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Chi è Calcedonio Di Giovanni?

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È del 4.10.2016 la notizia della definitiva confisca dei beni a Calcedonio Di Giovanni. Sulle stime del sequestro ci sono notizie differenti: alcune agenzie di stampa parlano di 100 milioni, altre, di 400 milioni. Chi è Di Giovanni? È un costruttore di 75 anni, che abita a Monreale, con interessi tra il trapanese e il palermitano.

Nel 1964, malgrado la sua laurea in agraria e un posto di ispettore presso il ministero agricoltura e foreste, nel 1964, raccogliendo l’eredità del padre Giuseppe Sciortino decide di mollare tutto e darsi alle costruzioni, costruendo un palazzo a Piazza Mokarta a Marsala, ed entrando nel 1972 in società, assieme ai suoi quattro fratelli, con Filippo Vaglica, nipote di Sciortino e con Giorgio Norrito, con i quali nel 1972 crea una società, La Mantide, che dichiarerà fallimento nel 1978. In contatto con la curia di Monreale e grazie ad altri contatti, costruisce, in tempi recenti, il Villaggio Primavera, alle porte di Palermo. Il 27 ottobre 2014 la Dia di Trapani e di Palermo effettua, nei suoi confronti, un sequestro per un valore stimato in 450 milioni di euro comprendente 20 società operanti nel settore immobiliare e i relativi compendi aziendali, 547 unità immobiliari, 12 veicoli, 8 rapporti e depositi bancari, terreni e case in provincia di Trapani e Palermo e una serie di società, molte delle quali oggi in liquidazione: la “Titano real estate limited”, la “Compagnia immobiliare del Titano”, Il “Cormorano”, la “Fimmco”, il “Campobello park corporation, “l’Immobiliare La Mantide”, “l’Associazione orchidea club, la “Selinunte country beach”, alcune quote del “Selene residence” di Campobello di Mazara, il “Parco di Cusa vita e vacanze”, la “Dentalhouse”, la “Numidia srl”. Il colpo più grosso è quello del villaggio vacanze Kartibubbo a Campobello di Mazara, un centinaio di costruzioni realizzate, secondo le indagini della DIA, con i soldi di Vito Roberto Palazzolo uno dei principali esperti nel riciclaggio internazionale dei soldi della mafia, trasferitosi in Sud Africa, dove ha costruito un impero, e adesso, dopo una lunga controversia internazionale con la Thailandia, assicurato alle carceri italiane. Il villaggio Kartibubbo viene rilevato dal Di Giovanni – si legge nel provvedimento del Tribunale presieduto da Piero Grillo “da potere del Palazzolo, con un notevole investimento posto in essere in un momento in cui Di Giovanni era del tutto sfornito di redditi leciti”.

Vito Palazzolo, su richiesta dello stesso Di Giovanni, ha fatto alcune dichiarazioni relative alla compravendita degli affari della Corporation Park, la società da lui creata e di cui era amministratore un tedesco, e in particolare dei terreni e del progetto approvato di un villaggio turistico, che vennero ceduti in “permuta” a Di Giovanni e ad altri suoi sette soci, assieme ad azioni che, a quel tempo non avevano l’obbligo della nominatività, in cambio di tre appartamenti realizzati, dallo stesso Di Giovanni, a Campobello di Mazara.

“Erano stati frapposti diversi ostacoli burocratici – spiega Palazzolo – e il sindaco Nenè Passanante si era opposto al progetto”. A quel punto, però, sarebbe stato chiesto “un sostegno ad un certo Centineo che a sua volta si era rivolto a Nenè Geraci che incontrò Passanante”. Geraci, era uno dei più autorevoli mafiosi della cosca mafiosa di Partinico, componente della “cupola”.

“Le vicende – dice Palazzolo – si appianarono mediante i pagamenti quando si rivolsero ad un progettista di area socialista, tale ingegnere Toscano… I fondi per il pagamento delle tangenti vennero recuperati attraverso una sopravvalutazione dell’opera, apparentemente indicata in due miliardi e mezzo di lire mentre ne sarebbero bastati due miliardi”. Secondo Palazzolo a risolvere tutto sarebbe stato l’on. socialista Vito Cusumano, presentato dal Toscano, il quale, dietro il pagamento di tangenti, avrebbe sistemato le cose, grazie anche al suo ruolo di componente della Commissione Lavori Pubblici. Geraci, dice Palazzolo, ricevette 20 milioni di lire, a titolo di commissione, che spese per comprare una villetta in contrada Ciammarita a Trappeto. La villa divenne luogo di incontri tra mafiosi, dove Palazzolo incontrava Brusca, Bagarella, Riina, Agate e molti altri mafiosi trapanesi.

Oltre che con Palazzolo, Di Giovanni, in società con i suoi fratelli, avrebbe agito al servizio e per conto dei mafiosi di Mazara del Vallo, primo fra tutti Mariano Agate, che risulta intestatario di uno degli appartamenti del villaggio Kartibubbo, mentre altri tre immobili sarebbero intestati a Giuseppe Burzotta e ad altri mafiosi della stessa cosca. Di Giovanni è descritto come un “imprenditore spregiudicato” in rapporti anche con la mafia di Castelvetrano, in particolare con Filippo Guttadauro, cognato di Matteo Messina Denaro, e con la mafia corleonese attraverso Pino Mandalari, commercialista di una serie di mafiosi, primo dei quali Totò Riina. “Di Giovanni – secondo il collaboratore di giustizia, adesso deceduto, Rosario Spatola – è un massone e sostanzialmente il prestanome di Mariano Agate, di Giovanni Bastone, ma soprattutto di Toto’ Riina”.

“L’esistenza di collegamenti fra mafia, massoneria trasuda – si legge nel provvedimento – da tutti gli atti di questo procedimento nella parte in cui viene in ballo il ruolo degli istituti di credito preposti al controllo dell’avanzamento dei lavori finanziati. Vennero erogate immense quantità di denaro in assenza totale di controlli e qualche volta con la chiara dimostrazione agli atti dell’assenza dei presupposti per continuare a finanziare l’opera”.

Ultimamente Di Giovanni, secondo la Dia, avrebbe tentato di sottrarre il proprio patrimonio alla scure delle misure di prevenzione, costituendo una società in Inghilterra, la “Titano Real Estate Limited” che si occupa di gestione di villaggi turistici con domicilio fiscale italiano nel villaggio Kartibubbo. L’amministratore della società, un mazarese, con la cui gestione si realizza un aumento del capitale che passa dai 100 euro iniziali ad 11 milioni di euro versati, anzi girati dalla “Compagnia immobiliare del Titano” con sede a San Marino alla società inglese. I soldi riguardano in gran parte gli immobili del villaggio turistico e la manovra, secondo gli investigatori, sarebbe stata ideata per evitare il sequestro.

Nella fedina penale del Di Giovanni ci sono una quindicina di imputazioni e condanne che vanno dalla truffa, all’abusivismo edilizio, al furto di energia elettrica: la truffa, patteggiata, sarebbe stata perpetrata per l’incasso di finanziamenti statali e della Comunità europea, per una cifra di 30 milioni di euro, falso in atti pubblici, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, al fine di costruire alloggi e megastrutture turistiche, con annessi centri benessere, mai completate o rendicontate con un saldo spese notevolmente gonfiato rispetto all’effettiva somma utilizzata: i riscontri della G.d.F., nell’operazione chiamata “Re Mida”, parlano di fatture per operazioni inesistenti documentate al Ministero dello Sviluppo Economico per la realizzazione delle opere e la fornitura dei beni strumentali per un ammontare di oltre 100.000.000,00 di Euro. Le aziende che avevano richiesto e ottenuto i finanziamenti, alcune di recente costituzione e “nate” per ottenere i finanziamenti inerenti la Legge 488/92, documentavano costi fittizi, e fatture per operazioni inesistenti, con ingenti ricavi, a credito d’I.V.A, con la conseguenza di non aver mai versato alcuna imposta all’Erario e, in taluni casi, ne hanno richiesto ed ottenuto anche indebiti rimborsi. Artefice di tutta l’operazione l’ing. Vito Abbate di Castelvetrano, un autentico esperto di progetti per truffare soldi allo stato e del quale non possono non essere stati complici i fratelli Di Giovanni.

Dalle indagini è emersa l’esistenza di una palese sperequazione fra i redditi dichiarati da Di Giovanni e il suo patrimonio, frutto di proventi illeciti derivanti da lottizzazioni abusive, truffe, omissioni contributive, fatturazioni per operazioni inesistenti e bancarotta per distrazione. Il Tribunale di Trapani ha quantificato in oltre sessanta milioni di euro il debito dell’imprenditore, che avrebbe evaso il fisco, nei confronti dell’Erario. Tra le sue molteplici attività, negli anni ’70 Di Giovanni progetta un altro mega villaggio turistico-nautico in contrada Torrazza, zona protetta, con un progetto di una sua società, La Mantide, in un’area di 170.000 mq. di proprietà della moglie Orsola  Sciortino, con un bacino portuale di 50 mila mq., 30 mila mq di fabbricati, 500 posti barca 8 piscine, ristoranti, bar botteghe, campi da tennis e una spiaggia privata. Si parla di un affare da 500 milioni, che avrebbe dovuto essere realizzato dalla Roof Garden di Michele Licata, Malgrado la concessione rilasciata dal comune di Marsala nel 1973 il progetto è poi stato bloccato dalle proteste e dalle manifestazioni degli ambientalisti.

Amministratore giudiziario dei beni di Di Giovanni è stato nominato Luigi Miserendino, assieme a lui un altro amministratore Roberta Paderni, avvocato palermitano che ha frequentato la Scuola di alta formazione per Amministratori giudiziari presso l’Università degli Studi di Palermo “Dems”, dove bazzica Cappellano Seminara.

Il caso di Di Giovanni presenta alcune anomalie, nel senso che, a parte le sue vicende giudiziarie, non imputabili ad implicazioni con la mafia, i contatti con massoneria e mafia trapanese sono solo ipotizzati e non sono sostanziati da alcun procedimento giudiziario. Di Giovanni non è stato mai affiliato, ma è giudicato “contiguo” alla mafia trapanese. C’è da chiedersi, inoltre, perché, viste tutte le collusioni accennate nell’ordinanza, che si riferiscono a quasi quarant’anni di attività, ne sia stato disposto il sequestro solo nel 2014.

Ultima nota: le cifre sul valore degli immobili sono sopravvalutate, riferendosi in parte a società non più esistenti e ad immobili calcolati tali, ma che in realtà sono in buona parte garagi. E ancora una nota: Di Giovanni è suocero di Lucio Geraci, uno dei più quotati amministratori giudiziari. A Di Giovanni sono stati imposti anche tre anni di sorveglianza speciale, con obbligo di dimora nel luogo di residenza


Accogliamo e pubblichiamo una richiesta di precisazione della dott.ssa Paderni, amministratrice giudiziaria del villaggio Kartibubbo, con la replica di Salvo Vitale, estensore dell’articolo.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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