I cento anni di Procopio Di Maggio

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6 gennaio 2016: Procopio Di Maggio fa cento anni.

Festeggia il suo compleanno in un locale della zona: amici, una grande torta, il brindisi e botti d’artificio, come in molti compleanni. Procopio, nella sua tormentata vita ha avuto cinque figli, uno dei quali è morto in uno strano incidente alla curva che dall’uscita di Terrasini porta alla stazione: pare che il contachilometri della macchina, schiantatasi contro il muretto di pietrarotta che costeggia la strada, fosse fermo a 140 km in un tratto di strada in cui non si superano i 60. Il ragazzo era innamorato di una figlia di Sarino Badalamenti, ma questo amore non piaceva a nessuno dei loro genitori. Procopio ha avuto sempre il sospetto, e lo ha anche espresso, che i Badalamenti fossero responsabili dell’omicidio del figlio. L’altro rampollo, Giuseppe, detto Peppone per la sua notevole stazza, cui il padre aveva affidato la sua pompa di benzina ubicata poco dopo l’uscita da Cinisi verso Palermo, scomparve all’età di 42 anni il 14 settembre del 2000. Il suo ciclomotore venne trovato in contrada Siino-Orsa, i suoi resti vennero ritrovati al largo di Cefalù. Secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti pare che fosse stato incaprettato, che quindi si fosse autostrangolato e che poi fosse stato messo in un sacco di plastica con una zavorra e buttato a mare. Sui mandanti di questo omicidio non si è mai saputo niente, mentre si sa che Salvatore e Sandro Lo Piccolo, assieme a un commerciante di Cinisi, Damiano Mazzola, con un gruppo di complici vestiti da carabinieri avrebbero fermato e catturato, il 26 ottobre 2000 un meccanico di Terrasini, Giampiero Tocco, in macchina con la figlia, ritenendolo uno che avrebbe tradito Peppone, di cui era amico, per interrogarlo e poi scioglierlo nell’acido. Peppone era stato arrestato, processato e assolto per due volte, dall’accusa di associazione mafiosa e aveva addirittura presentato al tribunale una richiesta di risarcimento di un miliardo per ingiusta detenzione.

L’altro rampollo, Gaspare, dopo essere stato indicato come il reggente della famiglia di Cinisi, è finito all’ergastolo per l’omicidio di Giuseppe D’Angelo, avvenuto nell’agosto del 2006. Delle due figlie una è sposata con Alessandro Brigati, facente parte della cosca dei “Fardazza”-Vitale di Partinico e al quale è stato sequestrato e poi confiscato un appezzamento di terreno oggi affidato all’ANPA, è stato condannato a dodici anni il primo luglio 2011, pena poi ridotta a dieci il 12 luglio 2012  per estorsione mafiosa, fatta ai titolari della cantina Cusumano e ad altri imprenditori partinicesi. Proprio la figlia e il nipote Procopio Brigati hanno organizzato per don Procopio la festicciola, alla quale è stato dato particolare rilievo mediatico, dopo che il nipote ha avuto la bella idea di pubblicare su Facebook le foto dell’evento, che hanno ricevuto oltre duecento “mi piace”, auguri e di condivisioni da parte di “cinisara” ammiratori o amici del vecchio boss. La cosa ha scatenato la fantasia di qualche giornalista, in particolare di “Repubblica”, che ha parlato di giochi artificiali fatti sulla piazza di Cinisi in spregio al divieto di botti e giochi d’artificio fatto dal sindaco Giangiacomo Palazzolo, quasi si trattasse di una sfida mafiosa per ribadire la presenza e l’importanza di “don Priccopiu”.

In un suo commento su Antimafia Duemila, Saverio Lodato ha scritto:

Un vecchietto centenario, come Procopio Di Maggio, trova divertente festeggiare il suo compleanno a Cinisi, nel paese di Peppino Impastato, a suon di mortaretti e fuochi d’artificio. Perché lo fa? Lo fa per levarsi lo sfizio. Per chiudere in bellezza. È il suo inno alla vita. A una vita mafiosa, s’intende. Ché ognuno – si sa – vive a modo suo. Ma anche per dire a Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, che il nome dei Di Maggio godrà di maggiore eternità rispetto a quello della famiglia rivale. E i paesani, che disertarono sia il funerale di Peppino, fatto a pezzi da Gaetano Badalamenti, sia il funerale di Felicia, la mamma che sino all’ultimo respiro chiese che fosse scoperta la verità, sono corsi ad abbuffarsi al banchetto in omaggio al vecchietto Procopio, quello che ancora oggi, senza tema di esser considerato un rincoglionito dalla sua comunità cinisara, dice che la mafia non sa cosa sia; lui che ha avuto un figlio vittima di lupara bianca, un altro attualmente al “carcere duro” per mafia e che fu fedelissimo, nell’ordine, di Badalamenti, Riina e Provenzano, e condannato al maxi processo di Falcone e Borsellino, ma assolto dall’accusa di avere compiuto una ventina di delitti. Altro che “funerale dei Casamonica”, altro che petali di rosa piovuti dal cielo, altro che tiro a quattro, con i cavalli neri, finanziato da un clan di zingari violenti. La festicciola di Procopio, il vecchietto centenario, è incommensurabilmente, sotto il profilo simbolico, più provocatoria: proprio perché si è tenuta a Cinisi, cuore duro di una mafia che prima di farsi ferocemente “moderna” fu ferocemente “arcaica” e perché quella è la terra bagnata dal sangue di Peppino, dove passato e futuro convivono drammaticamente ancora oggi.

Con una prospettiva del tutto distorta il TGcom 24 ha dato così la notizia: “Cinisi, il paese di Peppino Impastato festeggia i 100 anni del boss Di Maggio. Fuochi di artificio e sontuosa cena per l’ultimo padrino della Cupola di Totò Riina”.

In un gruppo Facebook Procopio Brigati ha così risposto a tutte le polemiche nate sul caso:

Volevo dirvi solo che forse nella vostra famiglia, nessuno ha mai raggiunto il traguardo di 100 anni, quindi non sapete come si festeggia un centenario o forse sì, lo sapete, ma sapete solo giudicare l’operato degli altri! Forse non avete mai visto i programmi RAI in cui intervistano uomini e donne centenari e a cui accorrono milioni di persone per festeggiare il loro compleanno… quelle si che sono feste eclatanti! La Festa di mio nonno è stata una umile festa… i giochi d’artificio si fanno in tutti i 18esimi, non vedo perché non dovevamo farlo a lui… Buon “lavoro”!

E in un altro commento:

Noi non abbiamo violato nessuna legge,  perchè all’interno di una sala di ricevimenti e con una persona che da anni fa giochi pirotecnici con tanto di licenza… abbiamo semplicemente festeggiato, con l’umiltà che ci contraddistingue il centesimo compleanno di mio nonno… non abbiamo fatto nulla di sontuoso come qualcuno lo descrive, o eclatante… oggi ho capito una cosa, che avete tutti una vena da illustri giornalisti… complimenti! Adesso tornate a condurre le vostre noiose vite… visto che oggi siamo stati il vostro unico pensiero e visto che vi siete presi la briga di giocare a “chi la spara più grossa”. Sembra chiaro che non Cinisi, ma i parenti hanno festeggiato.

Procopio Di Maggio è soprannominato “Cartocciu”, non si sa se per la sua confidenza con i fucili o  per la sua piccola struttura fisica, da mezza cartuccia. Su di lui se ne sono dette di tutti i colori. Si dice che sia sfuggito a sette attentati, che ha sette vite come i gatti, che una volta è sfuggito, in America, all’arresto, buttandosi dal quarto piano di un palazzo e rompendosi le gambe, cosa che lo ha lasciato menomato. Ha cominciato la sua carriera come bandito, nei tempi in cui le montagne tra Cinisi e Montelepre erano infestate da piccole bande locali, dalla numerosa banda di Giuliano o da singoli latitanti come Pietro Palazzolo, detto “U Dannatu”. E un bandito è rimasto: non si è mai arricchito, ha circondato di “rispetto” la sua persona, atteggiandosi a riparatore di torti, in un certo momento si è trovato, nella sua scarsa simpatia per Badalamenti, a trovare come alleati i Corleonesi di Totò Riina, che gli hanno affidato il ruolo di reggente della famiglia di Cinisi, ormai ridotta di uomini e di rango, dopo la scomparsa di scena di Gaetano Badalamenti. È il momento in cui, nel biennio 81-83 a Cinisi ci sono una quarantina di morti. Proprio in questo periodo, il 18 settembre 1981 Procopio sfugge a un attentato davanti alla sua pompa di benzina. Malgrado sia stato ferito al rene e al fegato, reagisce e mette in fuga con la sua pistola i sicari. Nella sparatoria sono feriti anche Nick Impastato, cognato di Nino Badalamenti e il figlio Peppone.

Non passano due anni e il 10 ottobre 1983 i killers ci riprovano sul corso di Cinisi: ancora una volta sbagliano, Procopio e il figlio reagiscono, ma a farne le spese sono tre persone che si trovavano accanto a lui, che restano ferite, mentre è colpito mortalmente Salvatore Zangara. A partire dagli anni ’80 Procopio si è dato da fare portando, con un pulmino, da Cinisi, passeggeri o lavoratori dell’aeroporto. Dopo il maxi processo, dal quale è uscito assolto dall’accusa di avere  consumato 12 omicidi e dopo la morte del figlio Peppone ha continuato la sua vita di tranquillo “pensionato”, con la sua quotidiana passeggiatina in piazza e qualche raro omaggio da chi si ricorda ancora di lui.

In fondo la mafia ha i suoi codici: tra questi c’è quello del rispetto. E lasciare vivere don Procopio è un segno di rispetto.

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