Caso Libera, si fa chiarezza in Veneto, Guidotto: “Episodi opachi anche qui”
Enzo Guidotto, presidente dell’Osservatorio Veneto sul fenomeno mafioso, interviene sull’affaire Libera venuto a galla definitivamente dopo un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 9 dicembre.
«È bene che certe vicende diventino di dominio pubblico, la collettività deve essere informata» rimarca il professore a Vvox.it. E nel farlo ricorda altri casi che, stavolta nel Veneto, hanno investito Libera, la più nota associazione antimafia in Italia. I detrattori accusano il fondatore don Luigi Ciotti di gestirla in maniera tanto autoreferenziale da rasentare l’autoritario. Ma al contempo le polemiche si sono moltiplicate anche per i fondi pubblici che la galassia che ruota attorno alla associazione gestirebbe in modo non sempre trasparente.
Professore, il dibattito sul caso é molto acceso sui media. Un caso autentico?
“Oportet ut scandala eveniant” dice un proverbio latino: è sempre opportuno che gli scandali avvengano perché solo così si possono fare emergere i mali nascosti della società e scatenare una giusta reazione collettiva che può portare al loro superamento.
Quindi sarebbero state nascoste delle verità?
Di fatto, ne abbiamo avuto notizia soltanto ora, grazie a due giornalisti davvero liberi. Per essere tali non occorre essere iscritti a un’entità che si chiama ‘Libera’. La Rizza e Pipitone lo sono perché hanno dimostrato di esercitare la loro professione senza riguardo per nessuno. Altri, anche su ‘La Repubblica’, si sono sempre dilungati in “distinguo”.
Per non deturpare l’immagine della associazione fondata da don Ciotti?
Mah! ‘Libera’, nel suo complesso, è sicuramente un’associazione benemerita. Ma non tutti quelli che ne fanno parte… In tutti i casi, non bisogna farsi incantare dalla gente che sfoggia distintivi, bandierine e gagliardetti con la scritta ‘Libera’! Si è credibili per ciò che si fa con coerenza, non per ciò che si proclama facendo poi finta di non vedere, non sentire, non capire e non sapere certe cose. Ha ragione Franco La Torre: i casi della Saguto a Palermo e di ‘Mafia Capitale’ a Roma non sono scoppiati dall’oggi al domani. Possibile che tanti di ‘Libera’, presenti quasi capillarmente nel territorio, non se ne fossero accorti? Dov’è andata a finire la denuncia profetica auspicata dai martiri dell’antimafia vera, genuina e coraggiosa? «Il nostro impegno profetico di denuncia – disse don Giuseppe Diana – non deve e non può venir meno». Secondo me c’è stata piuttosto intolleranza per le idee, le opinioni ed i giudizi di Franco La Torre. Alla faccia del pluralismo culturale tanto sbandierato!
Come commenta la vicenda di Franco La Torre?
Franco La Torre, figlio di Pio, presentatore della prima vera legge antimafia, è stato “sfiduciato” da Ciotti in persona con un semplice sms e lui ha sbattuto la porta… Eppure, moltissimi beni confiscati, grazie a quella legge, sono gestiti da entità legate a ‘Libera’…
Che dice lei al riguardo?
La “sfiducia” ed i provvedimenti per presunta mancanza di rispetto delle regole, in qualsiasi associazione che si rispetti, sono disposti dal comitato dei Garanti – o Probiviri che dir si voglia – e non dal Presidente. Se le cose sono andate come le ha fatte conoscere Franco La Torre, secondo me, Ciotti ha abusato del suo potere. Ma gli effetti si sono rivelati controproducenti: un autentico boomerang per lui. E poi sono saltati fuori anche gli altarini illustrati dai giornalisti de “Il Fatto”: «Consulenze, soldi pubblici e veleni» è il titolo del loro articolo da Lei citato. E così, abbiamo saputo anche delle dimissioni di ben cinque dirigenti nazionali e delle ricche consulenze dell’avvocato facente parte dell’ufficio di presidenza nonché difensore di parenti di vittime di mafia: particolari che hanno evidenziato situazioni piuttosto imbarazzanti perchè scandalose, prima non note all’opinione pubblica nazionale, che ne ha preso atto traendone delle conclusioni. Per questo mi è venuta in mente quella frase: «Oportet ut scandala eveniant». Ovviamente, bisogna aspettare che si faccia chiarezza fino in fondo per fare l’ultimo commento. E c’è da sperare che il dibattito su questa vicenda possa favorire un vero rinnovamento ed una rinascita salutare di ‘Libera’.
Lei parla di Garanti o Probiviri. Ma esistono nell’organigramma di ‘Libera’?
Certo che esistono! Sono previsti dallo Statuto e presenti con nome e cognome nel sito ufficiale dell’associazione. Ma si vede che in questo caso non hanno funzionato. Probabilmente non hanno avviato l’esame del caso La Torre-Ciotti per un eccesso di timore reverenziale nei confronti del Presidente, che ha agito come ha agito. E non sarebbe stata la prima volta anche per questioni locali…
In che senso?
Ricordo che alla fine degli anni ’90, quando ero referente regionale di ‘Libera’ per il Veneto, durante un’assemblea nazionale, a una mia richiesta di spiegazioni sull’incomprensibile silenzio riguardante una certa situazione verificatasi qui da noi, bene illustrata in una lunga lettera, Saveria Antiochia – mamma di Roberto, il poliziotto ucciso a Palermo nel 1985 assieme al vicequestore Ninni Cassarà – membro del Comitato dei Garanti, disse di aver letto la segnalazione, di aver telefonato più volte al Presidente del Comitato, Maurizio De Luca, per l’esame della questione ma senza esito. Ignorato tutto! Anche Ciotti aveva saputo ed era presente a quella riunione.
Nessuna risposta. Possibile?
Lo ricordo benissimo, così come ricordo un’altra vicenda, sempre in assemblea nazionale. Si dovevano eleggere i Garanti, ma non c’erano idee chiare: non venivano fuori nomi graditi alla dirigenza. Ciotti disse che ci avrebbe pensato lui in seguito. Ma in un’associazione democratica i Garanti, in qualche modo “controllori”, possono essere designati e scelti dai “controllati”?
Come andò a finire?
Non lo so. Mi bastò quell’episodio… Poi mi allontanai gradualmente da ‘Libera’. Tra l’altro devo dire che agli inizi, dopo la nascita dell’associazione, le manifestazioni nazionali si svolgevano all’interno delle ‘Feste dell’Unità’ con grande mio imbarazzo, non essendo io stato di area PCI-PDS, ed essendo portato a segnalare situazioni scomode che all’occhio di chi opera all’interno di un certo sistema fanno invece apparire scomodo chi le fa. Parlo degli anni in cui ci fu l’influenza di Massimo D’Alema: venivano emanati provvedimenti che trasformavano provvedimenti legislativi ed amministrativi antimafia rivelatisi validi in armi spuntate e guai a parlarne: per certi soggetti qualsiasi critica su quell’andazzo era presa come offesa di lesa maestà per quell’area politica. Poi non volli più sentirne.
Quale il momento cruciale?
Quando in un’assemblea regionale a Cittadella si parlò della promozione della vendita di “Olio di Libera”. I due signori al vertice dell’associazione regionale – il “prete rosso” come lo chiamano a Bassano e un laico della stessa area – dissero che si poteva collocare a un certo prezzo, ma una parte del ricavato doveva andare all’associazione. Io obiettai: «Mi pare una specie di ‘pizzo’». Indignazione generale. Mi sforzai di spiegare che quando un prodotto non è conosciuto dai consumatori bisogna giocare sul prezzo o sulla quantità rispetto a ciò che c’è sul mercato. Offrire bottiglie più piccole delle altre – come erano all’epoca quelle di ‘Libera’ – e ad un prezzo, al confronto piuttosto alto, non agevola la collocazione o la concorrenza: per farla, o si offre una bottiglia con uguale contenuto a un prezzo inferiore a quello delle altre oppure si offre allo stesso prezzo una bottiglia con maggiore contenuto. Tanto più che all’epoca la qualità dell’ “Olio di Libera” non era noto al grosso pubblico. Obiezione respinta! E dire che le leggi del mercato le ho insegnate per circa trent’anni…
Come finì? Quale prezzo fu fissato?
Non lo so. Comprai una cassetta di olio, diedi 50 euro ed ottenni il resto. Ma non controllai quanto mi era stato restituito… Non verificai se mi avevano applicato il prezzo al netto o al lordo… Poi non andai più a quelle assemblee. Per alcuni anni mi sono iscritto a ‘Libera’ di Trapani – dove vado molto spesso – quando c’era referente provinciale Margherita Asta. Ma devo dire che, anche senza essere iscritto, l’anno scorso sono stato invitato al Congresso Regionale di ‘Libera Sicilia’. Ci sono andato, ho manifestato certe critiche sulla situazione dell’associazione in Veneto, causa del mio allontanamento, ed ho espresso consigli e suggerimenti. E proprio per quelle critiche e per quei consigli e suggerimenti sono stato ringraziato: altro stile, altro impegno, libertà di espressione molto apprezzata…
E in Veneto?
Beh, la storia sarebbe lunga. Mi dicono che da circa un anno c’è un bravo referente regionale. Ma devo aggiungere che dopo l’insediamento del mio successore come referente regionale, avvertii una certa incompatibilità per la sua gestione accentratrice ed esclusivista dell’associazione. E non solo io. Quello che era stato referente regionale assieme a me nel settore dell’ “educazione alla legalità”, di professione epistemologo al Teatro “La Fenice” di Venezia, se ne uscì, come anche il Presidente del Distretto Scolastico di Cittadella, con il quale avevamo fatto grandi cose. L’epistemologo, il Presidente ed alcuni docenti impegnati da decenni nella promozione di iniziative di approfondimento culturale e di sensibilizzazione civica sul fenomeno mafioso, a quel punto non ne vollero più sapere né di ‘Libera’ né delle iniziative antimafia. Persone di “qualità” eccellente! Un vero disastro.
E poi?
‘Libera’ andò comunque avanti nel territorio. Questo bisogna riconoscerlo. Ma ciò anche grazie a rapporti privilegiati ed esclusivi con esponenti di una certa area politica, alla faccia del proclamato pluralismo culturale.
Ci sono stati particolari episodi censurabili e censurati?
Censurabili si, censurati no.
Che significa?
Significa, ad esempio, che a forza di fare “antimafia senza nomi”, il mio successore, nel 2011, in occasione della tappa della ‘Carovana antimafia’ di ‘Libera’ a Vicenza, da lui promossa – inevitabilmente con la collaborazione del referente del posto – ed organizzata con il patrocinio del Comune berico, ricordò le vittime di mafia stando accanto a Danilo Preto, amministratore delegato di ‘Vicenza Calcio’ e patron dei magazzini SISA al quale in precedenza avevano sequestrato quote di società di pertinenza di Salvatore Lo Piccolo, erede di Bernardo Provenzano nel Palermitano. I vertici di ‘Libera’, al corrente della vicenda, lasciarono indisturbato quel referente regionale per altri tre anni.
Di chi si tratta?
Di don Luigi Tellatin. Il quale si giustificò dicendo che non conosceva Preto, che era stato invitato dal Comune, che comunque si trattava di cosa di poco conto… Ma da quando in qua nella realizzazione di una manifestazione si ha a che fare con persone che non si conoscono? Se fu invitato dal Comune, è credibile che il Comune non curi la rassegna stampa? Non era conosciuto il personaggio? Ma se per via del calcio era un personaggio pubblico! E il referente vicentino di ‘Libera’ che – che mi pare avesse qualche ruolo nel Comune – cosa ci stava a fare? Ma erano davvero cose di poco conto? Di certo c’è che le quote sociali sequestrate non erano state dissequestrate, segno che il procedimento sugli interessi economici dei Lo Piccolo e dei loro prestanome e collaborazionisti era – e forse è ancora – in corso. La carta stampata ha ignorato il caso. Se si fosse verificato in Sicilia sarebbe finito nelle prime pagine della cosiddetta ‘grande stampa nazionale’.
Qualche altro caso?
Un altro, per concludere. L’anno scorso Franco Devincenszis, il referente provinciale di ‘Libera Treviso’, preside di un istituto superiore è stato rinviato a giudizio per molestie aggravate a sfondo sessuale nei confronti di una docente della stessa scuola ed è ancora sotto processo per quel reato. Le “autorità” nazionali di ‘Libera’ furono informate. Ma lui non si dimise subito: si è soltanto autosospeso – dando così un senso di provvisorietà a quella decisione – un mese dopo, quando la stampa fece sapere che era stato denunciato anche dalla ex moglie per il mancato pagamento di somme dovute.
È davvero sicuro che non ci sia qualche altro caso interessante?
Ora che me lo chiede, ricordo un caso… “indiretto” che fa capire quanto siano ruffiani certi soggetti. Una volta a Vicenza, un aderente a ‘Libera’, di chiara area politica, mi presentò un poliziotto iscritto a un sindacato collegato alla CGIL che diceva di avere un certo interesse per l’antimafia. «Io la conosco, Lei – mi dice – è intervenuto ai nostri congressi provinciali e a quello regionale, a Recoaro… Per questo mi meraviglio di certe Sue frequentazioni…». Voleva accreditarsi chiaramente e ruffianamente al comune conoscente, di area CGIL-PDS. Beh! – rispondo – se mi vede frequentare carabinieri, tenga conto che appartengo a una famiglia legata da cinque generazioni alla Benemerita: un record. «No – precisa sui – mi riferivo alla… “concorrenza interna”: al SAP», sindacato ritenuto di centro-destra. Ma sa, io – chiarisco – quando faccio interventi in iniziative organizzate da sindacati di polizia dico sempre le stesse cose. E aggiungo sempre: più vi dividete, più fate il gioco dell’amministrazione che vi vuole divisi. Invece, l’unione fa la forza. La conversazione finì lì. Qualche anno dopo ho letto sui giornali che lo zelante poliziotto comunista era stato arrestato per via di una questione di permessi non dovuti ad extracomunitari dietro compenso. Scarcerato finì nuovamente in galera per una questione di sfruttamento della prostituzione. Alla faccia della cultura dell’appartenenza…
Marco Milioni – Vvox.it del 13 dicembre 2015