Chiusa l’umana storia di Totò u Curtu. Non ne parliamo più
Stamani funerali privati per Totò Riina a Corleone
E così si è conclusa l’umana vicenda di u zzu Totò u Curtu. L’uomo davanti a cui tremava tutta l’Italia, la belva umana, colui che aveva seminato una scia di sangue e di morte durante il suo “regno”, il dittatore spietato che non ammetteva dissensi e che sparava sentenze di morte, come tutti gli esseri umani è finito dentro una bara e tumulato in quel cimitero dove dormono il sonno eterno le sue vittime, i suoi compagni di viaggio sulla via del crimine, assieme a coloro che hanno perso la vita per fare cambiare un paese che ormai, nell’immaginario collettivo è considerato come la capitale, il centro propulsore della mafia. Se n’è andato come un miserabile, morto senza la vicinanza dei suoi, che hanno potuto vederne solo la salma. Niente aereo per il trasporto funebre, ma una macchina grigia che da Parma nella notte si è imbarcata al porto di Napoli ed in mattinata è arrivata a Corleone.
Paese blindatissimo per tutta la notte. Ad accogliere il feretro non c’erano i corleonesi, tutti tassativamente rimasti a casa, anche perché a nessuno era concesso di avvicinarsi, ma in compenso c’era un lungo corteo di carabinieri, guardia di Finanza, polizia e poi quelli che non si levano mai il vizio di cercare una parola, di cogliere un movimento, un episodio, un volto da sbattere in copertina per fare notizia, quelli che si guadagnano il pane in questo modo, perché ricevono l’ordine di fare comunque un servizio da dare in pasto all’opinione pubblica. Davanti a questo codazzo di persone Totò u Curtu ha ricevuto l’estremo omaggio. C’era persino una televisione albanese, chissà perché. Tutti o quasi sono stati beffati, perché il corteo è entrato dalla porta di servizio del cimitero. Solite imprecazioni di Ninetta, che voleva starsene tranquilla con il suo dolore, solite espressioni funebri delle due figlie, dei loro mariti e del figlio scrittore, Salvatore, che ha continuato a recitare il suo ruolo di figlio a cui è morto il padre, non importa chi era e chi fosse stato, al di là di questo ruolo.
Nel cimitero sembrava aleggiassero i versi di Leopardi: “Tutto è pace e silenzio, e più di lor non si ragiona”. E c’è da sperare che questo silenzio possa davvero cadere, perché al momento fiumi d’inchiostro continuano a scriversi sulla carriera criminale di Riina, sui suoi 26 ergastoli, sui suoi presunti 1700 omicidi, sul suo presunto tesoro mai trovato, sui suoi possibili successori alla corona di capo dei capi, sul suo carisma che lo avrebbe portato a essere considerato tale anche durante i suoi venticinque anni di carcere duro, sul ruolo che potrebbe ancora recitare nello scenario mafioso la banda dei Corleonesi o quello che ne è rimasto. E invece è giunto il tempo di chiudere il libro, abbiamo letto l’ultima pagina, che comunque è stata scritta da tempo. Adesso si ricomincia, per molti aspetti si continua, non sull’eredità di un cammino fatto con la violenza, ma su quella più soft lasciata dal suo socio e antagonista, u zzu Binnu, che davvero merita il ruolo di grande Padrino, più di quanto non lo abbia ricoperto o meritato u zzu Totò u Curtu. Non lo scontro ma l’incontro, non la sfida ma l’alleanza, non i magri bilanci dell’economia siciliana, ma un progetto ad ampio respiro dove tutti gli organi istituzionali, attraverso amici, infiltrati, collaboratori, complici, vadano avanti con le alleanze giuste dei compari della ‘ndrangheta e della camorra, con i politici disonesti, ma che prendono e controllano i voti, per gestire la prateria di spazi criminali che offre il momento storico che stiamo attraversando.
Il mondo cambia ed è cambiata anche Cosa nostra. E quindi, assabbenerica zu Totò. Non ne parliamo più