Non è tutto perché non si esclude che una parte di soldi siano tornati nelle tasche di Lo Sicco, ma questo è competenza accertarlo da parte della Procura della Repubblica. Finalmente. Nel 2013, a Turchio è subentrato Alessandro Scimeca, uno dei pupilli della Saguto. Per una quindicina di anni la gestione Turchio è filata liscia. Scimeca ha subito rilevato che l’ultimo bilancio approvato risaliva al 1997 e non c’era traccia degli incassi per l’affitto di 250 immobili, dove abitavano parenti e persone senza un documento a giustificazione della loro presenza nelle case. Altri immobili erano occupati da presunti proprietari che, in realtà avevano solo stipulato i preliminari di compravendita con le società di Lo Sicco. All’arrivo di Turchio nulla sarebbe cambiato, compresi i contratti in nero e la riscossione dei canoni di affitto da parte di terze persone. Il commercialista non è stato in grado di consegnare a Scimeca le chiavi degli immobili di cui non ci sono neppure i verbali di immissione in possesso, segno che, sostengono gli investigatori, tutto è rimato come prima. “Il dottor Turchio – si legge nella citazione firmata da Albo – è rimasto inerte rispetto al compito naturale del custode e amministratore, cioè immettersi nel possesso dei beni, preservare i frutti del bene in custodia, rendicontare la gestione, curare la contabilità”.
Fra la gestione da parte dell’imprenditore mafioso e quella dello Stato non c’è stata discontinuità. Il procuratore regionale della Corte dei Conti Giuseppe Aloisio e il vice Gianluca Albo oggi stanno passando a pettine fitto quella che è stata la cattiva gestione dei beni sequestrati, da parte degli amministratori giudiziari e li stanno chiamando a rispondere del loro operato. Sono una decina le amministrazioni giudiziarie sulle quali oggi stanno indagando i magistrati contabili: il sospetto è che siano stati applicati favoritismi nelle nomine dei consulenti, abusi nella gestione dei capitali sottratti ai boss, disinvolte transazioni e omissioni dei doveri fondamentali e dei compiti che dovrebbero essere svolti dall’amministratore giudiziario. Siamo certi che, se oltre alle dieci amministrazioni giudiziarie si controllassero tutte le altre, con il recupero delle somme che sono state dilapidate per distruggere i beni affidati dallo stato, ci sarebbe da risistemare buona parte della Sicilia, dalle strade, all’economia, alla disoccupazione. Ma questo rimane un sogno.
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