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Ienna, mafioso per forza

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Quella di Gianni Ienna è la storia più agghiacciante in cui mi sono imbattuto. Quest’uomo che oggi ha 83 anni, aspetta ancora di avere giustizia ed ha attraversato un tunnel di orrori che sembrerebbero impensabili per un paese civile.

Comincia la sua carriera come carpentiere “uno di quelli che l’arte l’aveva nel sangue”, scrive lui stesso, e poiché ci sa fare, prima con lavori a cottimo, poi al servizio di noti professionisti dell’edilizia, nel giro di pochi anni diventa un affermato costruttore fino a quando non decide di mettersi in proprio, acquistando aree edificabili, con la formula della permuta (appartamenti in cambio del terreno) e realizzando diversi palazzi, che venivano poi pagati con la stipula di due compromessi, il 50% in nero, senza fattura e il 50% registrato nell’atto di pubblica vendita. Cominciano anche i contatti con i politici (Matta, Di Giuseppe), l’apertura di credito con le banche e le prime richieste di pizzo in cambio di protezione e tranquillità nell’esecuzione dei lavori.  Le richieste cominciano negli anni ’70 con  Emanuele D’Agostino che gli presenta Giovanni Teresi (detto “u pacchiuni”) e poi il “principe di Villagrazia” Stefano Bontade, il quale gli dà via libera nella compravendita di terreni nella zona di via Oreto: la sua quota è di mille lire per metro quadrato e 500 mila lire per ogni appartamento: a dire del pentito Totuccio Contorno “Ienna era la gallina dalle uova d’oro”. Altri pagamenti (cinquecentomila lire al mese) vengono effettuati a Giuseppe Di Maggio, reggente della zona di Brancaccio, dove Ienna aveva deciso di costruire la sua casa. Nel 1977 nasce L”Immobiliare San Paolo” e Ienna è ormai lanciato nella costruzione di grandi palazzi: vince anche un appalto  per il completamento di un ufficio postale, di oltre quattro miliardi e a questo punto si presenta un inviato del mafioso Saro Riccobono a chiedere 50 milioni, 25 subito e 25 a metà lavoro. Con la morte di Stefano Bontade e la scomparsa dei suoi complici si presentano nuovi mafiosi, con nuove richieste, ovvero il 50% dell’utile ricavato.  Siamo nella zona di Brancaccio, dove l’esattore è Giovanni Drago (che ha confessato 52 omicidi), ma i padrini sono i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano che si presentano con una prima arrogante richiesta di 50 milioni. Sono gli anni ’80/93 in cui imperversa la guerra di mafia. Si aggiunga una richiesta mafiosa di versamento in banca di 800 milioni da convertire in titoli di stato anonimi, così da fruire di interessi semestrali da versare naturalmente ai mafiosi. “Tutto quello che mi veniva detto era scontato e , nel caso di rifiuto di eseguire gli ordini, la violenza e le minacce di morte li avvertivo ancora prima che si esprimevano nel parlare: da questo momento in poi, siamo nell’82 e sino al giugno 1994 ho pagato il pizzo sempre sotto minaccia dei fratelli Graviano: duemiliardiottocentomilioni”.  Sono i Graviano che decidono anche chi deve acquistare l’ex mulino Virga: dopo aver dato il consenso, nel giro di qualche giorno lo negano. Ienna continua a costruire alloggi, scuole poi locate alla provincia, il tutto con regolare certificazione antimafia, sotto il rigido controllo mafioso e realizza il suo più ambizioso progetto: una lottizzazione che prevede la costruzione di un grande albergo, l’Hotel San Paolo Palace e insieme 380 appartamenti più negozi e scantinati. Le cifre sono da capogiro: 23 miliardi e cinquecento milioni di Mutui Fondiari per gli appartamenti, 22 miliardi di scoperture chirografarie, 13 miliardi di mutuo a tasso agevolato per la realizzazione dell’albergo. Per la vendita degli appartamenti la tecnica è sempre la stessa, metà in nero, con semplice ricevuta e metà registrato nell’atto di vendita Tra gli acquirenti Ienna elenca anche il dott. Fiore, marito di Rita Borsellino. Dopo qualche tentativo di mettere in vendita l’albergo, Ienna decide di gestirlo in proprio. Rinuncia anche alla costruzione di un grosso lavoro  di circa quattro miliardi presso l’ospedale Buccheri La Ferla per l’esosa richiesta di 500 milioni di pizzo da parte dei Graviano, i quali, ormai latitanti, continuano a mungere la “minnedda”. Invitano Ienna un incontro a Villagrazia di Carini e gli fanno questo discorso: “Ienna, noi l’abbiamo sempre rispettata perchè lei ha mantenuto gli impegni, e per questo suo comportamento e per non avere mai sbagliato nei nostri confronti riteniamo di dimezzare la richiesta e le chiediamo solo cinque appartamenti, anzichè dieci. Per due appartamenti le manderemo una coppia di coniugi e lei farà i compromessi dichiarando di avere ricevuto 15 milioni per ogni immobile e così a trance periodiche lei salderà i due appartamenti. Gli altri tre appartamenti noi non li vogliamo, li tenga lei, li venda lei, tenuto conto che ogni appartamento ha il valore di 300 milioni, tre per tre fa nove, quindi 900 milioni, cento milioni glieli regaliamo e così lei dovrà solo darci 800 milioni, come vede noi lo rispettiamo perchè lei merita” :  questa testimonianza è riportata da  un memoriale inedito del sig. Ienna, il quale aggiunge: “Quindi mi regalavano i miei soldi!!!” Nei primi quattro anni, dal ’90 al ’94  l’albergo funziona a ritmo pieno ospitando alcune squadre partecipanti ai mondiali di calcio, ma anche carabinieri inviati a Palermo per l’emergenza mafia. Per non parlare delle prime riunioni fatte dalla nascente Forza Italia in alcune salette, a titolo gratuito, alle quali partecipa il giudice Giordano, quello del maxiprocesso. In un certo momento, non sono chiari i motivi, Gianfranco Miccichè, coordinatore per la Sicilia, prende le distanze. A Ienna vengono richiesti i  locali, da parte dei Graviano, per un nuovo gruppo politico, “Sicilia Libera”. In una suite alloggiano la madre e la sorella dei Graviano, le quali, dice Ienna, pagano regolarmente la pensione. I suoi interessi si allargano anche a Termini Imerese, dove paga il pizzo al boss locale Giuseppe Gaeta. Il 28 luglio 1994,  scatta il mandato di custodia cautelare. Con una delle loro tipiche sceneggiate una ventina di carabinieri, con allegato codazzo di giornalisti e cineprese, si presentano presso l’abitazione di Ienna, la mettono a soqquadro, e arrestano il malcapitato per concorso esterno in associazione mafiosa “buttandomi come un sacco di materia vivente”. Lo portano al San Paolo hotel, cercano, scassano porte e poi, dopo una breve sosta alla caserma di Piazza Massimo, lo scaraventano all’Ucciardone. Ienna ha il tempo di intravedere ammanettato un altro suo grande collega, il costruttore Piazza: tre giorni d’isolamento, un breve interrogatorio col giudice Garofalo,  e il 19 agosto, con bagaglio un sacco di spazzatura nero per i propri effetti, trasferimento, dentro il cellulare, a 40 gradi, , a destinazione ignota, senza che la famiglia ne sappia niente. “Quello che ho visto quel giorno nei gabinetti fu orribile, da vergognarsi al pensiero di esserci stato”. Da Napoli prosegue il viaggio in altro cellulare, ammanettato, dentro una gabbia di un metro per un metro, sino al carcere di Ariano Irpino. Dopo un mese può rivedere la sua famiglia, può nominare un avvocato difensore, continua a girare da un carcere all’altro, mentre le sue ben 15 istanze di scarcerazione vengono rigettate. Dopo 27 mesi di carcere, senza alcuna prospettiva di un processo, Ienna esprime al giudice, tramite il suo avvocato Marcello Carmina la sua volontà di collaborare, ma il P.M, la dott.ssa Pino si lascia sfuggire la frase “Ienna per me deve morire in carcere”. L’altro PM Gozzo ritiene attendibile la collaborazione e  pensa che il patrimonio dovrebbe essergli restituito. La prima scarcerazione avviene il 12 dicembre 1996. dopo due anni e 8 mesi: a Ienna viene imposto di non rientrare a Palermo, in attesa della protezione. Cominciano minacce e attentati.

Il capitano Strada, addetto alla protezione di Ienna, gli dice: “Ienna, perchè non fa il nome di Andreotti, dicendo che lo ha conosciuto qui a Palermo in diversi posti e così lei uscirà da questa storia e le ritorneranno il patrimonio”. Dopo qualche mese Strada è trasferito, mentre Ienna si rivolge all’avv. Fragalà, il quale gli consiglia di ritrattare. Finalmente si va a processo e il 22.10.1998 Ienna è condannato a 7 anni di carcere per associazione mafiosa ex art.416 bis con confisca di tutto il patrimonio. Il colpo è durissimo, ma ancora più duro è l’arrivo dei carabinieri, l’indomani, nell’abitazione di Roma, con un mandato di custodia cautelare: i giudici si spaventavano della pericolosità di questo soggetto e  ne temono anche la fuga. Altro inferno a Regina Coeli, trasferimento a Lanciano, altro trasferimento a Rebibbia in isolamento per alcune settimane, altro trasferimento coatto a Reggio Calabria, senza cibo per quasi due giorni, carcere di Reggio con un rubinetto sempre aperto e acqua che attraversa il cervello. Qualcuno, per pietà, gli dà un uovo, un pezzetto di pane duro e una mela fradicia, dicendogli “Buona pasqua, più di questo non posso”. Altri 15 giorni di cella d’isolamento, un processo in cui il giudice gli chiede cosa sa del giudice Terranova e, visto che egli non sa niente, altre settimane in isolamento, trasferimento a Lanciano e, dopo due giorni, trasferimento di nuovo a Palermo, sempre in isolamento. Ienna non ce la fa più e chiede al suo avvocato Carmina cosa fare per uscire da quell’inferno. Carmina è lapidario: “Se vuole uscire dovrà cambiare la sua linea difensiva, perchè il Tribunale aspetta che lei ammetta di essere stato socio dei mafiosi. Se lei cambia rotta e dice questo tipo di verità che il tribunale vuole, sicuramente sarà scarcerato subito. Dovrà anche ammettere di essere stato anche parzialmente finanziato dai mafiosi per potere costruire quello che lei ha realizzato: faccia i nomi e vedrà che subito uscirà e le restituiranno il patrimonio. O così o pomì: se non aderisce a quanto le ho detto è pronto un altro mandato di custodia cautelare per estorsione e lei dal carcere non uscirà più”. Pur di uscire  Ienna ammette colpe non sue e mentre prima, da vittima della mafia stava in carcere, adesso, da  autodichiarato mafioso, si ritrova libero. A Roma riprende il suo lavoro, incappa in una serie di disavventure, mentre in appello e in Cassazione viene confermata la condanna a sei anni. Così arrivano i carabinieri, lo ammanettano e lo riportano a Rebibbia, dove tutti sanno della sua collaborazione con la giustizia e lo ritengono un traditore. Prima della fine capita che un certo Rinzivillo gli chiede per la sua famiglia, senza soldi, di cambiare un assegno di 2700 euro per pagare la rata di un mutuo e  Ienna, impietosito, autorizza la sua segretaria Giovanna Guajana a pagare: conclusione: Giovanna Guaiana finisce in carcere e ci resterà cinque mesi e 12 giorni, in attesa di processo per associazione mafiosa, per avere conosciuto la cognata di Rinzivillo, che era un boss di Gela.

Scrive Ienna: “La mia storia è e rimane la più travagliata, la più angosciosa storia che un uomo possa subire dalla vita e dallo Stato italiano senza nessuna prova, senza nessun riscontro, senza avere commesso nessun reato, la giustizia italiana ti distrugge la vita, la famiglia e quant’altro”.

E siccome non ci sta a portarsi addosso per sempre la patente di mafioso, ovvero l’accusa di far parte di quelli che gli avevano distrutto la vita, inoltra una prima istanza di revisione del processo al tribunale di Caltanissetta, allegando la testimonianza giurata dell’avv. Carmina, quello che lo aveva indotto a confessare il falso pur di essere liberato. Caltanissetta, senza aver controllato le nuove carte, rigetta il ricorso e rifiuta di sentire i testimoni della difesa; gli avvocati ricorrono in Cassazione, dove i giudici si esprimono per una rivalutazione alla luce dei fatti nuovi prodotti. L’istanza è ancora una volta rigettata e l’ultima spiaggia rimane, dopo 21 anni, un ricorso alla Corte Europea di Strasburgo.

In attesa.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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  • Purtroppo ci sono altre storie analoghe e parallele a questa, finite anch'esse nel silenzio colpevole di chi sa la verità ma la nasconde per non perdere quei benefici che gli sono stati dati dallo Stato per raccontare una falsa verità utile a distruggere le vite di generazioni intere di imprenditori vessati dalla mafia e non mafiosi. Verità costruite tra le mure delle tenenze, comandi e caserme dei carabinieri e di qualche questura. Ma sono parole gettate al vento, tanto tutti sanno ma nessuno parla.

  • Ienna scrive "... senza avere commesso alcun reato...."

    Difficile commentare una simile frase...

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