Mediterraneo, cimitero e oblio. Sprofonda l’umanità
Una fitta al cuore. Dolore, immenso dolore. Centinaia, forse 500, forse di più. Vite spezzate, perse per sempre allo scrigno dell’Umanità. Ma già dimenticate, oblio totale.
È passata una manciata di giorni e i valzer di palazzo, il grigiore delle cancellerie, gli inutili lustrini e chiacchiericcio della “gente importante” ha spazzato via tutto. Volti, occhi, voci che non conosceremo mai. E che qualcuno, in una latitudine lontana continuerà ad aspettare. Senza mai sapere cosa è successo. Nei campetti di periferia, nei vicoli assolati dei paesi, negli angoli più diversi delle città, risuonano risate, grida, bambini di ogni età inseguono una sfera e – indossata una maglietta – sognano di essere Messi o, chissà, il nuovo Maradona. Sulle panchine dei parchi cittadini, nelle stradine delle campagne, in una stanza inondata di musicali e poetiche note, c’è chi sogna ad occhi aperti, chi sente il battito del proprio cuore più forte del rombo di un tuono. Quanti di questi sogni, di questi fili rossi, di queste esistenze non ci sono più, spezzati in fondo al mare? Quanti di loro hanno visto morire un familiare, quanti ricordano la bella Kandahar ormai solo pallido ricordo, quanti sotto le stelle scappavano dai deserti di sabbia ma soprattutto dell’economia, della finanza, dell’arricchimento di pochissimi ricchi alle spalle di milioni di poveri? Non lo sapremo mai. È una fitta al cuore che non va via.
“Strage in mare, è giallo” scrive in prima pagina Il Manifesto del 19 aprile. Ed un pugno allo stomaco colpisce violento, improvviso, spezza il fiato. E non si riesce a capire se son lacrime di dolore o di rabbia. O forse entrambi, drammaticamente mescolati nell’animo. Quante volte queste parole le abbiamo sentite in questi decenni? Quante volte ancora dovremo leggerle? Era il 1996, chissà quanti lo ricordano, l’Italia si preparava ai grandi cenoni, agli sfarzi di Natale e Capodanno. E affondava nel Canale di Sicilia la “nave fantasma”, la cui esistenza per anni fu addirittura negata. Senza la testardaggine indignata e appassionata di Dino Frisullo si sarebbe continuato a negare, all’infinito. 283 persone cancellate dalle cronache e dall’oblio. Passano pochi mesi e la Kater I Radesh avrà la peggio contro una corvetta della Marina Militare. Oltre ottanta morti, oltre 20 dispersi. Si ricorda la strage del 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa, ma l’elenco è in realtà sterminato, infinito … La rabbia, l’indignazione, il dolore che lacerano cuore e anima non bastano. Perché quei “gialli”, queste stragi che si ripetono (mentre scrivo arriva la notizia di un nuovo eccidio in fondo al mare) sono solo una parte della storia. L’altra parte è quella della fasciomafia romana (termine coniato dalla Procura di Roma all’epoca dei primi arresti), dei lager per migranti e dell’infinita catena di violenze, abusi e diritti negati (QUI e QUI ne sono stati riportati alcuni dei conosciuti a chi scrive) che ormai va avanti da decenni. Almeno dall’assassinio di Jerry Maslo (QUI), all’Emergenza NordAfrica del 2011 documentata da Stefano Mencherini con il film “Schiavi – le rotte di nuove forme di sfruttamento), dall’infinita vicenda del Regina Pacis di Lecce (riassunte proprio da Stefano Mencherini, autore nel 2003 di un documentario su quanto accadeva nel Cpt salentino, recentemente sul proprio sito) ai centri più o meno periodicamente chiusi per le disumane condizioni in cui son tenuti e allo schiavismo presente in tante Regioni. La stessa strage di Natale del 1996 e l’affondamento della Kader I Radesh non sono solo “tragedie improvvise”, ma raccontano quel che era. Ed è. Perché la corvetta della Marina Militare non si trovava lì casualmente e da sola, era un mattone di quel “muro di navi di guerra” (come lo definì Tommaso Di Francesco su Il Manifesto del 27 marzo 2007) davanti le coste albanesi per fermare i migranti diretti verso l’Italia. Persone distrutte e rovinate dal crollo delle “piramidi albanesi”, vittime della finanza creativa e dei suoi giochi. In quei mesi affondano le radici della successiva guerra contro i migranti, della propaganda delle destre e delle leggi criminogene anche della diversamente destra. E la strage di Natale del 1996 fece emergere “la prima fotografia della catena imprenditorial-criminale” delle mafie sulla pelle e la vita dei migranti. Narcomafie documentò nel settembre 1997 i fatti del Natale precedente. “La holding degli schiavisti” è l’inchiesta di Dino nel quale quella fotografia fu riportata con dovizia di particolari, documentata nei dettagli, raccontata squarciando ogni velo. Se si vuol conoscere gli antenati, la genesi, le radici di “Mafia Capitale”, dei colletti più o meno bianchi che prosperano e si arricchiscono nelle tratte dei migranti, del sistema di coloro che con una mano raccolgono ingenti finanziamenti pubblici e dall’altra confinano in luoghi a dir poco disumani e terribili i migranti (danneggiando migranti, res publica e coloro che quotidianamente costruiscono reali percorsi di accoglienza e convivenza con i migranti, garantendo dignità, diritti e onestà), quell’inchiesta è l’inizio obbligatorio.
In fondo al Mediterraneo, nei muri (reali e non solo) della Fortezza Europa, nel girare la testa dall’altra parte e nel farsi megafono di campagne di odio, disprezzo, caccia al “nemico”, sta affondando l’umanità. Ma nessuno si creda assolto, nessuno può pensare che basta scansare e non è minimamente coinvolto. Mentre costruivano legislazioni criminogene e repressive, mentre il migrante veniva “trasformato” in un pericolo per l’ordine e la “sicurezza”, hanno distrutto i diritti di tutte e tutti. Schiavi, Mare Nostrum, le inchieste sullo schiavismo, il ritorno del caporalato, lo sfruttamento criminale e mafioso, i luoghi senza alcuna dignità e umanità che più o meno periodicamente vengono scoperti e denunciati sono il barcone nella quale tutti siamo confinati dal Capitale.
Alessio Di Florio