Cioè Antonello Montante della Confindustria di Caltanissetta (indagato per concorso esterno in associazione mafiosa) e Alfonso Cicero, presidente dell’Irsap cioè dell’Istituto Regionale per lo sviluppo delle Attività Produttive. Così almeno scrissero alcuni giornali tra cui “Il Mattino di Sicilia” del 24 febbraio 2015.
Il Procuratore della DNA Franco Roberti, insieme al Presidente della Commissione Nazionale Antimafia Rosi Bindi, sottoscrissero insieme una relazione che fu infatti interpretata come un segnale di fiducia nei riguardi di Antonello Montane, sebbene fosse indagato per mafia dalle Procure della Repubblica di Caltanissetta e Catania e sebbene gelidamente la stessa Bindi avesse accolto positivamente la decisione di Montante di sospendersi (senza comunque dimettersi) da qualcuno dei suoi più importanti incarichi. Che vanno dalla Banca d’Italia all’Agenzia che gestisce i beni confiscati alle mafie. Di cui ancora è membro.
Il capo della DNA Roberti arrivò a ricordare addirittura il ruolo ambiguo svolto dalla Chiesa in certe vicende. Fino a quando papa Giovanni Paolo II venne a scomunicare per la prima volta la mafia in Sicilia.
Naturalmente non poteva ricordare che l’autista di papa Woitila in quel fatidico viaggio fu il “ministro degli appalti della mafia” (al tempo in carica perché non lo avevano scoperto anche se molti lo sapevano).
Che a fare da autista al papa polacco mentre scomunicava per la prima volta la mafia fosse un certo Bronson, lo scrisse anche il Giornale di Sicilia del tempo. E tutti applaudirono perché il ministro degli appalti della mafia a quel tempo era famoso per essere un bravo pilota di rally. E la sua perizia di corridore automobilistico era quindi una garanzia per l’incolumità del papa.
Solo alcuni anni dopo si scoprì che Bronson era “ministro degli appalti della mafia stragista” di Totò Riina ‘u curtu. Ma nessuno ebbe mai a mettere lingua su quella strana infiltrazione della mafia fin dentro l’automobile di un Papa. Tanto meno sul fatto che Bronson era il soprannome di Angelo Siino; o che fosse cognato della Bertolino e genero di don Peppino, rinviato a giudizio al maxiprocesso per colpa di Falcone e Borsellino e naturalmente assolto come Siino e prima di Siino. O che un arcivescovo venne a benedire la mega-distilleria Bertolino che era stata per anni sequestrata per inquinamento in un primo processo finito con l’unica condanna arrivata fino in Cassazione.
Poi però per molti anni la Bertolino non fu più ‘nquitata (o disturbata) dalla magistratura fino a quando una marcia dei 10.000 non arrivò fin davanti ai cancelli della Bertolino, dopo avere sostato davanti alla casa del prof. Nino Amato, morto da imputato per avere diffamato la signora dell’alcool.
E comunque sia, dopo il pentimento di Siino tutti gli altri processi contro la cognata finirono con l’immancabile prescrizione dei reati di inquinamento, documentati anche in tre sentenze dei giudici Cossu e Flaccovio (che li hanno pure loro radiografati).
L’assoluzione di Siino per “mancata punciuta” (fatto unico nella storia del pentitismo di mafia cioè di chi confessa i propri reati di mafia) non fu però un miracolo in vita da Giovanni Paolo II, ma più probabilmente l’arcana conseguenza di una sospetta trattativa con lo Stato mai dimostrata. Anche se pubblicamente denunciata anche in un convegno del Patto per la Salute di Partinico col sostegno di quasi tutti i partiti e associazioni, anche cattoliche e interne alla Chiesa. Quando si mise nero su bianco il “sospetto che una intera comunità (quella di Partinico) possa essere stata soggiogata prima dalla mafia e oggi dai ricatti allo Stato di un pentito”:
Tale sospetta trattativa però non può essere dimostrata a meno che non si si renda pubblico il contratto che Siino firmò a garanzia della sua preziosa collaborazione. Su cui il Pm Nicolò Marino disse qualcosa ai microfoni di Telejato stando accanto all’allora Presidente della Commissione Nazionale Antimafia Beppe Lumia, durante la famosa marcia dei 10.000 contro la Bertolino.
La collaborazione di Siino con lo Stato comunque – e non dimentichiamolo – continua a dare preziosi frutti anche nei più recenti processi di mafia. Anche se finiti con assoluzione degli accusati di Siino. E guai a pensare che comprenda sospette vendette come quella contro un amministratore dei beni dei SIINO, il dr. Vincenzo Leone. Che fu assolto con la formula più ampia e con la testimonianza di molti magistrati dalle accuse di un Pm legato al dr. Agueci (stesso cognome della suocera di Siino e omonimo di un altro Leonardo che ha assegnato quote di distillazione agevolata in cui la Bertolino ha fatto la parte del leone) dalla comune militanza in una corrente del CSM che ha vinto le ultime elezioni a Palazzo dei Marescialli.
Tale militanza fu infatti resa pubblica in un articolo del Fatto Quotidiano a firma di un ex magistrato come Bruno Tinti.
Anche nel processo contro le “Coop rosse” (in cui l’avv. Galasso dichiarò al giornalista Felice Cavallaro che “Siino aveva bisogno di qualcuno che lo capisse”) gli imputati furono tutti assolti dalle accuse del cognato della Bertolino. Come per esempio Raffaele Casarrubea che aveva solidarizzato con gli operai che avevano occupato la distilleria Bertolino sotto la guida di Simone Giacopelli che disse di avere strappato in faccia al ministro in carica un assegno in bianco messogli in mano per fare cessare l’occupazione.
Il 23 marzo 2015, Attilio Bolzoni e Francesco Viviano sul quotidiano La Repubblica, parlarono anche di un dossieraggio contro Antonello Montante, e di una sospetta intercettazione o registrazione anonima, captata con sofisticati congegni, e finalizzata a mettere nei guai il leader dell’antimafia dentro Confindustria. Il quale aveva creato una società con la figlia di Camelo Patti: nominato presidente del Falcone Borsellino per il suo prestigio indiscusso di industriale non mafioso e patron della Valtur, che voleva comprarsi Città del Mare. Venendo perciò in contrasto con la Bertolino e venendo subito dopo rovinato dalle accuse di Siino e della cognata dopo avere dichiarato che non avrebbe costruito due villaggi turistici tra Selinunte e Campobello di Mazara, dove la Bertolino voleva costruire un’altra megadistilleria.
Se quindi ci sono due “partiti antimafia” in contrasto tra loro all’interno di Confindustria, quello di Montante e Carmelo Patti (buonanima) risulta “perdente”. E la morte di Carmelo Patti ne segna la prova. Accompagnata anche dal fallimento delle aziende (non ancora definitivo) di Patti. Dopo che furono messe nelle mani di qualche amministratore giudiziario di cui abbiamo già parlato. Uno di loro grande amico di un ex ministro della Giustizia vantatosi di provenire dall’Istituto di Studi giuridici diretto da Alfredo Galasso. L’avvocato di Siino e dalla Bertolino. Ma questo fatto – si badi bene – non ha alcuna relazione con i fatti accaduti.
Pertanto in Confindustria (anche se a Milano non ne sanno nulla) il partito attualmente “vincente” è quello della Bertolino (che ha ricoperto la carica di vice-presidente dell’Associazione Nazionale Distillatori e rappresentante di Confindustria presso la Commissione della CEE per l’attuazione dei regolamenti comunitari degli alcoli).
Fu infatti dentro la sede palermitana di Confindustria che Galasso e la Bertolino accusarono tutti coloro che l’accusavano di inquinare, di far parte di un complotto finalizzato ad estromettere dalla Sicilia una che non paga il pizzo alla mafia.
L’ultimo colpo messo a segno dalla signora dell’alcool di Partinico è la nomina di Galasso, cioè del procuratore legale di Siino e della Bertolino, come avvocato di parte civile di Confindustria nel processo “Mafia Capitale”.
Su tale processo il prof. di tanti magistrati suoi ex allievi (o vincitori di concorso al tempo in cui era membro del CSM o dirigeva la scuola di formazione che seleziona a numero chiuso i candidati a Magistratura) ha rilasciato interessanti dichiarazioni pubblicate sul Fatto Quotidiano il il 6 novembre 2015. A pagina 15 e con tanto di fotografia di Galasso.
Rettifichiamo la parte in cui si faceva cenno che Angelo Siino fece da autista a Papa Giovanni Paolo II nel giorno in cui venne a scomunicare la mafia in Sicilia. Il sig. Merendino, amministratore della concessionaria che fornì la Land Rover a Karol Woityla durante quel viaggio, ci ha inviato delle foto che dimostrano che alla guida della Papamobile c’era un’altra persona. Ci scusiamo con i nostri lettori anche se la notizia non è frutto della nostra fantasia ma è stata tratta da alcuni libri e documenti dell’epoca non correlati di materiale visivo. Leggi di più QUI.
La redazione di telejato.it
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