Le disposizioni generali li dava il marito, il boss Tommaso Lo Presti detto il corto o anche il pacchione, ma era donna Teresa a gestire le finanze e soprattutto la cassa assistenza dell’organizzazione per le famiglie dei detenuti. E dato che le risorse scarseggiavano, la manager di Cosa nostra aveva anche avviato una rigida spending review nella cosca. Così i tagli erano scattati su tutto, ma non sull’assistenza alle mogli dei carcerati. Solidarietà rosa mafioso. Il welfare di Cosa nostra resiste alle riforme. Ma, da stanotte, rischia il crac. Perché i carabinieri del comando provinciale diretto dal colonnello Giuseppe De Riggi hanno arrestato altre 38 persone, l’ultimo stato maggiore e l’ultimo esercito di Cosa nostra, che operava all’interno di due cosche agguerrite: quella di Porta Nuova e quella di Bagheria, cittadina alle porte di Palermo. La Direzione distrettuale antimafia ha fatto scattare un provvedimento di fermo, è stato firmato dal procuratore capo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Leo Agueci e dai sostituti Caterina Malagoli, Francesca Mazzocco e Sergio Demontis.
Donna Teresa è anche cugina di un altro boss di Porta Nuova, Tommaso Di Giovanni. Prima che anche lui finisse in carcere, assieme discutevano del bilancio di Cosa nostra. E la più lucida era sempre lei: “Per ora siamo combinati male”, diceva, raccontanto la situazione di molte donne di mafia alle prese con l’arresto dei mariti. Donna Teresa boss ma anche inedita sindacalista. E perorava qualche causa: “Quella ha bisogno per la bambina”. E lo diceva non con il tono della preghiera, ma del consiglio accorato al padrino. Quando poi anche Tommaso Di Giovanni è finito in carcere, le parole di donna Teresa sono diventate ordini, sono diventate il canovaccio dei nuovi investimenti della cosca. Uno su tutti, la vendita dei frutti di mare, vendita in monopolio a Palermo, scalzando tutti i concorrenti. Perché i proventi illeciti, dalla droga alle estorsioni, vanno investiti. Questo dice il nuovo corso di donna Teresa. Attenta alle esigenze delle altre donne di mafia, ma anche severa con loro. Un giorno rimproverò la moglie di un mafioso che si era permessa di andare direttamente da Tommaso Di Giovanni, senza passare per la scala gerarchica del clan. Disse: “Non ti devi allargare, perché sei andata da mio cugino a chiedergli i soldi? (…) Sono tutti in carcere, per ora siamo tutti combinati male”. Cosa nostra siciliana sembra davvero in difficoltà dopo la raffica di arresti e processi.
“Le indagini hanno però messo in risalto una grande capacità di riorganizzazione di Cosa nostra”, avverte il tenente colonnello Salvatore Altavilla, comandante del Reparto Operativo, che ha condotto l’inchiesta. Dal carcere, Tommaso Lo Presti aveva pilotato la nomina di un nuovo reggente per Porta Nuova, Paolo Calcagno, ma era soltanto un pupo nelle mani del vero padrino del clan, poco importa che fosse carcerato. Ci pensava donna Teresa a trasmettere gli ordini. “Questa inchiesta – spiega ancora il colonnello Altavilla – ha messo in risalto un pesante condizionamento di Cosa nostra sull’economia palermitana. Sono 27 le estorsioni accertate, gli operatori economici hanno collaborato, denunciando o ammettendo il ricatto mafioso. L’organizzazione puntava anche al controllo del mercato, nell’ambito del settore ittico, eliminando le ditte concorrenti a quelle mafiose”. Il business del frutti di mare fruttava davvero tanto ai boss.
“Cosa nostra è ancora radicata nel territorio – dice il procuratore aggiunto Agueci – quella di oggi è la sesta operazione antimafia nel giro di pochi mesi, effettuata dagli stessi magistrati della Dda e dagli stessi carabinieri. Le risorse a disposizione non sono tante, ma queste indagini dicono che lo Stato c’è, anche nei territori più difficili. Questa notte, al Borgo Vecchio, quartiere popolare
della città, tanta gente è scesa in strada per salutare due arrestati, che noi riteniamo personaggi di primo piano nella consorteria, Domenico e Giuseppe Tantillo. Ma lo Stato non si ferma di fronte alla riorganizzazione mafiosa”. I Tantillo sono titolari di un avviato chiosco che anima la movida palermitana, adesso sono accusati di aver retto le sorti del clan di Borgo Vecchio, una delle principali articolazioni del mandamento mafioso di Porta Nuova.
Tratto da palermo.repubblica.it
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