Nel primo incontro – il 5 gennaio – l’obiettivo era semplicemente di prendere atto dell’emergenza in cui l’intera classe dirigente ha precipitato la città e della necessità di affrontarla tutti insieme. Il punto di partenza, abbiamo detto in quell’occasione, è di cacciare al più presto la coppia Bianco-Ciancio.
Non abbiamo parlato di dimissioni o altri meccanismi politici, primo perché non competono a noi, e secondo perché siamo ormai molto oltre la politica. La crisi che ci sta uccidendo è infatti – come l’otto settembre, come Mani Pulite – anche una questione politica, ma prima di tutto e soprattutto una questione morale. Con cui non si può transigere, nè intavolare trattative.
È in nome della questione morale che noi non “richiediamo” ma esigiamo senz’altro la fine dell’attuale amministrazione: per dimissioni spontanee, per commissariamento antimafia, per fuga all’estero, per moti popolari; in qualunque maniera, purché abbia fine. E questo non ad opera di questo o quel rivale politico, di questo o quel partito, ma dell’azione esplicita e decisa dei cittadini – di quella parte di catanesi cioè che, oltre ad abitare un territorio, si sentono anche signori e responsabili di esso.
Un sindaco che parla d’affari con un indagato per mafia; un politico che inaugura i locali degli imprenditori collusi; un editore-padrone che soffoca ogni voce per trentacinque anni; un consiglio comunale in cui i sospetti di amicizie mafiose sono forse tre, forse otto, e forse chissà quanti: è ancora politica questa, o peste che bisogna guardare in faccia per poterla affrontare?
Non è alla magistratura – che rispettiamo anche quando, come ora, sbaglia – non agli ordini professionali, non alle conferenze dei partiti che tocca questo dovere: ma a tutti i cittadini catanesi, che sono i primi responsabili – per pavidità, per disinteresse, per cultura furbescamente servile e in realtà suicida – della distruzione dell’avvenire dei giovani, che in nessun’altra città è così evidente come in questa.
Chiediamo agli amici che verranno di essere moderati nei termini, ma radicali e decisi nelle azioni. Noi dei “Siciliani” non abbiamo partiti da favorire nè ambizioni da soddisfare. Ma nel momento in cui la città crolla e brucia, il dovere è chiarissimo e si chiama ribellione.
Ci sono due Catanie che si fronteggiano, quella di Pippo Fava e quella di Mario Ciancio. Il sindaco, per sua disgrazia, ha scelto quella peggiore.
I catanesi civili facciano la loro scelta, ora.
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