Distilleria: passa il tempo e non cambia niente, il fumaiolo è sempre là, le vinacce sono ammassate all’aperto

2

 

Al centro delle discussioni del consiglio comunale di Partinico il progetto di delocalizzazione della distilleria in contrada Sant’Anna.

Sempre i soliti problemi e i soliti dubbi. Intanto c’è la variante, secondo cui la zona dismessa dovrebbe diventare zona B 1, cioè di espansione urbana, con la possibilità di costruire abitazioni residenziali: il sospetto che i costi della nuova distilleria saranno pagati con i proventi della vendita del vecchio terreno è troppo forte. E non sappiamo se in mezzo ci sono anche contributi europei.

I problemi della nuova costruzione sono legati all’enorme quantità di acqua richiesta, si parla di 30 litri al secondo, tanti quanti ne occorrono per approvvigionare un paese, e alla realizzazione di un inceneritore, o, se vogliamo chiamarlo più elegantemente, a un biodigestore che, come succede adesso, dovrebbe servire a bruciare le vinacce e a utilizzarle come combustibile per la realizzazione del distillato. Anche qua, sin dall’inizio, è emerso il sospetto che il biodigestore, che avrebbe bisogno di una notevole quantità di combustibile per essere sempre in funzione, possa servire come inceneritore per digerire altro tipo di rifiuti, cioè come vero e proprio inceneritore.

Sono lontani i tempi in cui l’allegra macchina di guerra del Patto per la Salute e per l’Ambiente, creato da Nino Amato, la Lega Ambiente di Gino Scasso, Telejato, i partiti e soprattutto i cittadini scendevano in piazza, anche in diecimila, per protestare. Lontani i tempi in cui la Signora delle Vinacce non perdeva una parola di quello che si trasmetteva a Telejato, per individuare, attraverso il suo avvocato Galasso, gli elementi per la denuncia. Sono lontani i tempi in cui si chiedevano ispezioni che non fossero pilotate e preannunciate, in cui si documentavano sversamenti sospetti al torrente Malutempu, in cui il mare cambiava colore. Adesso, per dirla con Leopardi:

tutto è pace e silenzio e tutto tace
il mondo e più di lor non si ragiona.

Di quel tempo, nella mia mai sopita abitudine di fare satira, come ai tempi di Radio Aut, la radio di Peppino Impastato, ricordo di avere scritto uno scioglilingua che divenne popolare:

‘A signura d’i vinazzi
ci piacia rumpiri i tazzi.
Un ghiornu arrivaru quattru pazzi
e ci dissiru ‘a signura d’i vinazzi:
Nni i runa quattru tazzi?”
“Siti pazzi, ci dissi a signura d’i vinazzi
io i rumpu i tazzi,
nun li dugnu a i pazzi
Vo itivinni e un ci rumpiti i tazzi”

Provare a dirlo il più velocemente possibile. Allora, forse capendo male, venne presentata una denuncia in cui invece di “tazzi” si diceva “cazzi”, al punto che in un altro articolo avevamo scritto: “A signura d’i vinazzi scancia i tazzi per cazzi”.

E intanto, anche se quest’anno la vendemmia è stata scarsa, le superfici coltivate a vigneto si riducono anno dopo anno e vengono in gran parte abbandonate, ma la Distilleria lavora a pieno ritmo, lo spiazzale è pieno di vinacce in attesa di essere lavorate e per l’aria si diffonde “l’aspro odor delle vinacce” che, secondo la Bertolino è un profumo che va l’anime a rallegrar.

Una curiosità: pare che al centro del dibattito politico ci sia una proposta di lasciare il vecchio impianto, quando sarà dismesso, con il fumaiolo al suo posto, come attrazione turistica: una sorta di monumento e documento di un’economia tardo-industriale. Cercheremo di approfondire a chi è venuta questa brillante idea, perché non c’è solo da ridere, ma “c’è ri muoriri”.

2 Commenti
  1. Gianfranco Becchina dice

    Caro Salvo Vitale, con tutto il rispetto e l’ammirazione per il suo costante impegno nello stigmatizzare le vicende della nostra tormentata Sicilia, tengo a manifestarle il mio stupore per la chiusa del suo per qualche verso interessante articolo.
    La “brillante idea” alla quale lei fa riferimento merita un’attenzione più serena ed obbiettiva, piuttosto che buttarla sul “ridere” o sul “muoriri”.
    Io non conosco, se ve ne sono, i pregi architettonici della distilleria alla quale fa riferimento, però mi sento di sostenere l’idea di lasciarla come testimonianza di certi periodi bui della nostra storia, che sarebbe oltremodo condannabile rimuovere, non fosse che per trasmetterli come auspicabile monito a non più ricascarci.
    Se poi ci si volesse abbandonare a voli pindarici sulla destinazione di tanti siti industriali dismessi, un esempio per tutti sarebbe quello della vecchia centrale Monte Martini, nella via Ostiense di Roma.
    Mi creda: vale la pena visitarla! E anche rivisitarla. Incredibile, come si può allocare l’arte, facendola vivere in siti meno barbosi delle solite magioni più o meno nobiliari.
    Le vestigia della storia non vanno demolite, si trattasse anche, e solamente, di una ciminiera che, vado a intuito, qualche pregio artigianale dovrebbe pur averlo. Lasciamo che certe distruzioni che siano i Talebani a commetterle!
    Non me ne voglia.
    Con immutata ammirazione.

  2. Gianfranco Becchina dice

    Errata corrige. Leggi: Lasciamo che certe distruzioni siano i Talebani a commetterle!
    Nel testo c’è un “che” di troppo.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

Hide picture