Qui un’estratto del libro:
Matteo,
come già qualcuno ha fatto prima di me, anch’io ho deciso di scriverti una lettera. Ma a differenza del tuo “amico” Svetonio (ossia Antonio Vaccarino), che poi proprio amico non era, con me non hai nulla da temere: il gioco è a carte scoperte.
Tu sei un latitante, mafioso e assassino. Io un poliziotto che per anni ha dato la caccia a quelli come te e che adesso ha deciso di smettere per occuparsi d’altro.
Peccato però che da quando ho cambiato “mestiere”, diciamo così, ovunque mi giri io non faccia altro che incontrare te.
Vado al supermercato e ho il sospetto che sia cosa tua.
Decido di cambiare gestore per la fornitura di energia elettrica e mi informano che c’entrano gli amici tuoi. Faccio un viaggio e mi allontano dalla Sicilia, magari raggiungo la Toscana o l’Emilia e, incredibile a dirsi, mi raccontano che l’albergo è di un imprenditore tuo compaesano o forse di tua proprietà.
Allora penso al mio amico Giacomo Di Girolamo e al bellissimo soprannome che ti ha dato: “l’invisibile”. Definizione mai tanto appropriata per te: altro che “Diabolik”, “u siccu”, “u luongo”, come altri ti chiamano. No. Giacomo ha ragione. Come l’uomo invisibile, la tua lunga mano, sebbene nascosta, è ovunque: controlla appalti, uomini politici, esponenti della massoneria, affari, compra alberghi, case, terreni, decide di vita e di morte.
Uccide, anche, e lo fa con noncuranza, come un virus letale.
Tu sei un dannato, Matteo, per tua stessa ammissione, e in quanto tale non provi pietà per nessuno. Uomini, donne, donne incinte, bambini, neonati, vecchi e giovani.
“Era graziosa come una mamma. E ancora giovane come una mamma. Ed era incinta fino ai capelli, come una giovane e graziosa mamma”. Cosa ti ricorda questa frase, Matteo?
Un esperto della “tribù di Malaussène” lo intuisce subito.
Anche a me piace Daniel Pennac. Peccato che nel momento in cui penso a quelle parole, soprattutto adesso, da quando ti ho conosciuto (tramite le indagini), in mente ho solo un’immagine: quella di Antonella Bonomo, una ragazza, una mamma che gridava pietà per il bimbo che portava
in grembo. Inorridito, penso a te e ai tuoi amici che ridendo, come gli scellerati imprenditori-speculatori durante il terremoto de L’Aquila, la strangolate, la calpestate, la violate.
Per il falso codice d’onore di Cosa nostra, non le sparate subito in fronte come avevate fatto al suo uomo. No. Peggio. Le donne non meritano questo trattamento di “rispetto”, si incaprettano come animali, perché animali in fondo sono: buone per fottere e fare figli! Poi mute, a casa a lavorare.
Questo prevede, in sintesi, la mentalità tua e di quelli come te.
Che uomini siete? Che filosofia di merda, la vostra: lasciamelo dire, Matteo.
E pensare che stavi quasi per fregare pure me. Già, con quell’aria disarmante da vittima del destino: che può fare il figlio di un “rispettabile” mafioso come tuo padre Francesco se non ossequiare la memoria degli avi ed essere anche lui un mafioso?
Ci stavo cascando! Sogno ancora oggi Fabrizio e Angela, i Nencioni, che in via dei Georgofili, a Firenze, nel cuore della notte sentirono un boato e videro morire i due loro angeli, Nadia e Caterina, nove anni la prima e appena cinquanta giorni la seconda.
E poi morirono pure loro, i genitori. È duro a dirsi, ma anch’io avrei preferito così se quella sorte fosse toccata ai miei figli. La tua però non è stata pietà, Matteo: è stato solo il fato. Quella cosa inconsistente che tu nomini spesso: il destino.
Dovevi colpire l’Italia intera perché l’invisibile è ovunque.
Tu ci sei, esisti, ma non ti si vede.
Prima filosofeggi per corrispondenza con l’amico Svetonio e poi uccidi. Persino Svetonio lo sa, e ora vive nel terrore: glielo hai promesso che lo farai fuori.
La morte, certo, non si augura a nessuno, però Svetonio se l’è quasi cercata, instaurando un rapporto con te.
Matteo Messina Denaro, classe 1962, segno zodiacale Toro, figlio di don Ciccio, quest’ultimo morto da “rispettabilissimo” latitante.
Matteo, dichiaratamente ateo, padre solo per posta di uno o forse due figli. Capo di una delle famiglie mafiose più antiche dell’hinterland trapanese.
Grande esperto di donne, di giochi elettronici, di champagne e di arte.
Non sei “razzista”, tu: inesorabilmente, uccidi chiunque si opponga a te e alla tua famiglia.
Dici di avere riempito di cadaveri tante fosse da farci un camposanto intero. I magistrati confermano la tua tesi. Poi però sostieni anche di essere un Malaussène, un capro espiatorio, e che questi giudici, rossi e corrotti, ti addebitano pure quello che non hai commesso.
Sei in contraddizione, Matteo. Come certi filosofi di bassa lega, non hai inteso appieno il significato delle cose. Allora facciamola insieme la filosofia spicciola: Vivere è meglio che morire.
Per credere ci vuole più forza d’animo di quella che serve per non credere.
L’onore si conquista con l’amore.
Il rispetto lo si riceve nell’affetto.
L’amore è un figlio, un figlio è amore.
E per concludere in bellezza: “Fai attenzione a come pensi e a come parli, perché può trasformarsi nella profezia della tua vita”.
Quest’ultima frase l’ho copiata da uno in gamba, tale San Francesco d’Assisi.
Ah, scusa, tu i santi non li conosci.
Mi avevano chiesto di scrivere un paragrafo sintetizzando la tua vita.
Ritengo che con queste poche parole io abbia detto tutto di te. E, a meno che tu non cambi, Matteo, dubito che qualcosa di diverso si possa dire.
Senza affetto e senza alcuna stima,
I.M.D.
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senza parole.