Al soggetto sono stati sequestrati beni per 200 mila euro, tra i quali diversi veicoli e l’appartamento di Carlentini sito in zona Balate di Zacco, dove vivono la moglie e i figli, immobile che risulta ancora intestato all’impresa edile che lo ha realizzato. A conferma di ciò, le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia: “L’appartamento dove abita ancora oggi la famiglia Brunno è tuttora intestato al costruttore. Ma si tratta di un trucco finalizzato ad evitarne il sequestro da parte della magistratura; ciò mi è stato raccontato dallo stesso Brunno nel 2007-2008”.
Il provvedimento, ancora in fase di esecuzione, è frutto della sinergia tra la Procura della Repubblica guidata da Giovanni Salvi e la Direzione investigativa antimafia di Renato Panvino.
L’attività è stata avviata grazie anche all’arresto – compiuto eccellentemente dai Militari dell’Arma di Augusta in seguito alle denunce di alcune vittime – di tre uomini accusati del reato di estorsione aggravata con metodo mafioso ai danni di commercianti e ristoratori. I tre malviventi, Pippo Floridia, 59 anni di Lentini, Marcello Ferro, 54 anni e Giuseppe Petullà, 43 anni, entrambi di Augusta, avrebbero infatti chiesto il pizzo a piccole e medie imprese, per cifre annue che andavano dai 500 ai 6 mila euro, destinate a depositarsi nelle casse del famigerato clan Nardo.
Brunno, 56 anni, era stato inserito nella lista dei latitanti più pericolosi al Mondo ed è stato arrestato dopo delle complesse ricerche durate circa 5 anni. Il “boss” infatti, scomparve quando la condanna all’ergastolo dalla Corte di Assise di Appello di Catania divenne definitiva, nel 2009, rimanendo latitante fino al 2 ottobre 2014, giorno in cui fu arrestato a Malta durante un blocco in strada presso San Pawl Il Bahar, grazie agli uomini del Servizio Centrale Operativo (Sco) della Polizia in collaborazione con la Squadra Mobile di Catania e Siracusa. Quando gli furono chieste le generalità, mostrò dei documenti falsi intestati ad un palermitano di 49 anni.
Ora, sta scontando la condanna all’ergastolo per associazione mafiosa e concorso aggravato in omicidio, tra i quali quello di Nicolò Agnello.
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