L’avanzata delle mafie pugliesi in Abruzzo e lungo tutta la costa adriatica nelle parole di Antonio Laronga, procuratore aggiunto di Foggia e autore del libro «Quarta Mafia, la criminalità organizzata nel racconto di un magistrato sul fronte».
La ricettazione da parte delle mafie cerignolane è alimentata da furti lungo tutta la costa adriatica fino all’Emilia Romagna. È uno dei dati che Antonio Laronga, procuratore aggiunto di Foggia e autore del libro «Quarta mafia, la criminalità organizzata nel racconto di un magistrato sul fronte», sottolinea nella videointervista che ci ha rilasciato a luglio in occasione della presentazione del libro a Vasto nell’ambito della rassegna «Scrittori in piazza» della «Nuova Libreria».
È un dato certo che molte piazze di spaccio del vastese e di altre zone dell’Abruzzo si riforniscono dai clan mafiosi del foggiano, sottolinea Laronga, e sono certi investimenti nella “economia legale” anche in Abruzzo, in particolare nella zona del pescarese. Riscontri su soggetti organici ai sistemi criminali pugliesi sono riportati nella ricerca coordinata dalla professoressa Lina Calandra dell’Università aquilana, di cui abbiamo pubblicato ampi stralci l’anno scorso, che ha evidenziato la presenza della mafia dei pascoli nell’Abruzzo interno anche in relazione ai devastanti incendi sul Morrone dell’estate 2017. «Nella zona del chietino per il pascolo ci sono grossi problemi: lì ci sono allevatori di Foggia e San Severo e fanno veramente un casino, al confine con il Molise. Ci sono degli allevatori poco avvezzi al rispetto delle regole e vanno su con animali malati. Più di una volta ci sono stati problemi di brucellosi e tubercolosi» è una delle testimonianze riportate nella ricerca da noi pubblicata il primo settembre dell’anno scorso.
Queste invece tre testimonianze riportate nella ricerca che pubblicammo il 15 settembre 2020.
«Il furto di bestiame «c’è sempre stato, è una piaga che è sempre esistita, ha un canale finale che è la macellazione clandestina ciò significa che ci sono dei mattatoi clandestini che operano tranquillamente, questo nel pugliese: nell’area garganica e sanseverina, quella è la zona più difficile questi furti sono sempre su commissione. Sono persone esperte perché non è una cosa facile rubare 30 mucche in una notte, sono animali indocili e pericolosi. Quindi chi lo fa sa bene come farlo, ha i mezzi e sa dove portarli per la macellazione, quindi c’è un canale attraverso il quale smistare gli animali».
«Qua vengono da Latina e da Foggia, portano gli animali alla montagna e a fine settembre lasciano gli animali incustoditi, abbandonati e vengono a fare i danni. Non c’è un controllo dei pascoli, il proprietario dovrebbe controllare, ma i proprietari si fanno vedere ogni tanto, e vengono e fanno danni, distruggono gli ortaggi. Siamo riusciti un giorno a rintracciare i proprietari e ci hanno aggredito dicendo che eravamo noi che dovevamo recintare l’orto. Soprattutto quando inizia il freddo, settembre-ottobre. Sono tutti di fuori gli allevamenti, noi non li conosciamo neanche. È una piaga grande».
«Prima venivano i foggiani e le aziende hanno tutte chiuso per la brucellosi e la tubercolosi. Io nel 2000 ho dovuto abbattere 138 capi, per un danno di 11mila euro».
Un’ulteriore conferma della penetrazione dei clan pugliesi in Abruzzo è riportata nell’ultima relazione della DIA, a cui abbiamo fatto riferimento nel precedente capitolo di questa videointervista, relativo alle mafie cerignolane: riportando le risultanze delle indagini che hanno portato ad eseguire provvedimenti cautelari il 17 gennaio 2020 la DIA evidenzia che hanno «riguardato un traffico di droga organizzato da due gruppi criminali armati, entrambi attivi dal luglio 2015, il primo operante nei territori tra Andria, Barletta e Cerignola (FG), l’altro nelle province di Foggia, Chieti e Pescara, nonché nei Paesi Bassi. L’inchiesta ha tra l’altro messo in luce il ruolo di un soggetto vicino al clan PIARULLI-FERRARO di Cerignola che fungeva da mediatore tra le due consorterie curando i rapporti con l’albanese a capo del sodalizio che provvedeva all’approvvigionamento della droga da Albania, Macedonia, Belgio e Olanda».
Ad aprile la Guardia di Finanza di Foggia e i Carabinieri di Bari hanno stroncato un traffico di rifiuti tra Puglia, Campania e la provincia di Chieti. Furono sequestrati beni mobili ed immobili, quattro quote societarie, 4 fabbricati, 9 terreni, 4 polizze vita e 38 rapporti finanziari per un valore di 1.635.000 euro circa. Oltre a 13.100 tonnellate di rifiuti speciali stoccati abusivamente in vari capannoni tra cui uno a Vasto, nella zona industriale di Punta Penna, di 1.250 metri quadrati. I rifiuti accumulati in maniera illecita, hanno sottolineato gli investigatori, anche a Vasto hanno reso l’aria irrespirabile nella zona. Suscita perplessità (e anche sconcerto) la circostanza che, come abbiamo riportato in molti articoli, sono almeno quindici anni che residenti, turisti, operatori economici e associazioni ambientaliste denunciano cattivi odori che creano malesseri nella zona di Punta Penna, e quest’anno ci sono state segnalazioni anche in centro città, ma finora l’unico atto ufficiale che fa riferimento ad «aria irrespirabile nella zona» è stato prodotto dalle forze dell’ordine pugliesi.
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