«Questo è un libro prezioso, come tutti gli scritti che affrontano un tema ancora inesplorato – scrive don Luigi Ciotti nella prefazione del libro «Quarta mafia, la criminalità organizzata nel racconto di un magistrato sul fronte» – Sebbene infatti da oltre vent’anni le evidenze giudiziarie abbiano confermato la natura mafiosa dei sodalizi criminali foggiani, ad oggi non esistevano lavori organici che aiutassero a comprendere l’evoluzione e le peculiarità di questa organizzazione». Una mappa preziosa quella che il libro scritto dal procuratore di Foggia Antonio Laronga, edito da Paper First, consegna al lettore.
Nell’intervista realizzata lo scorso luglio, in occasione della presentazione del libro a Vasto(Chieti), Laronga ha sottolineato che le mafie garganiche sono state riconosciute come associazioni mafiose con sentenze definitive «la prima volta in un processo noto alle cronache come processo Iscaro Saburro, la cui sentenza è divenuta definitiva nel 2008». L’operazione Iscaro Saburro scattò il 23 giugno 2004 e colpì i clan della faida del Gargano. Una guerra mafiosa iniziata per questioni di abigeato il 30 dicembre 1978 evolutasi negli anni in lotta per il controllo del territorio, dell’estorsione, del racket, del riciclaggio, del narcotraffico, del contrabbando di sigarette e dell’usura. La strage di San Marco in Lamis, a cui ha fatto riferimento il procuratore Laronga nella prima parte di questa videointervista, viene inserita in questa faida ormai pluridecennale. L’ultimo omicidio di questa faida dovrebbe essere allo stato attuale datata 26 aprile 2019 quando a Vieste fu ucciso in un agguato Giacomo Perna, giovane boss dell’omonimo clan.
«La trasversalità dei settori interessati dall’infiltrazione mafiosa ha trovato un concreto e grave riscontro nello scioglimento del consiglio comunale di Cerignola che ha confermato l’indiscusso “controllo” del territorio da parte di quella mafia dotata di un’elevata capacità di controllo in un tessuto criminale eterogeneo» esordisce il capitolo dell’ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia dedicato alla mafia cerignola. «I clan di riferimento restano i PIARULLI e i DI TOMMASO – riporta la relazione della DIA – I primi, che mantengono il proprio vertice in Lombardia, operano per mezzo di referenti, oltre che a Cerignola, a Trinitapoli e Canosa di Puglia (BAT) e vantano alleanze con i gruppi garganici nell’area di Mattinata-Vieste Gli altri, con il recente ritorno in libertà di alcuni elementi di spicco sembrerebbero invece aver ripreso nuovo slancio dopo un lungo periodo in cui erano stati fortemente indeboliti dalle vicende giudiziarie e dalla cruenta contrapposizione con il clan ex PIARULLI-FERRARO».
«Svincolata dai legami familiari, che prevalentemente caratterizzano le altre associazioni foggiane, la mafia cerignolana si presenta come una organizzazione imprenditoriale dotata di risorse umane ed economiche che le hanno consentito, negli anni, di espandersi fuori regione, spesso infiltrandosi in modo silente in svariati settori economico-finanziari riciclando i capitali accumulati con le attività illecite condotte – l’analisi della Direzione Nazionale Investigativa Antimafia – Queste vanno dai traffici di armi e stupefacenti, per i quali la città di Cerignola costituisce un’area di snodo per tutta la Regione, a reati di natura predatoria (rapine ai tir, furti di autovetture e mezzi pesanti) per il compimento dei quali si assiste a una commistione tra criminalità comune e quella organizzata che rende di fatto difficile la differenziazione tra i due fenomeni».
L’inchiesta Kulmi-Shefi, si legge a pagina 240 della relazione, «ha confermato come la Puglia costituisca “la principale base logistica delle organizzazioni criminali albanesi per smerciare sostanze stupefacenti in tutto il territorio italiano”» e registra la «novità assoluta» rappresentata «agli esiti dell’attività svolta in territorio albanese, dove si è proceduto all’arresto di una coppia d’italiani che, per conto dell’organizzazione criminale, aveva il compito di condurre a Bari, transitando per la Grecia, un camper turistico che nascondeva mezza tonnellata di stupefacente destinato appunto al mercato italiano». La rans nazionalità, aggiunge la DIA, stata contestata anche ai componenti di una delle due organizzazioni criminali oggetto del provvedimento cautelare eseguito il 17 gennaio 2020 dalla Polizia di Stato, i quali sono stati ritenuti responsabili di associazione transnazionale armata finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Le indagini hanno riguardato un traffico di droga organizzato da due gruppi criminali armati, entrambi attivi dal luglio 2015, il primo operante nei territori tra Andria, Barletta e Cerignola (FG), l’altro nelle province di Foggia, Chieti e Pescara, nonché nei Paesi Bassi. L’inchiesta ha tra l’altro messo in luce il ruolo di un soggetto vicino al clan PIARULLI-FERRARO di Cerignola che fungeva da mediatore tra le due consorterie curando i rapporti con l’albanese a capo del sodalizio che provvedeva all’approvvigionamento della droga da Albania, Macedonia, Belgio e Olanda».
La relazione riporta anche come siano stati «diversi e significativi» i provvedimenti che comprovano «la rilevante presenza di armi, anche da guerra, nel territorio pugliese11, in molti casi con la contestazione dell’aggravante prevista dall’art. 416 bis 1 c.p. Sul punto è stato ritenuto che il porto e la detenzione di armi vadano contestualizzate e inquadrate in più complessi ambiti criminali, essendo strumentali alla rimodulazione degli assetti interni delle cosche, in ordine al recupero di potere da parte di consorterie mafiose in difficoltà o per l’ascesa di “nuove leve” (come evidenziato dal provvedimento eseguito a carico dei fratelli al vertice del clan CAPOGNA attivo nella provincia di Barletta-Andria-Trani)».
Le quarte mafie, ha sottolineato Antonio Laronga nell’intervista di Luglio, si sono evolute negli anni passando dalla feroce intimidazione tipica dei decenni scorsi ad altre forme, più pervasive ed opprimenti per il territorio. Un’evoluzione che si è evidenziata soprattutto per la «società foggiana» il cui «core business è l’attività estortiva». Dalle minacce violente esplicite si è passati, racconta il dottor Laronga, ad «estorsioni di tipo ambientale».
Le organizzazioni mafiose pugliesi sono attive nelle reti del narcotraffico internazionale, giungendo fino al nuovo mondo. Dalla costa garganica si garantiscono collegamenti con l’Albania e le mafie balcaniche, rotte che arrivano fino all’Afghanistan, vent’anni dopo l’inizio della guerra contro i talebani degli USA e dei loro alleati (Italia in prima fila) maggior produttore di oppio al mondo con oltre il 90% della produzione mondiale.
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