Con sentenza del 9 maggio 2018 la prima sezione del TAR del Lazio ha respinto il ricorso presentato dall’ex sindaco di Borgetto Gioacchino De Luca, dal suo vicesindaco Vito Spina e da altri ricorrenti, contro il Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Palermo e contro il rapporto presentato dai commissari della prefettura e ha confermato la decisione del Ministero dell’interno di procedere allo scioglimento dell’amministrazione comunale per infiltrazioni mafiose e al suo commissariamento, posto che il Consiglio Comunale si era già dimesso e i suoi poteri erano stati attribuiti a un Commissario.
Nel ricorso il sindaco ha indicato a sua difesa un difetto di motivazione, nel senso che non ci sarebbero stati rilevanti motivi per arrivare alla decisione dello scioglimento, ma ha parlato anche di eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà intrinseca ed estrinseca dei fatti posti a fondamento dell’adozione della misura straordinaria, illogicità e ingiustizia manifesta, oltre che violazione degli articoli 48 e 97 della Costituzione. In pratica il sindaco si è dichiarato vittima di palese ingiustizia affermando che mancavano “concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata”, che le vicende sarebbero state enfatizzate, che non si teneva conto di tutte le attività antimafia portate avanti, e che alcune operazioni erano motivate dalle “gravi carenze strutturali ed economiche della struttura amministrativa comunale”. A rafforzare il ricorso del Sindaco veniva presentata l’ordinanza con la quale il GIP di Palermo Fernando Sestito, accogliendo la richiesta del PM Amelia Luise per il sindaco, i suoi assessori e una serie di altri imputati implicati nell’operazione Kelevra richiedeva l’archiviazione, poi deliberata con successiva sentenza. La sentenza del TAR, dopo avere passato in rassegna una serie di altri casi e di sentenze relative allo scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose, è arrivata alla conclusione che dalla relazione presentata dai Commissari “emergeva l’esistenza di forti legami a diverso titolo intercorrenti tra alcuni amministratori e dipendenti dell’amministrazione comunale ed esponenti della criminalità organizzata, tali da determinare uno sviamento dell’ente dalle sue finalità istituzionali e la sottomissione dello stesso agli interessi e alle logiche illecite”.
Rimane, dopo tutto ciò una domanda chiara e precisa: com’è possibile che in sede penale il Tribunale di Palermo abbia archiviato i gravi reati per i quali è stato decretato lo scioglimento e che lo stesso TAR del Lazio ha ritenuto validi? Esistono due giustizie in Italia? A quanto pare sì, come del resto si può riscontrare nello stesso doppio canale delle misure di prevenzione, che penalmente assolve e preventivamente confisca i beni, cioè esiste una doppia linea della giustizia, con la quale lo stato può arrivare dove le normali norme costituzionali non lo consentano o può disporre di eventuali assoluzioni e archiviazioni, pur confermando, nella stessa sentenza, tutti gli elementi di colpevolezza rilevati penalmente.
Il TAR del Lazio arriva alla conclusione che “la circostanza che il quadro probatorio non sia stato ritenuto sufficiente, in sede penale, per procedere all’esercizio della relativa azione, non priva di rilevanza gli elementi riportati nella relazione della Commissione d’accesso, tra cui l’intercettazione telefonica di due appartenenti alla famiglia di un consigliere eletto nella lista del sindaco e di avergli destinato 78 voti”. Alla fine di tutto ciò è inevitabile chiedersi quali siano le motivazioni che abbiano portato il PM Luise a chiedere l’archiviazione per vari personaggi politici e mafiosi, alcuni dei quali sono chiamati a testimoniare nel processo contro Pino Maniaci. Si tenga conto, ma è solo una curiosità, che se, anziché disporre l’archiviazione, che, si badi, può essere revocata in qualsiasi momento, fosse stato disposto un rinvio a giudizio, il sindaco De Luca e il suo vice Vito Spina non avrebbero potuto testimoniare contro Maniaci, in quanto coimputati e il processo avrebbe potuto avere altri risvolti.
Ma questa è la giustizia italiana.
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