sindaco De Luca, consapevole di essere ripreso dai Carabinieri previo concerto con gli stessi) ostenta la consegna allo scrivente della somma complessiva di € 466,00. Tale somma, come già spiegato nel corso dell’interrogatorio di garanzia al GIP, era composta da € 300,00 + IVA 22% = 366,00, oltre ad € 100 di arretrati, dovuti dalla moglie del Sindaco per l’utilizzo di spazi pubblicitari – in favore della sua attività commerciale – Telejato.
Nella denuncia si accenna anche alla vicenda dell’epiteto dato a Renzi, confrontato con la deferenza in occasione della sua telefonata di solidarietà e alla vicenda dei cani impiccati, “inserita nello “spot” e, perciò, illegittimamente diffusa attraverso varie trasmissioni televisive, il sottoscritto parlava dell’orrenda uccisione ed impiccagione dei propri cani, cui era molto affezionato, ad opera di ignoti, ipotizzando in una telefonata confidenziale con la predetta propria conoscente, che il responsabile fosse stato il di lei marito. Ed ancora una volta, nello “spot” qui denunciato, tale spezzone di intercettazione veniva accostato ad un’intervista televisiva rilasciata dallo scrivente, in cui si attribuiva ad ignoti mafiosi la responsabilità dell’uccisione dei cani. Accostamenti e montaggi suggestivi con l’evidente scopo di far apparire lo scrivente come un imbroglione profittatore, sulla scorta del malizioso accostamento fra uno sfogo privato, contenuto in una intercettazione di nessuna rilevanza penale.
Si evidenzia tuttavia in questa sede che tale artificioso, malizioso e spregiudicato accostamento di captazioni di porzioni di conversazioni non contestualizzate, e relative a discorsi privati e che comunque esulano da qualsiasi rilevanza penale, è stato compiuto ed utilizzato proprio per far apparire lo scrivente come – secondo una locuzione ormai in voga nel novero degli insulti giornalistici – un “professionista dell’antimafia”, e cioè come un soggetto che sfrutta indebitamente ed indegnamente il proprio impegno nella lotta alla mafia per trarne vantaggi personali. Nulla di più falso, lesivo ed offensivo per il sottoscritto che, negli ultimi 17 anni, ha speso ogni sua energia per denunciare il sistema mafioso che ammorba il nostro amato territorio siciliano, ed il malaffare che si cela – quello sì – dietro una facciata “antimafia”. Maniaci definisce il video “Una vera e propria” operazione di killeraggio mediatico-giudiziario”, della quale sono stato vittima e per la quale chiedo giustizia, e ritiene di poter fondatamente sostenere che “dietro” il descritto “killeraggio mediatico” ed anche l’indagine che mi vede protagonista a Palermo, vi siano precisi “input” provenienti dalla Dott.ssa Silvana SAGUTO e l’avv. CAPPELLANO SEMINARA, desiderosi di vendicarsi delle mie ostinate e pervicaci indagini giornalistiche volte a smascherare il malcostume che – fino all’intervento cautelare di codesta On.le Procura di Caltanissetta – si celava dietro i sequestri “antimafia” e la relativa gestione e amministrazione giudiziaria. Maniaci ipotizza pertanto il reato di violazione del segreto istruttorio, fa riferimento alla sua richiesta di essere informato dell’esistenza di indagini nei suoi confronti e richiama un processo a Roma, a proposito della Ecorec, di proprietà di un rumeno, Dombrowski, al quale egli aveva presenziato e, nel corso del quale Cappellano Seminara aveva presentato nei suoi confronti una denuncia per stalking. Più precisamente, egli scrive, quel che pare evidenziarsi è l’esistenza di un accordo illecito e delittuoso che ha legato sino ad ora alcuni importanti rappresentanti delle Istituzioni, e per di più delle Istituzioni poste a presidio della giustizia e della legalità, che hanno asservito la loro pubblica funzione al perseguimento di interessi privati, a scapito ed in danno dei cittadini italiani e non solo, tra cui il predetto Victor DOMBROVSCHI. Costoro hanno mosso i loro potenti “fili” per infangare, screditare, delegittimare l’odierno denunciante, secondo il più classico “stile mafioso”. In altri termini Maniaci chiede alla Procura di Caltanissetta di sapere come mai la Saguto è venuta a conoscenza di un’indagine a suo riguardo e si riserva di rivelare altri elementi d’accusa ed’indagine quando sarà interpellato.
Nei prossimi giorni la denuncia verrà depositata al tribunale di Caltanissetta per ragioni di competenza funzionale e per connessione con il procedimento tuttora aperto da quella Procura nei confronti dei due denunciati e si aggiunge così un altro tassello alla difesa di Maniaci, dopo la denuncia da lui fatta nei confronti dei carabinieri di Partinico, accusati di avere confezionato e diffuso il video infamante.
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