Poi c’è stato bisogno di un po’ di spregiudicatezza, per piegare le regole e abbuffarsi di cemento. E la mafia è stata un’ottima maestra e non ha avuto alunni somari.
Poi si è reso necessario terrorizzare, destabilizzare per stabilizzare. E la mafia non ha avuto remore a fare il lavoro sporco. Non è schizzinosa.
Poi c’è stato e ancora oggi c’è un grande, enorme bisogno di soldi, di liquidità fresca da investire.
E la mafia a partire dagli anni Settanta, quando ha cominciato a trafficare in droga in quantità industriali, è diventata la più grande banca d’Italia, un elemento stabile nel computo economico del Paese, un tacito, astronomico contributo all’equilibrio del PIL.
Forse indispensabile?
Secondo i dati pubblicati nella relazione della Commissione Parlamentare Antimafia, presidente Pisanu, e ricordati dal collega del Sole 24 ore, Gianni Dragoni, nella puntata di Servizio Pubblico del 30 ottobre scorso, la Mafia SpA, cioè la holding criminale costituita da Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita ha un giro d’affari di 150 miliardi di euro l’anno. Quattro volte la manovra attuale della legge di stabilità di Renzi.
A conti fatti è quindi la prima società italiana, il doppio della Fiat e venti volte la Luxottica.
Se poi volessimo quotarla in borsa – ha spiegato ancora Dragoni – dovremmo calcolare i profitti perché il prezzo di borsa è un multiplo degli utili.
Nel rapporto annuale di Confesercenti l’utile di Mafia SpA si aggira attorno ai 105 mld di euro l’anno, 20 volte l’Eni, 33 l’Enel e sarebbe una cifra spaventosamente più grande anche se li si mettessero insieme. Stessa cosa se si assommassero gli utili di Telecom, Luxottica, Benetton, Pirelli, le società di Benetton, De Benedetti e Berlusconi. E nemmeno tutte le banche italiane messe insieme si avvicinerebbero alla ricchezza delle mafie.
In media una società italiana viene quotata con un prezzo calcolato in 9,9 volte i propri profitti.
Quindi Mafia SpA avrebbe un valore di 1.039 miliardi, cioè il doppio di tutte le 300 società italiane quotate che valgono 496 miliardi. E gliene avanzerebbero più di 500 miliardi da investire ancora.
“L’80% della Cocaina smerciata in Europa – ci spiega il procuratore – è gestita dalla ‘ndrangheta, il restante 20% circa, dai Casalesi. Il ventre molle dell’Europa è la Spagna, anche perché qui si sono trasferite intere colonie di Colombiani. Attualmente la Comunità Europea è, a mio avviso, solo un accordo economico e non ci sono politiche serie per il contrasto alle mafie e la sicurezza. Non c’è un sistema giudiziario adeguato, non ci sono norme antiriciclaggio efficaci, non esiste la possibilità di un arresto ritardato, vige ancora la filosofia del ‘meglio un uovo oggi che una gallina domani’, non è consentito effettuare intercettazioni in luoghi pubblici… In pratica l’Europa è per lo smercio della cocaina una grande prateria senza alcun limite di confini. Le frontiere sono un limite mentale solo nostro che per le mafie, per la ‘ndrangheta non esiste”.
Secondo il magistrato il fatturato della mafia calabrese si aggira all’incirca attorno ai 70/80 miliardi di euro l’anno che vengono investiti da Roma in su, in Europa, in Canada, in parte negli Stati Uniti, in Australia e persino in Africa. La Calabria e il Sud sono tagliate fuori anche dalla minima, seppur illecita, ricaduta del giro d’affari.
La matematica non è scienza da opinionisti. Ma sulla base dei numeri ognuno può farsi una propria idea.
Io penso che il vero motivo per cui oggi, considerati anche i ricorsi storici, l’Italia, nelle sue massime Istituzioni e nella maggior parte della classe dirigente, non trova il coraggio di chiedere la verità sulle stragi, non spinge perché si approvino leggi veramente efficaci per attaccare le mafie sui patrimoni, per concordare durissimi provvedimenti anche internazionali contro il riciclaggio, per cui ancora non ha fatto della lotta alle mafie una priorità vera è uno solo ed è persino banale: la “preziosa” ricchezza delle mafie.
Il procuratore Gratteri è un inquirente integerrimo. Se gli si chiede se l’economia della ‘ndrangheta condiziona l’economia del nostro Paese anche ai più alti livelli, ribatte di poter rispondere solo con le prove, ma la sua analisi non lascia scampo.
“La ‘ndrangheta sta comprando tutto ciò che è in vendita. Ristoranti, bar, alberghi, aziende… e insedia suoi prestanome al fine di rilevare poi completamente l’impresa. Si infiltra ovunque e l’economia è certamente drogata da questa concorrenza sleale. Ma c’è una cosa che mi preoccupa di più è il concreto rischio che si stia comprando pezzi di giornali e pezzi di televisioni così da poter orientare e manipolare il pensiero dei cittadini. Sopra i capi militari della ‘ndrangheta esiste un livello più alto di personaggi incensurati che comanda e sto parlando di imprenditori, medici, ingegneri, avvocati… insospettabili”.
E il sistema bancario italiano, quanto è inquinato dalla ricchezza della ‘ndrangheta?
“Io frequento tutti i paesi dell’America del sud, del nord e d’Europa e il sistema bancario più severo è quello italiano, quindi provi ad immaginarsi come sono gli altri. Le mafie tentano di infiltrarsi nelle piccole e medie banche. Nelle banche a carattere locale ci può essere maggiore contatto diretto con i vertici quindi queste possono essere più esposte e più a rischio. E’ difficile pensare che una mafia possa esercitare una notevole pressione all’interno di una banca che ha filiali in tutto il mondo. Anche perché non ce ne è bisogno. Le mafie intelligenti cercano di dare il meno possibile nell’occhio, non fanno gli spacconi, cercano di mimetizzarsi il più possibile, questo è uno dei motivi per i quali la ‘ndrangheta è diventata la più ricca. Ha sempre cercato accordi con lo Stato anche a costo di sacrificare 5-10 dei loro uomini che stanno in silenzio e scontano anche dieci ergastoli”.
Sono le famose trattative?
“Sì”.
Come è possibile che la terra di Dante, Galileo e Michelangelo sia arrivata a questo livello?
Perché non si fa ogni possibile sforzo in ogni modo e direzione per recuperare anche una parte di queste fantasmagoriche cifre e restituirlo all’economia legale del Paese?
Questa è la vera questione.
Questa è la vera origine della trattativa. Qui sta il punto.
Siamo ancora uno Stato di diritto che ha al suo interno un nemico terribile da sconfiggere o siamo diventati un tutt’uno con questa potenza economica che è anche un bacino costante di voti, un braccio militare alla bisogna, una forza imprenditoriale che non conosce crisi?
Siamo diventati stato-mafia o ancora peggio mafia-stato?
Il silenzio, l’indifferenza, l’inefficienza, l’incapacità dei governi almeno negli ultimi trent’anni a fronteggiare le mafie, a promuovere una legislazione antimafia davvero prorompente, a proteggere i suoi magistrati e forze dell’ordine sono una risposta già più che eloquente.
Non è un caso quindi che i magistrati che più si sono esposti in questi anni per cercare di arrivare a scardinare per via giudiziaria i gangli di questo sistema criminale siano oggi oggetto di spietate minacce.
La ‘ndrangheta in questi anni di egemonia ed esorbitanti ricchezze ha subìto un’evoluzione al suo interno.
Oggi, così come confermato anche nella sentenza META che ha portato alla pena definitiva i capi storici dell’organizzazione, si deve parlare di una “superassociazione” formata dai grandi capifamiglia che rappresenta la ‘ndrangheta visibile, in costante dialogo e persino per certi versi subordinata, alla ‘ndrangheta invisibile, fatta di insospettabili collocati all’interno della massoneria deviata e di altri centri di potere.
Questo è il vero volto delle mafie. Con queste mafie avviene la negoziazione economico-finanziaria a cui qualsiasi compagine politica è costretta a piegarsi. Questa è l’essenza della trattativa vera di cui quella a processo non è che la punta dell’iceberg, scoperta la quale però appare in tutta la sua nefandezza il corpo marcio della nostra falsa democrazia.
di Giorgio Bongiovanni- tratto da www.antimafiaduemila.com – 26 gennaio 2015
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