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Casteldaccia e i topi che ballano

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di Nino Fricano

 

Via Marco Polo e via Umberto Nobile, a Casteldaccia. I bambini che giocano su un tappeto di macerie, che corrono su una distesa di materiale edile di risulta, scarti di cemento, sfabbricidi cancerogeni.
Uno “appuzza” e fa la conta, gli altri vanno a nascondersi, evitano i fossi a terra,  saltano un tombino aperto, fanno la gimcana tra gli altri tombini che la gente ha coperto con tavolazze di legno, scansano i fili elettrici aggrovigliati che spuntano a sorpresa dai marciapiedi distrutti.
Giocano, urlano, ridono, si divertono. Respirano polveri tumorali e vapori di fognatura.
Uno dei bambini è mio figlio. Sono orgoglioso che non se ne stia sempre a casa a giocare alla Playstation. Manco ce l’ha la Playstation. Non glielo comprata apposta.
Io ho 35 anni e quand’ero piccolo me ne stavo sempre a giocare a pallone per le strade, al campo “ru pruvulazzu” alla Mafrica, dove ora ci sono ci sono solo palazzi, oppure davanti alla scuola media, dove ora tra l’altro ci sono solo palazzi, oppure in via Ugo La Malfa, dove ora invece ci sono solo palazzi.
Anche mio padre, da piccolo, era sempre fuori. Sempre in mezzo alla campagna, a cacciare e torturare lucertole. Mio nonno invece già a 7 anni in campagna ci andava si, ma per lavorare, ma questa è un’altra storia.
Anche mio figlio ha 7 anni, e gli piace starsene fuori e giocare all’aria aperta. Si diverte come un matto quando lo porto in campagna. Il primo animale che ha visto in carne e ossa, però, è stato un grosso topo di fogna, da lui battezzato Fuffy. L’ho trovato una mattina, acciambellato vicino alla culla del mio bimbo, che gli dormiva accanto come un cagnolino. Quando l’ho cacciato via con la ramazza mio figlio è scoppiato a piangere e poi ha continuato a piangere per diversi giorni. Si era affezionato.
Per il mio secondo figlio, che ora ha 4 anni, ho quindi escogitato uno stratagemma. Ho piazzato davanti alla sua culla una gabbietta con un grazioso canarino giallo con le sfumature lillà. Così almeno, mi sono detto, il suo primo animale non sarebbe stato uno schifoso topastro. Purtroppo però è presto arrivato lo schifoso topastro (sempre lui: Fuffy) e se l’è mangiato (il canarino, non mio figlio. Mio figlio sta bene. Soltanto che quando in casa si parla di politica si arrabbia sempre e dice che lui è per il sovvertimento della democrazia a Casteldaccia per mezzo di una raffinata strategia a base di astensionismo selvaggio e spettacolari attentati terroristici).
Comunque. Io ho 35 anni, dicevamo, e abito in via Marco Polo e via Umberto Nobile da circa 10 anni. È sempre stato uno schifo qui.
Le strade sono tutte fossi fossi, da sempre. Forma e misura dei fossi sono variabili a seconda delle precipitazioni più o meno intense. Il Suv è auspicabile in un quartiere – che si chiama Orestano Cutelli – costruito del tutto abusivamente intorno agli anni ’70, con strade fatte con lo sputo, o meglio: con un sottile strato d’asfalto spalmato sulla sabbia, o qualcosa del genere.
Poi ci sono i topi, l’avrete capito. Ma da noi i topi sono una minoranza tutelata. Hanno le loro tradizioni. A ogni venerdì 17, per esempio, fuoriescono a centinaia dai tombini aperti e festeggiano il loro capodanno. Ballano, giocano, urlano, ridono, si divertono.  I topini musicisti suonano melodie ballabili. I topini e le topine timide fanno tappezzeria. I topini audaci fanno la corte alle topine belle. I topini anziani li guardano con un misto di compiacimento e malinconia.
Da un paio d’anni a questa parte, comunque, in via Marco Polo e via Umberto Nobile, e nelle zone immediatamente circostanti, la situazione è ancora più allucinante del solito. Più di due anni fa sono cominciati i lavori di “riqualificazione” e tutti abbiamo gridato al miracolo. Ci avrebbero sistemato le strade. Fantastico. Dietro c’era la nuova prestigiosa amicizia tra l’allora sindaco Giovanni Di Giacinto e il politico grosso, Gianfranco Miccichè, che allora era al Cipe, che è una cosa che dà i soldi ai Comuni per sistemare le strade che fanno schifo. L’amicizia è stata suggellata con un bel finanziamento per il quartiere Orestano Cutelli di Casteldaccia e le pratiche per l’appalto le ha sbrigate il Provveditorato, che è una cosa che fa le cose al posto del Comune così il Comune si risparmia la fatica.
Non ci pareva vero. A suon di fanfara sono arrivati operai, pale meccaniche, betoniere, martelli, cazzuole e picconi. Hanno scavato, martellato, cazzuolato e picconato per un po’ ma poi ecco la sorpresa, ecco che puff, via, tutti spariti da un giorno all’altro. E ci hanno lasciato così, come dei fessi, in mezzo a questo vero   cantiere a cielo aperto, con le strade scarificate e i tombini aperti, a respirare polvere e molto altro ancora.
Cosa diamine è successo?
Me l’ha spiegato un amico mio coetaneo che da grande vuole fare il giornalista e che da 20 anni scrive gratis per il giornale più piccolo e scarso del mondo grazie alla raccomandazione di un noto politico locale.
Vantandosi della propria erudizione, questo amico mio coetaneo ha gonfiato il petto e mi ha spiegato che questi lavori qui sono finiti al centro dell’ennesima assurdità burocratica siciliana: una ditta – la Si.Ma.Co di Brolo (ME) – si è aggiudicata i lavori (con un ribasso record di quasi 50%: affarone) e li ha cominciati nell’autunno 2012 (guarda caso in piena campagna elettorale, ma sarà una coincidenza) sospendendoli però dopo pochi mesi.  Il tutto a causa di una serie di intoppi burocratici  che per la fatica di spiegarli questo amico mio coetaneo ha cominciato a sudare, tremare e sputacchiare, sparando una raffica di paroloni come “fidejussione”, “liquidità”, “ammanchi” e “vizi di forma”. Comunque sia, il fatto è che questi qui della ditta – da un giorno all’altro – hanno chiuso baracca e burattini e ciaociao Casteldaccia. Tutto in tredici. E manco hanno dato una scopata a terra.
Si era già a fine 2013 quando l’Amministrazione Spatafora ha ha fatto ricorso al Provveditorato, poi la ditta si è rivolta al Tar, che è una cosa che gestisce i ricorsi e i ricorsi ai ricorsi, e il Tar ha dato parzialmente ragione alla ditta, però comunque resta il contenzioso, ed è tutto bloccato, e si aspetti solo che qualcosa si sblocchi, chissacome, chissaquando.
Il risultato, ripetiamolo, è questo: qui è tutto uno schifo, respiriamo polvere e molto altro ancora, mio figlio gioca in mezzo a sorgenti tumorali e i topi di fogna festeggiano il loro capodanno in via Noto e in via Marco Polo.
I politici ovviamente si stracciano tutti le vesti – dichiarazioni di impotenza e di caparbietà, a seconda del carattere – però si nota che, stracciand stracciandis, hanno sempre qualcosa sotto, un nuovo vestito, una nuova casacca, una nuova copertura. Stracciano e stracciano infatti ma mai che restino davvero con il culetto di fuori.
Poi però, dopo avermi spiegata questa siculissima e strasentitissima tarantella burocratica, l’amico mio coetaneo ha abbassato la voce e ha pronunciato la parola “mafia”. Ha stretto gli occhi, ha avuto un brivido, la sua bocca ha assunto una smorfia come quando dai un morso ad un limone. Mafia. La ditta in questione sa-reb-be in odor di mafia, in quanto recentemente sa-reb-be spuntato il fatto che il titolare di questa Si.Ma.Co sa-reb-be il prestanome degli imprenditori palermitani Ettore ed Enrico Crisafulli. Quell’Ettore Crisafulli che negli anni ’80 sa-reb-be già stato coinvolto in gravissime inchieste per mafia, bancarotta e truffa e che per un periodo sa-reb-be stato perfino collaboratore di giustizia assieme al celebre boss Angelo Siino, il “ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra”.
“Ovviamente ci sono processi in corso quindi non c’è niente di sicuro”, sussurra il mio amico.
Che bella camurria.
E ti pareva che non spuntava pure la mafia.
Non sia mai che chiedi qualcosa in giro e non spunti la mafia.
Belle cose.
Apposto siamo.
Questo penso mentre lo guardo inebetito da tutti i suoi condizionali.
Lui così approfitta del momento di pausa per cambiare discorso con un zampata dialogica e propormi – così, a bruciapelo – di far recitare mio figlio nel suo prossimo film. Come protagonista, addirittura.
Io mi ritrovo ad accettare – così, su due piedi – e immediatamente vengo catapultato dentro questa cosa del cinema.
Sabato mattina mio figlio esordisce nel mondo del cinema, pensa te. Fa il protagonista di un film che vuole essere il remake di “Germania Anno Zero” di Rossellini, ambientato tra le macerie di Berlino dopo i bombardamenti americani e interamente girato tra la via Marco Polo e la via Umberto Nobile di Casteldaccia.
Il regista – come avrete capito – è sempre questo amico mio coetaneo che da grande vuole fare il giornalista ma che a dirla tutta da grande vuole fare pure il regista ma che – se proprio dobbiamo dirla per intero – da 20 anni consegna pizze a domicilio – per avere quei quattro soldi che gli servono per comprarsi birra, fumo e sigarette – il tutto grazie ovviamente alla raccomandazione di un noto politico locale.
Ci conosciamo da una vita, io e questo amico mio coetaneo, siamo cresciuti insieme, ma ormai siamo molto diversi. Io sono diventato due volte papà, mi sono messo la testa a posto e adesso ho un pò di pancia ma tutto sommato sono in forma. Lui invece è rimasto giovane e ora ha i denti gialli, le gengiva marce, l’alito cattivo, la panza sfatta di birra e il fegato piuttosto malandato. Ha avuto due infarti intestinali e a volte scompare da un giorno all’altro, scappa da tutto e da tutti, e chissà dove e cosa va a fare. Ma anche questa è un’altra storia. Ora però scusate, devo andare. Vado a comprare la Playstation a mio figlio.

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