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Beni sequestrati: anno nuovo legge nuova. Nuova?

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Come tutti gli annunci del governo Renzi, secondo la tecnica berlusconiana del “tutto fumo niente arrosto”, è stato strombazzato ai quattro venti che, entro  novembre , ma più realisticamente entro il gennaio 2016 dovrebbe essere approvato, dalla Camera e dal Senato il nuovo testo che regolamenta tutta la normativa sui beni confiscati alla mafia, sul quale si discute da più di due anni presso la Commissione Giustizia del Senato.

Poche le novità, dal momento che entrare in un meccanismo così delicato significa scontrarsi con alcuni settori importanti della magistratura e togliere dalle sue mani uno strumento che consente di amministrare oltre 50 miliardi di  euro di beni  attraverso il rodato meccanismo della nomina, a scelta del magistrato, dell’amministratore giudiziario. Si tratterebbe di riformare un settore in modo da dare un’occasione di respiro all’economia meridionale, ridotta al fallimento dalla gestione fallimentare, nel 90% dei casi dei beni sequestrati e disamministrati. Nessuno ha voglia di avventurarsi su questo “mare periglioso”, dal momento che il Sud, come scrive l’Espresso , è scomparso e non c’è alcuna volontà di portare avanti politiche meridionalistiche, perchè la scelta è quella imposta dallo slogan della Lega: “Prima il Nord”. Pare che le nuove proposte lascino contenti tutti: contenti i sindacati, che avranno la loro fetta di rappresentanza, nel garantire, se ne stanno accorgendo ora, il posto di lavoro a coloro che, col cambio di gestione, (lo stato al posto della mafia), sono licenziati e sostituiti da amici degli amministratori, sino al momento in cui il fallimento dell’impresa non li manderà tutti a casa. Contente alcune associazioni, in particolare Libera, che è un insieme di associazioni, cui viene garantito, grazie alla sua rodata capacità di elaborare progetti di utilizzo del bene, la parte più sostanziosa dell’insieme. Contenta la Confindustria, i cui manager saranno in prima fila, presumendo che sappiano amministrare meglio di quanto non abbiano sinora fatto commercialisti ed avvocati “amici” dei tribunali. Contenta Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia, malgrado (per sua ammissione) le sue poche conoscenze del fenomeno, la quale ritiene che questo era un impegno ed è una vittoria della stessa Commissione. Contento Renzi, perché la nuova gestione, in linea con la sua strategia accentratrice, non dipenderà dal ministero della Giustizia, ma direttamente dal Presidente del Consiglio e non avrà più la sua sede nazionale a Reggio Calabria, come sino ad adesso, ma da Roma, con il controllo di altre sedi ubicate in particolari città caratterizzate da presenze mafiose. Sulla scelta di Roma, anziché di Palermo, dopo “Mafia capitale”, si può anche essere d’accordo. Contenti persino gli attuali uffici periferici, che saranno rinforzati con l’assunzione di 300 persone. Certo che, se lavoreranno tutte come quelle dell’Ufficio di Palermo, avranno la possibilità di riposare tranquillamente in comodi uffici dotati di tutti i comfort. Basti dire  che presso la sede palermitana, si sono presentate, qualche mese fa, alcune persone che, dopo un lungo periodo di sequestro di tutti i loro beni, nonostante le prove tangibili che il loro congiunto non era legato a un fratello mafioso, si sono viste confiscare le case in cui abitavano e sono state costrette a sloggiare, malgrado non avessero dove andare e tra loro c’erano persone malate e bisognose di cure. Chiedevano una proroga, in attesa di trovare una sistemazione. Dal citofono il funzionario ha risposto che bisognava fare richiesta scritta o per e-mail e attendere la convocazione. Nel frattempo è arrivato l’ordine di sgombero. Sarà di sicuro soddisfatto il sempre soddisfatto e trasparente ministro della giustizia Orlando, soddisfatto persino il procuratore Caselli. Il fatto è che ancora non si conosce il testo della legge, tenuto sotto stretto segreto, e che si sono lasciate trapelare alcune “veline”  per renderlo già appetibile.

Le proposte di Telejato

È il caso di richiamare alcune proposte che sono state avanzate alla Commissione Antimafia dall’emittente Telejato, da tempo impegnata a denunciare gli sprechi, le malversazioni e  i fallimenti  in questo settore:

  1. consentire l’immediato pagamento dei creditori dell’azienda sin dal momento della confisca, per evitare di causare il fallimento di aziende fornitrici legate all’indotto su cui l’azienda confiscata opera;
  2. legare il momento della confisca a quello dell’iter giudiziario, nel senso che non  si può procedere alla confisca di un bene se non è dimostrata, almeno nel primo grado di giudizio, la sua provenienza mafiosa;
  3. non consentire più di un incarico agli amministratori giudiziari e pertanto, servirsi a rotazione di un albo-elenco degli amministratori giudiziari, che esiste e comprende più di 5000 iscritti, ma di cui non si tiene alcun conto;
  4. fissare un tariffario delle prestazioni degli amministratori giudiziari e dei periti, con il rimborso delle parcelle a carico dello Stato, non delle aziende sotto sequestro;
  5. svincolare le competenze di emissione dei decreti di confisca o di sequestro e quelle di nomina degli amministratori  dalle mani di un solo magistrato e allargarne la facoltà a tutti i magistrati del pool antimafia;
  6. individuare e colpire l’eventuale responsabilità penale dell’amministratore giudiziario obbligandolo a presentare annualmente i bilanci , revocandogli l’incarico nel caso di gestione passiva non motivata adeguatamente e obbligandolo a risarcire i danni nel caso di amministrazione fraudolenta o di palese incapacità gestionale;
  7. risarcimento, da parte dello stato, dei danni provocati da cattiva amministrazione giudiziaria, nel caso di proscioglimento delle accuse e non consentire il ricorso alla reiterazione del provvedimento di confisca, come si è recentemente verificato;
  8. immediata esecuzione, che non vada oltre un mese,  del provvedimento giudiziario di conferma o dissequestro  e coordinamento dell’aspetto penale con quello di prevenzione, in modo da evitare discrasie e soggettivo uso del potere da parte dell’Ufficio di prevenzione. I casi scandalosi di rinvii, spesso di vari mesi, se non di anni, causati da  ritardi, da momentanei malesseri e  da altre scuse prodotte dal magistrato incaricato delle misure di prevenzione o di suoi colleghi non possono essere giustificabili, anche perché l’azienda sotto confisca corre il rischio di perdere il suo giro di affari o di essere messa in liquidazione da amministratori giudiziari che girano attrezzature e macchinari, svenduti a prezzi irrisori ad altre aziende sotto il loro controllo;
  9. possibilità di revoca, su eventuale richiesta motivata, dell’incarico di amministratore giudiziario da parte di un magistrato inquirente diverso da quello che ne ha fatto la nomina e che è solitamente il giudice addetto alle misure di prevenzione;
  10. utilizzazione del fondo già esistente di qualche  miliardo di euro, attualmente congelato da Equitalia,  a sostegno delle aziende la cui amministrazione passiva non sia imputabile a cattiva gestione dell’amministratore;
  11. non consentire la vendita a privati dei beni di titolarità dell’azienda confiscata;
  12. favorire, nei bandi per l’assegnazione, l’imprenditoria giovanile, le strutture cooperativistiche, i progetti che si occupino di agricoltura, con facili norme per accedere a forme di credito agevolato per l’acquisto di quanto serve a impiantare l’azienda;
  13. consentire il ritorno alla gestione del bene a coloro che, dopo la fase processuale, abbiano dimostrato volontà e intenzione di continuare il tragitto di lavoro nell’ambito della legalità;
  14. rivedere i ruoli, spesso conflittuali e le competenze della DDA e della DIA e verificare se è il caso, come già suggerito dal magistrato Gratteri, di eliminarne uno. Lasciano stupefatti le stime dei beni fatti dalla DIA, di gran lunga lontane dalla realtà dei fatti. Il caso più abnorme è stato quello dei costruttori Virga di Marineo, iscritti a Libero Futuro, danneggiati da attentati mafiosi ai loro cantieri, ammessi al risarcimento dal tribunale di Palermo e oggetto, recentemente,  di uno stratosferico sequestro di un miliardo e 700 mila euro, strombazzato ai quattro venti e  praticamente inesistenti. Anche il prefetto Postiglione ha pubblicamente ammesso che certe stime sono sovradimensionate.

Come è facile intuire, la richiesta più importante è quella di  distribuire l’immenso potere di cui dispone il singolo magistrato addetto alle misure di prevenzione, nell’amministrazione di un impero finanziario, utilizzando le competenze anche di altri magistrati, al fine di non strozzare ulteriormente, sino ad arrivare al collasso, la debole economia siciliana, nella quale, il settore dei beni confiscati, salvo pochissimi casi, ha accumulato fallimenti, gestioni poco trasparenti e disperazione da parte di lavoratori trovatisi sul lastrico. Anche la possibilità di affidamento della gestione dei beni  ai rampolli di una Confindustria apparentemente verniciata di antimafia, non è la soluzione del problema, ma sarebbe necessario, come già in qualche altra regione, organizzare  corsi di formazione fatti da gente qualificata e che non siano occasione, come al solito, per distribuire il finanziamento del corso ai soliti “amici” e rilasciare l’attestato a tutti, senza accertare l’acquisizione di competenze.

Naturalmente queste radicali proposte non saranno mai prese in considerazione, perché cambierebbe radicalmente tutto. E allora rimane solo l’apparenza siciliana del cambiamento, anziché il cambiamento reale.

Di Salvo Vitale per telejato.it

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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