Poche le novità, dal momento che entrare in un meccanismo così delicato significa scontrarsi con alcuni settori importanti della magistratura e togliere dalle sue mani uno strumento che consente di amministrare oltre 50 miliardi di euro di beni attraverso il rodato meccanismo della nomina, a scelta del magistrato, dell’amministratore giudiziario. Si tratterebbe di riformare un settore in modo da dare un’occasione di respiro all’economia meridionale, ridotta al fallimento dalla gestione fallimentare, nel 90% dei casi dei beni sequestrati e disamministrati. Nessuno ha voglia di avventurarsi su questo “mare periglioso”, dal momento che il Sud, come scrive l’Espresso , è scomparso e non c’è alcuna volontà di portare avanti politiche meridionalistiche, perchè la scelta è quella imposta dallo slogan della Lega: “Prima il Nord”. Pare che le nuove proposte lascino contenti tutti: contenti i sindacati, che avranno la loro fetta di rappresentanza, nel garantire, se ne stanno accorgendo ora, il posto di lavoro a coloro che, col cambio di gestione, (lo stato al posto della mafia), sono licenziati e sostituiti da amici degli amministratori, sino al momento in cui il fallimento dell’impresa non li manderà tutti a casa. Contente alcune associazioni, in particolare Libera, che è un insieme di associazioni, cui viene garantito, grazie alla sua rodata capacità di elaborare progetti di utilizzo del bene, la parte più sostanziosa dell’insieme. Contenta la Confindustria, i cui manager saranno in prima fila, presumendo che sappiano amministrare meglio di quanto non abbiano sinora fatto commercialisti ed avvocati “amici” dei tribunali. Contenta Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia, malgrado (per sua ammissione) le sue poche conoscenze del fenomeno, la quale ritiene che questo era un impegno ed è una vittoria della stessa Commissione. Contento Renzi, perché la nuova gestione, in linea con la sua strategia accentratrice, non dipenderà dal ministero della Giustizia, ma direttamente dal Presidente del Consiglio e non avrà più la sua sede nazionale a Reggio Calabria, come sino ad adesso, ma da Roma, con il controllo di altre sedi ubicate in particolari città caratterizzate da presenze mafiose. Sulla scelta di Roma, anziché di Palermo, dopo “Mafia capitale”, si può anche essere d’accordo. Contenti persino gli attuali uffici periferici, che saranno rinforzati con l’assunzione di 300 persone. Certo che, se lavoreranno tutte come quelle dell’Ufficio di Palermo, avranno la possibilità di riposare tranquillamente in comodi uffici dotati di tutti i comfort. Basti dire che presso la sede palermitana, si sono presentate, qualche mese fa, alcune persone che, dopo un lungo periodo di sequestro di tutti i loro beni, nonostante le prove tangibili che il loro congiunto non era legato a un fratello mafioso, si sono viste confiscare le case in cui abitavano e sono state costrette a sloggiare, malgrado non avessero dove andare e tra loro c’erano persone malate e bisognose di cure. Chiedevano una proroga, in attesa di trovare una sistemazione. Dal citofono il funzionario ha risposto che bisognava fare richiesta scritta o per e-mail e attendere la convocazione. Nel frattempo è arrivato l’ordine di sgombero. Sarà di sicuro soddisfatto il sempre soddisfatto e trasparente ministro della giustizia Orlando, soddisfatto persino il procuratore Caselli. Il fatto è che ancora non si conosce il testo della legge, tenuto sotto stretto segreto, e che si sono lasciate trapelare alcune “veline” per renderlo già appetibile.
È il caso di richiamare alcune proposte che sono state avanzate alla Commissione Antimafia dall’emittente Telejato, da tempo impegnata a denunciare gli sprechi, le malversazioni e i fallimenti in questo settore:
Come è facile intuire, la richiesta più importante è quella di distribuire l’immenso potere di cui dispone il singolo magistrato addetto alle misure di prevenzione, nell’amministrazione di un impero finanziario, utilizzando le competenze anche di altri magistrati, al fine di non strozzare ulteriormente, sino ad arrivare al collasso, la debole economia siciliana, nella quale, il settore dei beni confiscati, salvo pochissimi casi, ha accumulato fallimenti, gestioni poco trasparenti e disperazione da parte di lavoratori trovatisi sul lastrico. Anche la possibilità di affidamento della gestione dei beni ai rampolli di una Confindustria apparentemente verniciata di antimafia, non è la soluzione del problema, ma sarebbe necessario, come già in qualche altra regione, organizzare corsi di formazione fatti da gente qualificata e che non siano occasione, come al solito, per distribuire il finanziamento del corso ai soliti “amici” e rilasciare l’attestato a tutti, senza accertare l’acquisizione di competenze.
Naturalmente queste radicali proposte non saranno mai prese in considerazione, perché cambierebbe radicalmente tutto. E allora rimane solo l’apparenza siciliana del cambiamento, anziché il cambiamento reale.
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