Le mafie foggiane si stanno modellando con un processo di «’ndranghetizzazione» denunciò l’anno scorso il sociologo Leonardo Palmisano, autore di importanti libri e inchieste sui sistemi criminali presenti in Italia, «la ‘ndrangheta è il modello organizzativo entrato nella testa dei mafiosi di Foggia e del Gargano. Un modello che si fonda su tre gambe: crimine, economia e politica». Un’analisi confermata da vari fatti, a partire dall’operazione Decimabis, dalle relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia e dagli atti relativi allo scioglimento di 5 comuni negli ultimi anni. Ultimo in ordine di tempo quello di Foggia lo scorso 5 Agosto
Ampia attenzione durante l’intervista realizzata a fine luglio al procuratore Antonio Laronga, in occasione della presentazione del suo libro «Quarta mafia, la criminalità organizzata nel racconto di un magistrato sul fronte», è stata dedicata alla cosiddetta «Società foggiana». Riconosciuta come organizzazione mafiosa «con sentenza definitiva della Corte di Cassazione nell’ottobre 1999». Un processo nato dopo le inchieste e le operazioni successive tra gli altri all’omicidio di un imprenditore edile, che si rifiutò di sottomettersi al racket, e del direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia Francesco Marcone. Marcone fu assassinato il 31 marzo 1995, pochi giorni prima aveva inviato un esposto in Procura per denunciare truffe perpetrate da falsi mediatori che garantivano, dietro pagamento, il disbrigo repentino delle pratiche di competenza del suo ufficio. Furono processate 68 persone, la sentenza definitiva della Corte di Cassazione arrivò il 13 ottobre 1999 con il riconoscimento della natura mafiosa della Società foggiana. La società foggiana, racconta il magistrato, «è passata nei decenni da forme di gangsterismo urbano, di lotte tra bande criminali ad organizzazioni che sono in grado di dialogare anche con esponenti delle pubbliche amministrazioni».
Le “Quarte mafie” sono diventate «strutture multi business, non si occupano più solo di economia illegale – narcotraffico, estorsione – ma hanno attaccato anche alcuni settori dell’economia legale in cui re-investono i proventi illeciti – sottolinea il magistrato – hanno infiltrato l’economia legale e soffocato alcuni settori economici». A pagina 278 dell’ultima relazione semestrale della DIA si legge, nel capitolo relativo alle mafie cerignolane, che «per quanto attiene alle forme d’infiltrazione dell’economia legale, uno dei settori che continua a catalizzare l’interesse dei clan è quello della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, come sembrano confermare gli atti intimidatori e i danneggiamenti consumati in danno di aziende concessionarie dei servizi, in particolare della gestione delle discariche. Nel semestre in esame, due importanti operazioni hanno dato ulteriore riscontro al fenomeno». «Il 18 febbraio 2020 l’indagine “Black Cam” eseguita dai Carabinieri tra Manfredonia (FG) e Vico del Gargano (FG), scaturita dall’inchiesta sulla cd. “strage di San Marco in Lamis”, ha riguardato, tra gli altri, un soggetto legato al clan LI BERGOLIS, coinvolto nella strage per aver fornito supporto logistico all’esecutore materiale degli omicidi – prosegue la relazione – Le indagini hanno evidenziato una continuativa attività di scarico di rifiuti (inerti da demolizione, materiale ferroso, bidoni in plastica, piastrelle, mattoni, amianto friabile, misti a terreno da scavo, provenienti da cantieri edili della provincia di Foggia) smaltiti in un’area protetta del “Parco Nazionale del Gargano” in agro di Manfredonia. D’altro canto, l’operazione “Bios”134 eseguita il 3 marzo 2020 dalla Guardia di finanza, ha, invece, riguardato il traffico e lo smaltimento illecito di tonnellate di rifiuti provenienti anche dalla Campania a cura di una impresa di Lucera (FG)».
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