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Riforma della legge sui beni sequestrati e confiscati: le proposte di Telejato

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Al Presidente del Senato
Al presidente della Camera
Ai Gruppi politici del Senato e della Camera
Al Presidente della Repubblica
Alla Commissione Antimafia
Al Consiglio Superiore della Magistratura

Prima che la cosiddetta riforma sui beni sequestrati e confiscati, già approvata dalla Camera, passi al Senato, Telejato invita tutte le forze politiche e istituzionali a valutare suggerimenti e proposte che nascono da anni di inchieste sull’argomento, al fine di potere evitare le discrasie e i limiti che, ad oggi, hanno condotto a un quasi totale fallimento di quella che doveva essere la vittoria dello stato sulla presunta economia illegale.

Nella sua audizione presso la commissione regionale antimafia Raffaele Cantone (30 novembre 2015), responsabile Anticorruzione, ha detto che “quella dei beni confiscati è una grande occasione persa dallo stato, perché ci sono risultati molto modesti, se non negativi”, ed ha anche aggiunto che “La Sicilia dovrebbe essere in grado di lanciare un nuovo messaggio sull’utilizzo e la gestione dei beni confiscati”. Ma non vale lanciare un messaggio se nessuno lo ascolta e se è un messaggio scomodo per chi ha in mano le redini del potere e le muove solo per fare gli interessi di determinate caste (o cosche).

La redazione di Telejato, dopo avere sentito diverse associazioni antimafia, ha avanzato, ma senza alcun attenzione, prima alla Commissione Antimafia e adesso al Parlamento le seguenti proposte:

  • consentire l’immediato pagamento dei creditori dell’azienda sin dal momento della confisca, per evitare di causare il fallimento di aziende fornitrici legate all’indotto su cui l’azienda confiscata opera;
  • legare il momento del sequestro a quello dell’iter giudiziario, nel senso che non  si può procedere al sequestro di un bene se non è dimostrata, almeno nel primo grado di giudizio, la sua provenienza mafiosa;
  • consentire un solo incarico agli amministratori giudiziari e pertanto, servirsi a rotazione di un albo-elenco degli amministratori giudiziari;
  • fissare un tariffario delle prestazioni degli amministratori giudiziari e dei periti, con il rimborso delle parcelle a carico dello Stato, non delle aziende sotto sequestro. Tale tariffa può subire positivi aumenti in rapporto ad eventuale aumentata produttività dell’azienda;
  • svincolare le competenze di emissione dei decreti di  sequestro e quelle di nomina degli amministratori  dalle mani di un solo magistrato e allargarne la facoltà a tutti i magistrati del pool antimafia;
  • fissare con precise disposizioni il ruolo dell’amministratore giudiziario obbligandolo a presentare annualmente i bilanci , revocandogli l’incarico nel caso di gestione passiva non motivata adeguatamente e obbligandolo a risarcire i danni nel caso di amministrazione fraudolenta o di palese incapacità gestionale;
  • i beni sequestrati,  nel caso di proscioglimento delle accuse vanno restituiti nella loro interezza e nel loro valore iniziale. Lo Stato si farà carico di eventuali risarcimenti;
  • non consentire la reiterazione del provvedimento di confisca, sotto altre possibili imputazioni;
  • immediata esecuzione, non oltre un mese, del provvedimento giudiziario di conferma o di dissequestro e coordinamento dell’aspetto penale con quello di prevenzione, in modo da evitare discrasie. I casi scandalosi di rinvii, spesso di vari mesi, se non di anni, causati da ritardi, da malesseri e da altre scuse prodotte dal magistrato incaricato della prevenzione non sono  giustificabili, anche perché l’azienda sotto confisca corre il rischio di perdere il suo giro di affari o di essere messa in liquidazione da amministratori giudiziari che svendono beni immobili, attrezzature e macchinari a prezzi irrisori ad altre aziende sotto il loro controllo;
  • possibilità di revoca, su eventuale richiesta motivata, dell’incarico di amministratore giudiziario da parte di un magistrato inquirente diverso da quello che ne ha fatto la nomina e che è solitamente il giudice addetto alle misure di prevenzione;
  • utilizzazione del fondo già esistente (FUG) di qualche  miliardo di euro, attualmente congelato da Equitalia,  a sostegno delle aziende la cui amministrazione passiva non sia imputabile a cattiva gestione dell’amministratore;
  • non consentire la vendita a privati dei beni di titolarità dell’azienda sequestrata;
  • favorire, nei bandi per l’assegnazione, l’imprenditoria giovanile, le strutture cooperativistiche, i progetti che si occupino di agricoltura, con facili norme per accedere a forme di credito agevolato per l’acquisto di quanto serve a impiantare l’azienda;
  • consentire il ritorno alla gestione del bene a coloro che, dopo la fase processuale, abbiano dimostrato volontà e intenzione di continuare il tragitto di lavoro nell’ambito della legalità;
  • associare come collaboratore all’amministrazione giudiziaria il responsabile del funzionamento dell’azienda, cioè il suo proprietario, per assicurare continuità e gestione positiva;
  • cancellare la norma che prevede l’assegnazione di amministrazioni giudiziarie a Invitalia, un’agenzia che non ha niente a che fare con i beni sequestrati e che ha una sua precisa linea politica di riferimento.

La richiesta più importante è quella di distribuire l’immenso potere di cui dispone il singolo magistrato addetto alle misure di prevenzione, nell’amministrazione di un impero finanziario, utilizzando le competenze anche di altri magistrati, al fine di non strozzare ulteriormente, sino ad arrivare al collasso, la debole economia siciliana, nella quale, il settore dei beni confiscati, salvo pochissimi casi, ha accumulato fallimenti, gestioni poco trasparenti e disperazione da parte di lavoratori trovatisi sul lastrico. L’affidamento della gestione dei beni ai rampolli di una Confindustria apparentemente verniciata di antimafia, non è la soluzione del problema, ma sarebbe necessario, come già in qualche altra regione, organizzare corsi di formazione fatti da gente qualificata e che non siano occasione, come al solito, per distribuire il finanziamento del corso ai soliti “amici” e rilasciare, dopo le passerelle,  l’attestato a tutti, senza accertare l’acquisizione di competenze.

Partinico, 11/01/2016

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LA REDAZIONE DI TELEJATO
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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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