I volti, i rapporti e “l’ambasciata fuorilegge”
Gregorio Agrigento è sicuramente quello più invisibile tra i due. La sua scalata al potere è dettata dal passaggio di due famiglie, infatti l’ex boss era delineato come rappresentante di una storica famiglia di San Cipirello, proprio questa aveva mantenuto solidi rapporti con il mandamento di San Giuseppe Jato; così Gregorio mette in atto un uno-due che non si vedeva dai tempi dell’Inter di Mourinho. Abbandona la vecchia famiglia e nel giro di 20 anni riesce a ricoprire il ruolo di boss del clan di San Giuseppe Jato, dove riceve apprezzamenti per il suo operato anche dall’allora boss di Bagheria Pino Scaduto.
Tutt’altra storia per Mario Marchese, uno noto agli inquirenti già dall’80. Fu accusato da Salvatore Contorno nell’enorme vicenda che riguardava l’organizzazione del suo omicidio, proprio in questi anni Marchese avrebbe obbedito non solo al volere di Riina, ma anche a quello del boss Giovanbattista Pullarà. Successivamente diventa capo mandamento di Villagrazia – Santa Maria di Gesù, grazie anche all’aiuto di storici uomini di mafia come Benedetto Capizzi e ad esponenti di altre famiglia come Vincenzo Adelfio. Il ruolo centrale di Marchese però, secondo gli inquirenti, era quello di mantenere la connessione con i mandamenti di Pagliarelli, Corleone e San Giuseppe Jato.
Il rapporto tra Marchese e Agrigento era sostenuto da vari intermediari come Enrico Segreto, la cui casualità del cognome fa sorridere. Tra i due boss stava per prendere atto una vera e propria faida, il motivo sarebbe la prepotenza con cui Gregorio Agrigento avrebbe nominato di sua iniziativa i nuovi rappresentanti della famiglia Altofonte. Quest’atto scatena l’ira del boss di Villagrazia che nelle intercettazioni, riferendosi all’intermediario di Agrigento, risponde: “A Gregorio gli è partito il cervello”– ed – “Ora vai da Gregorio…e gli dici…dice Mariano…non ne vuole spare niente!”. Dopo questa vicenda sorge un altro problema che stizzisce il povero Mariano: il rispetto delle regole di Cosa Nostra. In particolare si lamentava di un “giovane sconosciuto” che era stato mandato per un’ambasciata, loro alle tradizioni ci tengono: mandanti noti e bacetti che stipulano accordi, non possono mancare.
La Mafia 2.0: l’organizzazione, i beni ed il rapporto con gli imprenditori
Quello messo in atto dai due boss era un meticoloso controllo territoriale. Nessuno dei paesi veniva abbandonato all’ordinaria amministrazione, tutto era sotto il controllo dei due mandamenti e così viene dato il via ad un fitto giro di estorsioni e legami preoccupanti con l’imprenditoria locale. Delle estorsioni effettuate ne sono state appurate 11 fino ad ora, a discapito di imprese e commercianti. Gli inquirenti affermano che le vittime siano soprattutto imprenditori intenti nella realizzazione di complessi edilizi. Il Procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi, dopo l’operazione, ha sottolineato la sua preoccupazione riguardante gli atteggiamenti della maggior parte degli imprenditori coinvolti; alcuni denunciavano, molti rimanevano in silenzio e si adeguavano alla dottrina del pizzo, mentre ancora altri per prevenire a piccole minacce criminali si affidavano totalmente nelle mani dei boss. Tutto ciò ha portato ricchezza ai mandamenti, dato sostenuto anche dalla confisca dei beni effettuata dai carabinieri, la cifra si aggira intorno ai 3 milioni di euro.
Si tratta sempre più di una Cosa Nostra in stile Old School, che si affida ai vecchi uomini d’onore di Riina e Provenzano. Le regole di Cosa Nostra vengono rispettate senza transigenza ed è ancora alla base della loro economia il comando dei paesi tramite collaborazione tra i mandamenti. Le famiglie rimangono le stesse ed evidentemente qualcuno dall’alto vuole che a guidare l’attuale Cosa Nostra non vi sia nessun volto troppo nuovo all’organizzazione. Cosa Nostra quindi abbandona la strada intrapresa dalla camorra napoletana, che ha preferito optare per alcuni giovani boss, anche se molti azzerati dopo poco.
Concorso esterno: la mafia ringrazia, saluta e se ne va
“è arrivato il momento di ripensare a una nuova regolamentazione del reato dei rapporti tra mafia e imprenditoria, perché chi non parla e chi fa affari, chi cerca il contatto con il mafioso e poi lo sfrutta, chi arriva a inginocchiarsi, perché anche questo è accaduto, dovrebbe essere inquadrato in una categoria giuridica che in questo momento facciamo fatica a individuare come concorso esterno in associazione mafiosa“. Queste le parole del Procuratore Lo Voi, il quale porta alla luce un tema già troppo discusso che riguarda un reato poco specificato in Italia. Per inquadrare meglio il problema non c’è spiegazione più esaustiva di quella del prof. Luca D’Auria, docente di Diritto, che spiega come l’assenza di una disposizione normativa di concorso esterno risulta come un pericolo data l’essenza della nostra legislazione, che non punisce chi commette un reato non previsto dalla legge italiana. Usufruendo di queste pecche, molti mafiosi hanno più volte ringraziato lo Stato, riportando un po’ in vita il film “Amici miei”, in particolare la scena dove Tognazzi e i suoi amici schiaffeggiavano i poveri signori affacciati dai finestrini del treno che partiva.
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[team title=”Antonio Casaccio” subtitle=”” url=”” image=”https://www.telejato.it/wp-content/uploads/2016/02/12746361_10205797915089520_592727240_n.jpg”]Studente liceale della provincia di Caserta. Con una grande passione per il giornalismo, si occupa di camorra e delle sue relazioni con la politica. Nel 2015 ha pubblicato il suo primo libro “Storie a Casaccio”.[/team]
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