Dio, Satana e il colonnello

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Ormai non ce la facciamo più ad andare dietro a tutte le “minchiate”, le intercettazioni che giornalmente vengono fuori, le dichiarazioni, e le condizioni psicologiche dei protagonisti di questa squallida storia che ha messo in vetrina tutto quello che abbiamo denunciato da due anni a questa parte.

Per fortuna da Caltanissetta, dove Pino Maniaci era già stato ascoltato un anno e mezzo fa, hanno lavorato sodo e hanno scoperto una sorta di complotto che aveva le mani su tutto il sistema produttivo delle province di Trapani e Palermo, con diramazioni anche a Catania  e ad Agrigento.

Ieri ci sembrava che si era toccato il fondo: “Io sono come Dio onnipotente”, diceva la Saguto al  suo Cappellino, ma da altre intercettazioni “ho sentito dire di Cappellano Seminara cose poco sotto di quello che può fare Satana in persona… ma siamo in un paese in cui quando non riesci ad incastrare uno non puoi dire che sei tu incapace di incastrarlo, devi dire che ci sono i poteri oscuri, le protezioni, i poteri forti”. Il Giornale di Sicilia, con la sua furbizia redazionale, ma che in realtà è poca correttezza deontologica, riporta quest’ultima dichiarazione, senza dire chi la dice, ma solo chi la riceve, ovvero il chiarissimo prof. Provenzano Carmelo. Con ogni probabilità si tratta del  golden boy avvocatino Walter Virga.

Dio… Satana, siamo agli estremi. Un potere illimitato dato dalla tremenda legge sulle misure di prevenzione, con la quale puoi sequestrare tutto a chi vuoi e affidarlo a chi vuoi, e un Rasputin siciliano, se vogliamo un cardinale Richelieu, il “consigliori”, la mente che indirizzava i vari movimenti del circuito della procura di Palermo, e che gestiva e gestisce il tutto come una sorta di burattinaio… Satana o poco sotto di lui, un ruolo che a suo tempo, nel suo delirio di potenza, si era attribuito Totò Riina. Lo strumento di Riina era l’omicidio, quello di Cappellano e della Saguto era lo spolpamento delle aziende, sino al fallimento. Elemento in comune era ed è invece il parassitismo, ovvero la volontà di assorbire voracemente i frutti del lavoro degli altri, senza rendersi conto che proprio la persistenza del lavoro può consentire la sopravvivenza della propria condizione.

E adesso che il giocattolino è rotto Lorenzo Caramma si sente “umiliato” per avere fatto davanti a tutta Italia il ruolo del pupo, sistemato a Roma o a Palermo per qualche incarico, dietro spinta della moglie dea. Cappellano è invece “addolorato” perché la cosa non doveva venir fuori e la sanno tutti, mentre a Zà Silvana è ancora depressa e non va a lavorare, anche perché non gli conviene, dal momento che il ministro ha chiesto di sospenderla dall’incarico e dallo stipendio: qualche giornale parla addirittura di ricchezze portate all’estero, ma senza alcuna prova. Il problema della sopravvivenza economica del giudice è serio. E speriamo che non si arrivi davvero alla disperazione, come essa stessa ha detto qualche giorno fa, perché tutti ci farebbero sentire come i responsabili morali  di quello che sta succedendo dopo la “rottura” del cerchio magico.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, come abbiamo già detto, vuole il suo tempo: bisogna attentamente conoscere, considerare, valutare chi possa esserci in mezzo, che cosa si rischia se la Saguto parla, ascoltare, ingenerare nel proprio cervello una linea di giudizio e di lettura prima di arrivare, tra qualche anno, alla conclusione.

E il prefetto Cannizzo? Per sua fortuna è una di quelle che parla poco. E il colonnello della Guardia di Finanza Nasca? Che cosa significava quella frase “è questione di ore” nei  confronti di Telejato? Qualcosa è venuta fuori. Quando è stato introdotto il digitale terrestre sembrava che per Telejato fosse la fine: la legge prevedeva la creazione di gruppi, consorzi, nuclei di televisioni che avrebbero dovuto costituire il bouquet, cioè arrivare a un punteggio, stabilito su capitale sociale, attrezzature, personale delle varie televisioni. Telejato non aveva neanche un punto, quindi nessuno l’avrebbe richiesto. Sul tavolo dell’allora ministro Passera arrivarono 70 mila email a chiedere che Telejato fosse salvata e allora il ministro con una sua telefonata chiese a Tele-med, cioè la televisione dei fratelli Rappa, di metter dentro Telejato, che comunque rimase dentro solo con un piede, mentre l’altro era legato ad altro circuito internazionale. Nasca, dopo avere gonfiato il sequestro dei Rappa e averlo fatto affidare al giovane Virga, pensava di intervenire nei confronti di costui per chiudere Telemed e quindi Telejato. È triste constatare che un uomo al servizio dello Stato falsi i conti di quello che è stato deciso di porre sotto sequestro e si presti alle manovre sotterranee del giudice che ne ispirava le mosse. Le false attestazioni nell’esercizio delle proprie funzioni, sono cose contro cui la Finanza dovrebbe procedere, non invece atti che essa stessa porta avanti.

Se Nasca rimarrà al suo posto, se qualcuno avrà il coraggio di inquisirlo, se i vertici (ma quali?) della stessa Guardia di Finanza, per tutelare l’immagine e la serietà non decideranno di adottare qualche decisione. Alla fine c’è una domanda inquietante: quanti altri ci sono dentro? Verranno tutti fuori o rimarranno a lavorare nell’ombra per rafforzare la ragnatela che hanno costruito attorno alla Sicilia?

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