Ricordo di Felicia a 18 anni dalla sua morte
Oggi Felicia sarà ricordata nel corso del Telegiornale di Telejato sul canale 184 del digitale, su smart tv in tutta la Sicilia al canale 15 (tasto centrale telecomando>Telejato) e in mondovisione sul sito e sull'app di Telejato
“Se tra le donne siciliane ce n’è qualcuna che merita un ruolo di primo piano nella lotta contro la mafia, per la sua modestia, per la sua decisa volontà di denunciarne i delitti, di accettare la sofferenza senza rassegnarvisi, per la sua insistenza nel volere un paese e una società più puliti, questa è Felicia Bartolotta”.
(Salvo Vitale: “Nel cuore dei coralli”, Rubbettino 2002, pag. 186)
Chi era
Sono ormai 18 anni che Felicia ci manca. Le vicissitudini della sua vita sono in parte raccontate nella sua autobiografia “La mafia in casa mia”. Felicia Bartolotta, nata il 24 maggio 1916 proveniva da una famiglia piccolo borghese: il padre lavorava al Municipio, ma era anche proprietario di terre e case: non aveva rapporti con la mafia, anche se un suo fratello, Rosolino, emigrato in America, era diventato un gangster, con il curioso soprannome di Semibruno. Costui aveva sposato Anna Rubino, figlia di parenti mafiosi di Terrasini: in seguito al mancato saldo di una partita di wisky, il padre di Anna aveva ferito, a colpi di pistola, Pietro, fratello di Rosolino, e quest’ultimo, per vendetta, aveva ucciso il suocero e i due cognati: nella sua testimonianza “La mafia in casa mia, curata da Umberto Santino e Ana Puglisi, Felicia ricorda l’episodio: «Ora, sua moglie capiva che suo marito aveva ragione. Ché suo padre era soverchioso, era abusivu (prepotente). Gli amici lo nascosero. Agli amici lei diceva: «Perché non devo fare pace con mio marito? I miei avevano torto». Insomma, poi fecero pace, marito e moglie, perché si volevano bene pazzamente, perché lei pure veniva da una famiglia mafiosa. Perciò, «tu mi tincisti e io ti mascariai (tu mi hai tinto e io ti ho macchiato)» Sposò Luigi impastato, cognato di Cesare Manzella, capomafia di Cinisi negli anni ’50, deceduto nel 1963 a causa di un attentato dinamitardo. Ebbe tre figli, Giuseppe, Giovanni (morto ancora bambino) e Giovanni, cui venne dato il nome del fratello morto.
Sempre nello stesso libro Felicia racconta di suo marito che aveva un’amante e una notte, sorpreso dal marito di lei, scappò in mutande, bussando alla porta di casa. Felicia, che aveva intuito tutto, prese i suoi figli e andò a vivere a casa di suo fratello Matteo. Alcuni mesi dopo fu avvicinata un paio di volte da suo cognato, Cesare Manzella, il quale le propose di tornare a casa, perché Luigi era pentito, perché doveva pensare ai suoi due figli e perché non poteva vivere sulle spalle del fratello. Alla fine Felicia cedette, “ma il sangue rimase sporco, lo stomaco malato”.
Felicia impose subito al marito di non ricevere a casa latitanti e mafiosi. Quando Peppino crebbe, a causa delle sue scelte politiche, si trovò a vivere in una difficile lacerazione familiare tra un figlio ribelle e contrario alla mafia e alle sue collusioni e un marito violento e anche lui appartenente, anche se non è provato che lo fosse in modo organico, al sodalizio di Cosa Nostra. Dopo l’assassinio del figlio Peppino rigettò la cultura mafiosa della vendetta, costituendosi parte civile nel procedimento contro i responsabili dell’omicidio e contribuendo, con il suo coraggio e il suo impegno quotidiano, a smantellare il depistaggio sulle indagini, portato avanti, in un primo tempo, dalla magistratura e dalle forze dell’ordine, secondo cui suo figlio sarebbe morto nel corso di un attentato da lui stesso preparato. La Commissione Parlamentare Antimafia ha confermato, nel 2000 una serie di omissioni e deviazioni delle indagini, mentre il processo per la morte di Peppino Impastato si è concluso, dopo 22 anni dalla sua morte, con la condanna all’ergastolo di Gaetano Badalamenti, quale mandante dell’omicidio, assieme a Vito Palazzolo, condannato a 30 anni. Significativa e decisiva la testimonianza di Felicia al processo. Per il resto dei suoi giorni Felicia è diventata un punto di riferimento per scolaresche, visitatori vari, giornalisti, magistrati, che sono andati a visitarla per ascoltare la sua testimonianza e il suo costante incoraggiamento nella lotta alla mafia. E morta il 7.12.2004 lo stesso anno di Gaetano Badalamenti, a distanza di circa nove mesi, dopo aver visto morire gli assassini di suo figlio. Si potrebbe dire che li ha seppelliti uno dopo l’altro, mentre lei è rimasta viva e ha tenuto in vita la memoria di suo figlio. Alla fine ha vinto lei.
Su Felicia sono stati scritti diversi libri e realizzati alcuni filmati
BIBLIOGRAFIA:
“La mafia in casa mia” edizioni La Luna Palermo 1987 ( a cura di Umberto Santino e Anna Puglisi)
“Peppino è vivo” edizioni EGA Torino 2007 con alcune poesie dedicate a Felicia ( a cura di Salvo Vitale)
Mostra fotografica visitabile a Casa Memoria Cinisi ( a cura di Guido Orlando e Gabriella Ebano)
“Cara Felicia” Palermo 2005 ( a cura di Anna Puglisi e Umberto Santino)
“Felicia” tributo alla madre di Peppino Impastato – a cura di Salvo Vitale e Guido Orlando –edizioni Navarra – Palermo 2010
“Felicia”, La mafia uccide il silenzio pure, – film curato dal regista Gregorio Mascolo
“ Felicia”: fiction trasmessa a RAI UNO il 10-5-2016.
“Felicia e le sue sorelle” – Gabriella Ebano – edizioni Ediesse 2005, ripubblicato da Navarra editore nel 2016 col titolo “Insieme a Felicia”
“Io Felicia” – Mary Albanese – Navarra editore – 2022
Qualche mese dopo la morte di Felicia, ho scritto questa poesia, pubblicata nel mio libro “Svisature”.
STA LI’
Sta lì,
dietro i vetri della persiana,
tra la notte ed il giorno,
tra la pioggia e il sole,
nell’alternarsi delle stagioni,
prigioniera del suo male,
immobile nella sua solitudine,
a percepire ancora nel suo ventre
i movimenti bruschi
d’una gravidanza ininterrotta,
d’un figlio morto,
d’un altro figlio ucciso,
d’un figlio ancora vivo,
a cantare una nenia,
a preparare il pasto,
a lavare i panni,
a proteggere il ciclo evolutivo
del suo feto diventato uomo,
riconquistato alla vita
e irrimediabilmente perduto.
Sta lì
inquieta,
in attesa di notizie,
soddisfatta della condanna del boia,
esaltata dalla sua morte.
Le lame dei suoi occhi disorientano gli assassini,
non perdona, non piange, non invoca,
la sua rabbia è una corda tesa,
l’interno di un vulcano,
una bomba innescata sulla violenza del pianeta
Qualche volta prega senza convinzione.
Dalla porta socchiusa entrano i ragazzi,
lei si trasforma in oracolo, in maestra,
sapiente, signora del tempo
sul roveto dei suoi ricordi,
entrano i compagni e ridiventa madre,
la grande madre,
mater dulcissima,
splendida col suo mezzo sorriso,
esibisce la sua ferita aperta,
bambina indifesa,
terribile dea della vendetta.
Sta lì nel suo disprezzo per lo stato,
vittima di sporche manovre,
sacerdotessa dell’età dell’oro,
del tempo dell’anarchia
Dentro il suo pugno alzato
brucia la fiamma che rischiara il sentiero
d’un paese inesistente
senza ricchezza né povertà.
Sta lì ancora,
anche adesso che entro e non la trovo più.
Mi manca.
Cinisi 2005 – Salvo Vitale
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