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La beatificazione di “u zzu Totò”

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Il triste caso del povero “zzu Totò”, ha riempito oggi giornali, internet, Facebook e tutti i mezzi d’informazione, al punto che siamo perplessi se occuparci anche noi di questo argomento o se fare finta che non esiste. Tutta l’Italia si è schierata in favorevoli e contrari a che u zzu Totò abbia diritto a una morte dignitosa. La cosa non è così semplice.

U zzu Totò è malatu. La Cazzazione parla di “complessivo stato morboso del detenuto e di condizioni generali di decadimento fisico”. La difesa dice e documenta che il boss è “affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa”, che non riesce a stare seduto ed è esposto “in ragione di una grave cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili”.

E se non riesce a stare seduto vuol dire che c’è qualcosa che non funziona in quella parte delicata da cui fuoriesce tutto l’essere di quello che fu il capo dei capi e che ora, si dice, è ridotto a una larva umana. Oddio, qualche dubbio viene sempre: gli avvocati difensori, è il loro lavoro, e i medici di parte sono portati ad amplificare le condizioni di partenza, per documentare le loro richieste, ma ammettiamo che u zzu Totò stia davvero male: è giusto lasciarlo morire in carcere come un cornuto, oppure va accolta la richiesta di differimento della pena, o in subordine della detenzione domiciliare? Cioè lo portiamo a morire in qualche clinica o direttamente a casa sua a Corleone, vicino alla sua amata Ninetta e ai suoi figli? La richiesta (si legge nella sentenza 27.766, relativa all’udienza del 22 marzo scorso) era stata respinta dal tribunale di sorveglianza di Bologna che non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l’infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. Gli avvocati hanno fatto ricorso e adesso la prima sezione penale della Cazzazione ha accolto questo ricorso. Tuttavia, leggiamo in una notizia ANSA, ferma restando “l’altissima pericolosità” e l’indiscusso spessore criminale “il tribunale non ha chiarito” come tale pericolosità “possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico”. La parola passa ora nuovamente al tribunale di sorveglianza che non ha ancora fissato l’udienza per discutere il ricorso.

In una sua nota il Partito Radicale, che come sempre è garantista, sostiene che “la forza di uno Stato non risiede nella sua ‘terribilità’, come diceva Leonardo Sciascia, ma nel diritto, cioè nel limite insuperabile che lo Stato pone a se stesso proprio nel momento in cui deve affrontare il male assoluto. Se quel limite viene superato a morire non è solo Totò Riina, così come è stato lasciato morire Bernardo Provenzano, come rischiano di morire alcuni ultra novantenni ancora in 41 bis nel carcere di Parma o come Vincenzo Stranieri ancora in misura di sicurezza in regime di 41 bis nonostante abbia scontato la sua pena e sia gravemente malato. A morire è lo Stato di diritto”.

Più duro è Beppe Lumia, secondo cui “Il sistema carcerario italiano è in grado di garantire le cure necessarie ai detenuti. Riina è un carnefice spietato e ancora pericoloso. Per cui è necessario non dare segni di debolezza che potremmo pagare amaramente”. “Non scordiamoci quanto fino a poco tempo fa egli sosteneva nei dialoghi intercettati in carcere dalla Procura antimafia. Dialoghi agghiaccianti nei quali il capo dei capi parlava di piani mafiosi e omicidi da compiere”.

E quindi si ripropone il quesito: è giusto lasciar morire in carcere, sia pure assistendolo nelle sue cure un boss che ha sulle spalle un numero impressionante di delitti e di ergastoli, oppure è più umano farlo morire con l’assistenza e il conforto dei familiari? Per chi lo avesse scordato, u zzu Binnu, cioè Bernardo Provenzano, malgrado le richieste di umanità, oltre che di cure specializzate, avanzate dal figlio, è stato lasciato morire in carcere quando ormai era ridotto a una larva, incapace anche di muoversi o di riconoscere qualcuno. Si può dire che in quel caso “hanno buttato la chiave della cella”.

Ma signori miei, u zzu Totò è u zzu Totò. Ancora oggi è riconosciuto il capo in assoluto. Dopo di lui il diluvio. È la memoria storica di quarant’anni di mafia, il protagonista in assoluto, l’uomo che sfidò lo stato appartandosi con pezzi dello stato. U zzu Totò, in quanto l’espressione più alta di Cosa nostra, va trattato con rispetto. Se dovesse aprire il rubinetto, chissà cosa verrebbe fuori! Quindi noi siamo favorevoli a che sia portato fuori dal carcere in uno zoo, dove ci sia un gorilla arrapato o in una stalla dove ci sia un asino sbrogliato, affinché, visto che non può stare in piedi, facciano con lui quello che lui ha fatto patire agli altri. Dante la chiamava la pena del “contrappasso”.

Il problema è che in Italia secoli di limitate interpretazioni del Cristianesimo hanno perforato il cervello anche a persone intelligenti. E il Cristianesimo prevede come sua condizione il perdono. Ogni tanto troviamo qualche idiota intervistatore televisivo porre alle vittime si qualsiasi ingiustizia questa idiota domanda: lui lo perdona? La risposta più tagliente è stata data con un NO secco da Felicia Impastato a chi gli chiedeva se avesse perdonato Badalamenti. Nel nostro caso il perdonismo si incrocia con il garantismo e, davanti al diritto di essere curato o incurato, viene aggiunto quello, sinora non previsto da nessuna disposizione, di morire nel proprio letto. E qua è di prassi l’alzata di scudi. Si ha l’impressione che tutto il fumo sollevato da questo caso sia stato fatto deliberatamente per sollevare un’alzata di scudi, una sana boccata d’antimafia, dal momento che è giusto che il nostro povero zzu Totò possa esser lasciato morire in pace nella sua cella, senza che qualcuno lo butti fuori da quella che oggi e da molto tempo è la sua casa.

E del resto c’è un altro problema teologico: Papa Francesco ha scomunicato i mafiosi. Può un mafioso scomunicato andare in Paradiso? No. Papa Woytila ha gridato: “Mafiosi, per voi verrà il giudizio di Dio”. Può Dio giudicare un mafioso perdonandolo? La cosa pare difficile, ma bisogna pure tenere presente che qualsiasi assassino può pentirsi un momento prima di morire, e quindi può finire in paradiso. Quesito: il pentimento estingue il peccato? Per i protestanti sì, per i cattolici no, perché ci vuole la confessione. E mettiamo che Totò Riina si pentisse e si confessasse. Come la mettiamo? Mettiamo che, a seguito di giudizi vari di Cazzazione dovesse finire in paradiso, come la prenderebbero gli i beati e i santi? Secondo noi “i carcagnati nculu un fussiru normali”.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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  • L'ultima è che "è a rischio di morte improvvisa". Sarà la mia filosofia di bassa lega ma a "rischio di morte improvvisa" lo siamo tutti in quanto esseri umani e mortali!

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