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“Caso Saguto, tutti sapevano ma avevano paura”. Intervista di Popoff Quotidiano a Pino Maniaci

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Parla Pino Maniaci, direttore di Telejato, il giornalista che ha scoperchiato lo scandalo della gestione dei beni confiscati alla mafia in Sicilia.

Alessio Di Florio – fonte: http://popoffquotidiano.it/2015/09/23/caso-saguto-tutti-sapevano-ma-avevano-paura/

Pino Maniaci è il direttore di Telejato, coraggiosa emittente televisiva siciliana impegnata da tantissimi anni in denunce e inchieste contro mafie e malaffare. In queste settimane è “esploso” il caso della gestione dei beni confiscati finiti nel mirino della Procura di Caltanissetta che accusa Silvana Saguto (ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, dimessasi dopo l’esplodere del caso) di aver costruito un vero e proprio sistema di pochi amministratori giudiziari “amici”.

Pino, tu già negli anni scorsi hai denunciato quanto stava accadendo. Puoi farci un brevissimo riassunto della vicenda?

Praticamente si è scoperta una parentopoli che definisco di ladri, un “verminaio” con un uso e consumo personale dei beni sequestrati. Pochi noti venivano nominati amministratori e li portavano al fallimento, così non dovevano rendicontare neanche i loro emolumenti e presentare i bilanci alla Camera di Commercio. L’ho definita l’allegra gestione della mafia dell’antimafia.

L’inchiesta di Telejato  come iniziò? Da dove hai cominciato a scoprire quel che succedeva?

Tutto è iniziato circa 5 anni fa. 20 operai in un bene sequestrato (cave) stavano per essere licenziati con la scusa della mancanza di lavoro. Quella sera chiamai Salvatore Benanti, che ne era l’amministratore Giudiziario per chiedere spiegazioni, lui rispose “lei mi sta disturbando perché sto cenando”, al che gli feci notare che c’erano dei lavoratori che rischiavano di non poter più cenare per quanto stava accadendo. Alla fine, disse di essere disponibile il giorno dopo ma non venne e trovai la strada sbarrata da un carabiniere. Alla mia frase “ma questo bene non è sequestrato? Quindi è anche mio” minacciò di chiamare il giudice del tribunale e risposi “se vuole li chiamo io”. Quando capì che non mollavo mi fece entrare offrendomi un caffè che rifiutai dicendo”non voglio un caffè, voglio Benanti”. Uscito da lì mi recai in tribunale dove la Saguto non mi volle ricevere. Andai dal presidente tribunale Guarnotta, da cui dipende direttamente la Saguto. Chiesi a Guarnotta come mai i nomi erano sempre gli stessi, la risposta fu che c’era un albo (con più di 4.000 nomi) e che i prescelti o sono bravi o “gli piacciono i piccioli”. Al che risposi che la risposta era sicuramente la seconda perché sapevo di molti fallimenti e quindi bravi non erano. Ero appena rientrato a Telejato che Guarnotta mi richiamò dandomi il numero di cellulare della Saguto. La chiamo e mi rispose che poteva ricevermi subito e ci vedemmo alle 17.30 (anche se a quell’ora il tribunale era chiuso).  Mi disse di mandarmi via email le domande che volevo porgli. La sensazione che ho avuto fu che io volevo sapere come funziona la gestione e le nomine e lei invece voleva capire cosa avessi scoperto. Scrivo e mando 10 domande, tra cui su Cappellano Seminara, il “re degli amministratori” con 96 incarichi, e la voce che il marito della Saguto lavorasse proprio con Cappellano Seminara. Mi rispose dopo un mese con tre righe che non era suo compito rispondere. Da lì cominciai ad occuparmi della vicenda su cui arrivai a trasmettere quasi ogni giorno un servizio

Come mai ci sono voluti anni per arrivare a questo punto? Come è possibile che una televisione sia “arrivata” anni e anni prima?

Più andavo avanti e più vedevo che tutti sapevano ma avevano il “sacro terrore” della Saguto che in un’intervista dichiarò “l’antimafia sono io”. Nei giorni scorsi in una cava di Trabia (in provincia di Palermo) un ex dipendente ha ucciso due ex colleghi. La cava è stata sequestrata nel 2007 e l’amministratore nominato dal giudice è Cappellano Seminara, che ha dichiarato in queste ore che l’inchiesta di Caltanissetta ha scatenato risentimento e voglia di ritorsione contro gli amministratori. Il coadiutore (per ogni impresa vengono nominati 3 coadiutori che collaborano con l’amministratore) del bene è il figlio del cancelliere del tribunale misure prevenzione.  Riassumendo sulle nomine si crea una vasta rete di interessi convergenti.

La notizia ha conquistato ampio spazio in quotidiani e televisioni nazionali ma quasi nessuno ha citato Telejato. Secondo te come mai? Disattenzione, superficialità, censura o altro?

Quando iniziai chiesi aiuto alle grandi trasmissioni televisive, che mi lasciarono solo. Adesso siamo forse al “rimorso di coscienza”.

Hanno destato recentemente scalpore le parole di Nicola Gratteri su associazioni antimafia e sui finanziamenti che alcune  ricevono. In recenti interviste hai dichiarato di essere abbastanza d’accordo con quelle parole. Perché?

L’antimafia non deve diventare un business, anzi dovrebbe essere nel cuore di tutti, altrimenti si rischia di diventare come i mafiosi. Io sostengo l’antimafia sociale dal basso non quella che riceve finanziamenti a iosa. Telejato non si fa pagare da nessuno.

Hai iniziato l’avventura a Telejato nel 1999, acquistandola da Rifondazione Comunista.  Come mai una tv locale con un singolo ha avuto questa crescita?

Telejato aveva 60 milioni di lire di debito con il Ministero delle Poste e  Telecomunicazioni che io saldai evitandone così la chiusura. Telejato fa giornalismo normale (denunce, inchieste su politica, mafia, malaffare etc.) in un Paese dove il giornalismo spesso non è normale. Noi da subito “fuori dagli schemi” facemmo nomi e cognomi, irridendo e definendo anche “pezzi di merda” mafiosi e collusi.

Si potrebbe replicare l’esperienza di Telejato anche in altre regioni? Potrebbe essere ipotizzabile una rete di tante  Telejato sparse su tutto il territorio nazionale?

Purtroppo la legge non permette altre concessioni. Col passaggio al digitale abbiamo aperto Telejunior, aperto a ragazzi e ragazze di tutta italia a cui garantiamo anche vitto e alloggio. Tantissimi in questi anni sono passati di qui, facendo vero giornalismo, andando per le strade consumando le suole delle scarpe e con la schiena dritta, e al ritorno hanno aperto blog, web tv ed altro. Tra tutti quelli che sono passati di qui vorrei ricordare  Salvo Ognibene, Nicola Capizzi e Ivano Asaro.

Se qualcuno, conoscendo la tua storia volesse seguire l’esempio di Pino Maniaci e Telejato tu cosa gli consiglieresti?

Tanti, troppi, in tutta Italia, stanno personalizzando su di me, e non deve essere così, anche perché invito i ragazzi ad aprire siti, blog e a parlare di mafie, rimanendo sempre se stessi perché sognano e serve un’Italia più normale e legale. E nei giovani ho tanta fiducia.

Per parlare di mafia, per fare inchiesta non è necessario avere il tesserino da giornalista perché siamo tutti cittadini e l’articolo 21 della costituzione afferma che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”. Io sono stato assolto dall’accusa di “esercizio abusivo della professione di giornalista” grazie a quanto stabilito da quest’articolo.

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Alessio Di Florio

Militante comunista libertario e attivista eco-pacifista, collaboratore di Wordnews.it e referente abruzzese dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink, Telematica per la Pace. Collabora con Pressenza, Giustizia.info, QcodeMagazine, Comune-Info e altri siti web. Autore di articoli, dossier e approfondimenti sulle mafie in Abruzzo, a partire da mercato degli stupefacenti, ciclo dei rifiuti e "rotta adriatica" del clan dei Casalesi, ciclo del cemento, post terremoto a L'Aquila, e sui loro violenti tentativi di dominio territoriale da anni con attentati, intimidazioni, incendi, bombe con cui le mafie mandano messaggi e tentano di "marcare" la propria presenza in alcune zone, neofascismo, diritti civili, denunce ambientali tra cui tutela coste, speculazione edilizia, rischio industriale e direttive Seveso.

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