Necrologio per u zzu Binnu
Nel giorno del disastro ferroviario pugliese arriva la notizia meno tragica, ma che merita una qualche importanza, di un’altra morte, quella di Bernardo Provenzano. Aveva 83 anni. È morto all’ospedale San Paolo di Milano.
È vero che, già dai tempi della sua cattura, l’11 aprile 2006 già u zzu Binnu dava già segni di rincoglionimento, dal momento che si era ridotto a passare le giornate seduto alla macchina da scrivere a stilare “pizzini” per i suoi fedelissimi, con tanto di raccomandazioni, di benedizioni e di saluti religiosissimi. Il suo cibo ricottina fresca e cicoria, la sua lettura “La Bibbia”, tutta piena di sue annotazioni. “Voi non sapete quello che state facendo” aveva detto a coloro che lo arrestavano. 43 anni di latitanza e altri dieci di carcere duro che, alla fine hanno minato la sua robusta tempra. Diverse volte il figlio Angelo aveva fatto appello ai magistrati, affinché fosse portato in un ospedale per essere curato, ma dopo il consulto dei medici nessuno aveva voluto correre rischi. E così se n’è andato, in silenzio, con quello stesso silenzio nel quale ha trascorso la sua prigionia, senza sbruffonate, senza minacce. Dobbiamo dire, se dobbiamo essere criticati dai padrini dell’antimafia, con dignità. C’è una vertenza in corso, se considerare come il più grande mafioso Totò Riina o Binnu Provenzano. Di fatto erano “peri ‘ncritati”, tutti e due: con questo appellativo i mafiosi palermitani definivano i corleonesi, che avevano ancora le scarpe sporche della terra che lavoravano. E assieme hanno lavorato sino a quando, il 15 gennaio 1993 un gruppo di carabinieri non mise fine alla lunga latitanza della belva umana, Totò Riina. Molte ipotesi, molte insinuazioni, la più grave delle quali è quella che Riina sarebbe stato catturato per la delazione, o se si vuole, per il tradimento di u zzu Binnu, che non condivideva più la sua linea stragista e assassina. U zzu Binnu era invece più diplomatico: sapeva che con le istituzioni si discute, si tratta, ci si intende, bisogna trattare, “na manu lava l’autra e tutti dui lavano a facci”.
U zzu Binnu sapeva bene che non c’è bisogno di fare “troppu scrusciu”, troppo rumore, altrimenti i cani si scatenano e la vita diventa difficile. Bisogna invece intendersi, lavorare sotto traccia, tenere tutti i fili in mano e saperli sapientemente muovere. Tutto questo gli ha consentito di “regnare” per altri 13 anni dopo l’arresto del suo amico-nemico Totò u Curtu. Alla fine lo ha tradito l’amore per la sua compagna Saveria Palazzolo, che egli aveva conosciuto durante la sua latitanza a Cinisi e con la quale aveva deciso di vivere il resto dei suoi giorni, con la benedizione di Don Tano Badalamenti. L’amore, la necessità di trovare chi gli lavava maglia e mutande, il piacere di trovarsi nella sua amata Corleone, da dove poteva far tremare il mondo. C’è ancora chi ritiene che il capo dei capi sia Totò Riina, e che nessuno è stato ancora in grado di prendere il suo posto. Noi siamo dell’avviso che il più grande in assoluto, “the best”, la bestia, sia stato u zzu Binnu, con la sua strategica capacità di traghettare la mafia tra l’arcaico e il moderno, tra gli appalti e i traffici di droga, tra il turismo e le forniture mediche. Con la sua morte lascia un vuoto, per fortuna, incolmabile.
“Assabbenerica” per sempre, zzu Binnu. E, se ci riesci, chiama presto con te a u zzu Totò. Senza di voi la Sicilia sarà migliore.
Come sempre grande, però avrei usato “consegna” invece di “cattura”. Purtroppo lo Stato non poteva più aiutarlo per la sua malattia…
E mi perdoni l’annotazione, per l’immensa stima e gratitudine verso di lei.