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Dalla relazione semestrale della DIA si evince che Cosa nostra fa finta di dormire, ma continua ad esserci

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La DIA, nella sua relazione sul secondo semestre del 2016 fa il punto su Cosa nostra e sulla sua attuale situazione a Palermo e provincia.

Il territorio al momento attuale è composto da 15 mandamenti, di cui 8 solo a Palermo e sette in provincia. A sua volta le varie articolazioni comprendono 80 famiglie mafiose, delle quali 32 a Palermo e 48 in provincia. La relazione non riporta i nomi di questo piccolo esercito di malandrini, ma parla chiaramente di una situazione di “rimodulazione” degli equilibri interni e dei luoghi d’influenza, nel senso che non c’è più una rigida suddivisione territoriale delle varie aree di controllo, ma spesso si verificano “sconfinamenti, indebite ingerenze, candidature autopromosse, progetti di scissione”.

In pratica la mafia palermitana starebbe attraversando una fase di transizione affidata al controllo di gerarchi d’onore che con il loro prestigio tentano di temere a freno le giovani teste calde attraverso “una politica di basso profilo e di mimetizzazione che nasconde comunque “una notevole potenzialità offensiva”. Teoricamente il capo dei capi è sempre Totò Riina, e ciò dimostra come i vari “cancaroni” locali non abbiano trovato ancora un uomo dalla caratura criminale e dall’autorevolezza, in grado di sostituire il vecchio boss. Le varie famiglie agiscono in complessiva autonomia ed esiste solo un organismo provinciale provvisorio composto in buona parte da vecchi boss che hanno scontato la pena e che si limita a funzioni di consultazione e di raccordo, tant’è che nella relazione è definita una “cupola anomala”, “una stanza di compensazione in cui sanare momenti conflittuali suscettibili di degenerare”.

Per il resto non ci sono novità di particolare rilievo. Si citano le operazioni Grande passo 4 (23 settembre 2016) nei confronti dei mafiosi di Corleone, Palazzo Adriano e Chiusa Sclafani, l’operazione Monte Reale nei confronti di alcuni mafiosi di San Giuseppe Jato, Monreale e Piana degli Albanesi (4 ottobre 2016) l’operazione Scacco Matto (10 novembre 2016)  nei confronti della famiglia mafiosa dell’Acquasanta, l’operazione Tiro mancino (12 luglio 2016), che ha portato alla luce un consistente traffico di droga tra Napoli e Palermo, con l’approvvigionamento di stupefacenti nelle piazze di Mazara, Alcamo, Marsala, Palme di Montechiaro) e l’operazione Black Axe che invece ha individuato in diversi soggetti extracomunitari di origine africana spacciatori, con reati che vanno dal traffico internazionale di stupefacenti, all’immigrazione clandestina, alla gestione della prostituzione. In tal senso viene rilevato il ruolo di gregari di quel vasto sottobosco di uomini di colore ai quali Cosa nostra affida le briciole della distribuzione al minuto, riservandosi di incassare più consistenti proventi. Altri reati diffusi sono dati dal furto di vetture e dal conseguente metodo del “cavallo di ritorno”, cioè il riacquisto del mezzo e dai prestiti ad usura, fenomeno ancora capillarmente diffuso. A parte queste note il resto ripete un’analisi già fatta in passato, ovvero che il territorio si caratterizza per numerose piantagioni di cannabis, che i boss continuano a chiedere il pizzo, sia come fonte d’introito, sia come assistenza ai loro parenti carcerati, sia come strumento di controllo del territorio. È appena accennata, solo in due righe la strategia “affaristica, in ambienti capitalistico finanziari e in aree nazionali e internazionali, per riciclare i capitali illeciti, catalizzare sovvenzioni pubbliche, indirizzare appalti e scelte industriali”. L’impressione è quella che la DIA affronti il fenomeno mafioso solo dall’aspetto delinquenziale, evitando di entrare in merito ai rapporti tra mafia e politica e ai i legami con i grandi circuiti affaristici, a partire da quelli che stanno dietro alla proliferazione di supermercati e centri commerciali. Nessun accenno all’operazione Kelevra, che pure ha portato alla sbarra una decina di presunti mafiosi estortori nel territorio tra Borgetto e Partinico, escluso o compreso Pino Maniaci.

C’è un passaggio invece che sembra calato su alcune sotterranee manovre che si muovono nelle microeconomie locali, soprattutto nel settore “agro-silvo-pastorale”, Partinico compresa, come “l’imposizione di mezzi di trasporto, la macellazione clandestina, le estorsioni ai danni di imprenditori agricoli, la falsificazione di etichettature, le imposizioni sulle cassette per imballaggio e anomale lievitazioni dei prezzi di vendita, attribuibili a intermediazioni fittizie svolte da commissionari direttamente nella fase di stoccaggio e di distribuzione”. Ecco, su queste nascoste e abili gestioni di piccoli affari, che impediscono il decollo di un’economia sana, a partire da una seria indagine su tutta la catena di distribuzione e di commercializzazione dei prodotti, ci sarebbe da aprire una pagina seria, sia dall’aspetto dell’intervento politico che da quello investigativo, perché si tratta di economia primaria, dalla quale, sul lavoro di un singolo, come ad esempio un coltivatore, mangiano una serie di persone il cui lavoro ha ben poco a che fare con il sudore di chi ha prodotto il bene di consumo. Non serve infatti ipotizzare o denunciare un reato se non ne segue un intervento repressivo che vi metta fine.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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