Francesco Bonura, 78 anni, condannato definitivamente per associazione mafiosa ed estorsione a 18 anni e 8 mesi di carcere, lascia il carcere Opera di Milano dove era detenuto al 41bis. In questi giorni, il giudice di sorveglianza del tribunale di Milano gli ha concesso i domiciliari per motivi di salute. Ecco come ha motivato la sua decisione:
“Siffatta situazione facoltizza questo magistrato a provvedere con urgenza al differimento dell’esecuzione pena. Anche tenuto conto dell’attuale emergenza sanitaria e del correlato rischio di contagio, indubitamente più elevato in un ambiente ad alta densità di popolazione come il carcere, che espone a conseguenze particolarmente gravi i soggetti anziani e affetti da serie patologie pregresse”.
A darne notizia è L’Espresso. E così si aprono le porte del carcere per uno dei boss più influenti, che sarebbe malato e probabilmente anche più a rischio di contrarre il coronavirus. Anche se, secondo i suoi legali, l’emergenza sanitaria non c’entra nulla dal momento che il capomafia è stato operato di cancro al colon e “attualmente non è possibile apprestare le cure necessarie per il suo tumore”, motivo per cui sarebbero stati disposti gli arresti domiciliari. Finirà di scontare gli ultimi nove mesi di pena a casa sua, a Palermo, dove “non potrà incontrare, senza alcuna ragione, pregiudicati” ma potrà uscire ogni volta che occorrerà per motivi di salute anche dei familiari. Bonura, colonnello di Binnu Provenzano e uomo fidato dei boss palermitani, è stato uno dei più facoltosi costruttori del capoluogo siciliano, dove era considerato un punto di riferimento mafioso per il controllo di lavori pubblici e l’imposizione del pizzo. Tommaso Buscetta lo definiva un mafioso “valoroso”. A prescindere dal virus o dal suo stato di salute, a dicembre sarebbe stato comunque scarcerato per fine pena. Ma il dubbio sugli altri boss detenuti al “carcere duro” resta: e se, facendo leva sulla propria anzianità e sulle proprie condizioni di salute, sfruttassero l’emergenza sanitaria per uscire dalle patrie galere? Nelle scorse settimane, ricorda sempre L’Espresso, è stato posto agli arresti domiciliari dai giudici della corte d’assise di Catanzaro, anche Vincenzino Iannazzo, 65 anni, ritenuto un boss della ‘ndrangheta a capo del clan di Lamezia Terme. Il suo stato di salute è stato giudicato incompatibile col carcere in considerazione dell’attuale emergenza epidemiologica.
Ecco come la pensa Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria:
“Vi erano sicuramente altre soluzioni che avrebbero garantito il diritto alla salute ed alla carcerazione – ha detto -. Bastava trovare posti sicuri in centri clinici o in altri immobili di proprietà dello Stato dove sarebbero stati molto più sicuri dall’essere contagiati che ai domiciliari insieme ai famigliari. Lo Stato ha perso due volte: prima nel momento in cui non ha saputo difendere i cittadini dai criminali e secondo quando umilia le famiglie o chi ha subito i reati con la scarcerazione dei loro aguzzini. A breve – continua il segretario generale – potrebbero uscire personaggi del calibro di Leoluca Bagarella, i Bellocco di Rosarno, Pippo Calò, Pasquale Condello, Raffaele Cutolo, Teresa Gallico, Tommaso Inzerillo, Salvatore Lo Piccolo, Piddu Madonia, Giuseppe Piromalli, Benedetto Santapaola, solo per citarne alcuni degli oltre settanta che potrebbero avere i requisiti per ritornare a casa. Vanificato il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura per le uscite già da qualche giorno e per qualcuno da qualche settimana di personaggi meno noti ma sicuramente con un curriculum criminale di tutto conto. Che servissero provvedimenti di carattere umanitario che garantissero il diritto alla salute dei detenuti appare chiaro e avrebbero trovato la giusta natura in provvedimenti di clemenza rivolti a tutti quei detenuti immuni-depressi ed ultra settantenni, consentendo di trascorrere l’intero periodo di emergenza Coronavirus ai domiciliari, ma è sconcertante inserire in questi anche chi ha commesso reati gravissimi. Questo – conclude – rappresenta uno dei momenti più bui degli ultimi dieci anni della storia della politica carceraria italiana, che vede un passo indietro dello Stato di almeno 20 anni”.
Intanto il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria fa sapere di non aver “diramato alcuna disposizione a proposito dei detenuti appartenenti al circuito di alta sicurezza o, addirittura, sottoposti al regime previsto del 41bis”, chiarendo che “quella inviata il 21 marzo scorso agli istituti penitenziari è una richiesta con la quale, vista l’emergenza sanitaria in corso, si invitava a fornire all’autorità giudiziaria i nomi dei detenuti affetti da determinate patologie e con più di 70 anni di età. Un semplice monitoraggio, quindi, con informazioni per i magistrati sul numero di detenuti in determinate condizioni di salute e di età, comprensive delle eventuali relazioni inerenti la pericolosità dei soggetti, che non ha, né mai potrebbe avere, alcun automatismo in termini di scarcerazioni”. E conclude affermando che “le valutazioni della magistratura sullo stato di salute di quei detenuti e la loro compatibilità con la detenzione avviene ovviamente in totale autonomia e indipendenza rispetto al lavoro dell’amministrazione penitenziaria”.
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