Italia sotto inchiesta, pubblicato da Meltemi Editore, è un libro da leggere tutto d’un fiato. Dalla prima all’ultima pagina. Un viaggio lungo lo Stivale, illuminando le zone grigie e gli angoli bui della nostra società. Un primo dato colpisce, o almeno dovrebbe. Gli autori sono tutti giovani, poco più che trentenni o al massimo poco più che quarantenni. Un dato che dona speranza, che fa capire che in questa società non tutto è perduto. Mentre per anni ci hanno ripetuto il mantra di ogni colpevolezza e nefandezza di una gioventù amorfa, senza slanci, che “non fa nulla”, incapace, ragazze e ragazzi hanno scelto la loro strada. Una strada impervia, difficile, coraggiosa. Ma ben battuta. Sono giovani che si sono guardati intorno, si sono interrogati e non sono rimasti in silenzio. Mentre gli adulti con un dito puntano inquisitori sulla generazione successiva, e con un altro impongono troppo spesso silenzio, omertà, connivenza, servilismo e vigliaccheria di fronte al potente e al prepotente di turno. E dona speranza (mi si scusi il breve accenno anche autobiografico) a tutti noi che una strada non l’abbiamo ancora trovata, che ci barcameniamo cercando di capire come donare il proprio contributo ad una società più giusta e libera, a non rimanere in silenzio e trovare gli strumenti per tenere sempre alta la testa e non considerare la schiena dritta solo una questione ortopedica. Certamente anche per errori e sbagliate valutazioni personali, per mancanza di intuito e bravura. Ma anche perché non aiutati dal mondo che ci circonda, dal piccolo mondo borghese nel quale si è stranieri anche se si è nati e si vive quotidianamente nel suo ventre.
Come avevo scritto in un messaggio a Nello e Sara non avrei risposto all’appello lanciato su Facebook con un selfie, mettendomi in mostra accanto alla copertina del libro. L’ho fotografato accanto ad altri libri che svettano nella mia personale biblioteca. Libri che ogni tanto riapro per leggerne qualche brano. Libri che raccontano vite e storie che si stampano nel cuore e infiammano l’animo. Libri non solo da leggere ma che pretendono movimento, passione civile, che impongono di non rimanere inerti di fronte allo “stato di cose presenti”. Ma di impegnarsi ogni giorno, quotidianamente, per strappare all’inferno dei viventi quel che inferno non è. Per essere atomi positivi negli interstizi del disordine e delle lacerazioni di questo nostro mondo. La denuncia e la lotta alle mafie, al crimine organizzato, al “sovversivismo delle classi dirigenti”, alla criminalità imprenditoriale e di tutti i colletti bianchi soffre terribilmente di una lettura distorta. È sentore comune che chi la fa è una sorta di notaio dello status quo, una persona che persegue solo ed unicamente il rispetto formale e totale dei codici, delle leggi, dell’ordinamento giudiziario. Un difensore dell’ordine costituito. In alcuni c’è anche questo. Ma non è così, non deve essere così. È impegno per la giustizia, per la libertà, per schierarsi con gli ultimi e i deboli, gli impoveriti e i più fragili. La corruzione, le mafie, la malapolitica, l’interesse dei colletti bianchi e dei cravattari che fagocita il bene comune colpiscono soprattutto loro. Quando si sceglie un potente, quando squallide consorterie fanno deragliare verso i loro meschini interessi, si ruba a loro, si sequestra il loro destino e li si uccide. Non si può, quindi, sognare e impegnarsi per un mondo migliore, più giusto, più equo, più umano, senza denunciare e lottare contro lor signori. Farlo è un tassello fondamentale del guardare questo mondo “con lo sguardo delle vittime”, dello schierarsi dalla loro parte. Come fece Dino Frisullo. O come fece Roberto Mancini, la cui vita è raccontata in Io morto per dovere. Roberto tutta la vita ha lottato per rendere questo mondo migliore, per denunciare i criminali che hanno avvelenato la sua terra, assassinato migliaia di persone. Come disse il suo impegno era “garantire i diritti per migliorare, nel nostro piccolo, il mondo che ci circonda, la vita delle persone”. Alexander Langer, ai piedi dell’albero sul quale spezzo la sua esistenza terrena, scrisse che dovevamo “continuare in quel che è giusto”. Quel qualcosa che deve irrorare il nostro quotidiano impegno, che deve costruire una forza nonviolenta e radicale che rovesci le sorti della Storia, che dia voce ai piccoli, a chi è schiacciato dalle “regole” dell’alta finanza e della globalizzazione, del profitto ad ogni costo (e non è forse questa la prima e più importante regola dell’imprenditoria e della politica mafiosa?!). Senza compromessi al ribasso, senza nessuna certezza e nessun “interesse di scuderia” se non – appunto – i piccoli e gli ultimi, i deboli, le vittime e i più fragili di ogni latitudine e la sete ardente degli ideali umani più alti.
Le minacce a Paolo Borrometi e a Federica Angeli, l’azione legale “record” che ha colpito Nello (leggi anche qui) e anni fa gli autori de Il Casalese, a Rino Giacalone, a Salvo Vitale o Antonio Mazzeo (solo per citarne alcuni), (ma andando indietro a ritroso negli anni mi vien da ricordare che quando iniziai con PeaceLink una delle prime persone che conobbi fu Carlo Ruta – che stava indagando sull’assassinio Spampinato e alcuni ambienti in odor di massoneria locali – e l’incredibile odissea giudiziaria che stava subendo e che portò alla chiusura di un suo blog), gli attacchi subiti da Fanpage per le loro recenti inchieste su rifiuti e non solo, le aggressioni ad alcuni giornalisti anche negli ultimi giorni, le minacce ricevute nei mesi scorsi dalla redazione de I Siciliani giovani, tantissimi altri fatti che ogni anno colpiscono cronisti che per qualcuno hanno avuto la “colpa” di voler raccontare con coraggio e senza filtri, impongono l’impegno di tutte e tutti. E non è solo questione, ovviamente, degli ultimi tempi. Era il 2004 quando iniziai con PeaceLink e, dopo pochi mesi, ci imbattemmo nella vicenda dello storico Carlo Ruta. Denunciato e condannato dopo aver pubblicato articoli sull’assassinio Spampinato e alcuni ambienti in odor di massoneria locali. Si tentò di portare anche in parlamento la sua vicenda all’epoca. A dimostrazione di come ci sia parte del main stream che ha seri problemi con la verità nuda e cruda chi raccontò nei Sacri Palazzi la sua vicenda fu accusato di “razzismo” contro i massoni. Dagli stessi ambienti che oggi un giorno si e l’altro pure giustificano la loro propaganda nazionalista e xenofoba sparlando un giorno e l’altro pure di finanza massonica (e indovinate un po’ che ci “scappa” ogni tanto dopo … ovviamente giudaica o ebrea), di piani d’invasione per la distruzione etnica dell’Italia e aberrazioni simili. Senza dimenticare la vicenda del documentario Mare Nostrum, prodotto dalla RAI ma mai mandato in onda. 14 anni fa con Articolo21 e MeltingPot costruimmo anche una campagna di “sensibilizzazione sull’informazione sociale” per denunciare la censura sul documentario che denunciava quel che accadeva dentro il Cpt Regina Pacis di Lecce. Sono passati quasi 3 lustri ma il silenzio – anche sui successivi affari moldavi di Cesare Lodeserto (il gestore del Cpt) dopo la sua chiusura. E gli stessi ambienti politici che riempiono la loro propaganda – ieri come oggi – di “profughi negli alberghi”, “business dell’immigrazione” e odio verso i migranti si schierarono tutti compatti nel difenderlo. Quando Lodeserto fu arrestato un quotidiano attaccò chi denunciò affermando che avremmo fatto arrestare anche San Francesco.
Sulla scia delle esperienze delle Scorte Civiche, dopo la recente indagine che ha portato a rendere pubbliche le minacce a Paolo Borrometi, è avanzata la proposta di rilanciare, riproporre, pubblicare, farsi tutti carico delle sue inchieste, delle inchieste dei giornalisti di frontiera, di coloro che con coraggio denunciano e documentano ogni giorno. È una proposta rivolta sicuramente alla stampa. Ma che può chiamare chiunque. Un mese fa è stato il quarantennale dell’assassinio di Peppino Impastato. Qualche anno fa mi permisi di scrivere che “Peppino Impastato siamo noi, nessuno si senta escluso”. Tra un meme e una canzone, tra una citazione d’effetto e l’altra sui social, tra una retorica e l’altro, sarebbe questa la migliore commemor-azione di Peppino. Non commemoriamo un “laico santino” ma lasciamoci ardere dal fuoco vivo dell’indignazione, della passione, del coraggio. Senza rassegnarsi, senza mai voltarsi dall’altra parte, facendo sempre più, ognuno nel suo territorio, ognuno tutte le volte che può, nomi, cognomi, trame, intrighi, affari, complicità delle clientele, delle cricche, delle mafie, dei potenti e dei prepotenti. Senza mai pensare che è tutto inutile, che alla fine il compromesso è obbligatorio. Perché non è così. Non lasciamo mai soli i migliori cronisti del nostro Paese, impegnandoci da cittadini attivi e responsabili, che prendono a cuore il bene comune e inondano del fresco profumo della libertà rifiutando il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.
In una recente intervista, Nello ha dichiarato che “c’è bisogno che le province vengano illuminate a giorno”. Provando ad illuminare alcune zone grigie e ben poco nominate e conosciute della mia Regione, ho provato nei giorni scorsi a farmi guidare anche da “Italia sotto inchiesta”. Dall’inchiesta di Giorgio Mottola che ha posto fari sulla borghesia e sull’élite mafiose, dal racket delle case popolari denunciato da Antonio Crispino (e che è la plastica dimostrazione di come la violenza, la prepotenza e la corruzione criminale ruba ai poveri togliendo loro diritti), dall’inchiesta di Amalia De Simone sulla mafia nigeriana e sullo sfruttamento della prostituzione. Un’inchiesta durissima che fa stare veramente male anche dopo giorni (e ancora esprimo massima ammirazione per il coraggio e la forza di portarla avanti). Un’inchiesta che, in alcuni tratti, mi ha portato a pensare all’assassinio di Pamela Mastropietro e a Macerata. In tutto quel che è stato detto, ridetto, nei fari accesi e nel torrente dei social fa riflettere che su una recentissima inchiesta di Rainews c’è il silenzio più totale. Avrei voluto farmi guidare anche dall’inchiesta di Nello sul “governo dei massoni”. Ma in Abruzzo la massoneria è più che tabù. Di fatto le ultime notizie certe sono di oltre vent’anni fa, quando la “Guglia d’Abruzzo” finì nell’inchiesta del giudice Cordova. Per il resto sbucò ai tempi di Sanitopoli, qualcuno la nominò per affermare che in una ASL abruzzese favorirebbe le carriere e in un’altra ostacolò e ritardo la rimozione di un alto dirigente, questa lettera anonima nel 2015 agitò leggermente le acque, a Vasto anni fa un incontro massonico avvenne nel più totale “riserbo”, c’è chi affermò che a Teramo sarebbe molto “fiorente, importante e potente”, ovviamente è stata tirata in ballo nel post terremoto aquilano (QUI), altre vicende sbucano ogni tanto, come sospetti di cavalieri e alti colletti bianchi. Ma alla fine tutto svanisce nel porto delle nebbie, tutto torna nell’oblìo…
E della necessità di illuminare a giorno le province ne abbiamo avuto dimostrazione anche in queste ore. Tutti i riflettori puntati sul Molise per le elezioni regionali. Ore e ore di trasmissioni televisive, pagine e pagine di giornali. Ma, incredibilmente, sullo sfondo è rimasto proprio il Molise … eppure la cronaca è stata animata da episodi che dovrebbero far riflettere e accendere riflettori sulle zone grigie di questa Regione.
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