Che senso ha tutto ciò? Per capirlo dobbiamo soffermarci su di un indizio significativo. Nel giorno della commemorazione dei defunti, nell’antica Roma si consumava un pane a forma umana. Ma anche il pupo di zucchero ha una forma umana. Si tratta semplicemente della trasformazione e simbolizzazione di preistorici culti cannibalistici, quando i membri del clan mangiavano parti del corpo dei morti per conservarne il mana (la sua vis magica, che solo approssimativamente possiamo tradurre con anima). In tal modo il defunto continuava a vivere nel clan. Col passare del tempo, per effetto della civilizzazione, non si mangia più il defunto, ma qualcosa che lo rappresenta simbolicamente.
Anche il rito cristiano dell’eucaristia ha un collegamento con questa tradizione: il pane e il vino che noi consumiamo nel banchetto eucaristico sono in simbolo il corpo e il sangue di Cristo.
La festa dei morti pertanto non va conservata solo per difendere una nostra tradizione, ma perché è carica di significati culturali che ci riportano indietro nel tempo fino alla preistoria. Dimenticarla e sostituirla con altre usanze significherebbe spezzare quel filo con il lontano passato che solo in Sicilia si è conservato, anche se non se ne ha più consapevolezza. (Piero Riccobono)
È bellissima questa idea dei morti che passano, molto più silenziosi e più discreti della befana o di babbo natale e che esprimono la loro vicinanza ai bambini. Ne viene fuori un rapporto non fondato sulla paura della morte o del morto, ma sull’amore, sul ricordo, direi quella che Foscolo chiama “corrispondenza d’amorosi sensi”.
Il richiamo inevitabile è alla tradizione religiosa romana dei Lari (la parola lar in latino significa focolare, ma è possibile anche una derivazione etrusca, dove lar significa padre) che erano gli spiriti degli antenati, dei parenti defunti, a protezione della famiglia. I lares familiares erano rappresentati da un sigillum, una e più statuette in terracotta che avevano il loro posto nell’angolo più remoto della casa, il lararium o penitus, da cui deriva l’altro nome di Penati, anche essi numi a tutela del focolare domestico e della prosperità della famiglia. Si potrebbe trovare un collegamento con la preesistente abitudine di seppellire i morti in casa. Il Cristianesimo ha poi ubicato le anime dei morti in paradiso, purgatorio inferno, ma la notte tra il primo e il due novembre i morti hanno una sorta di licenza di lasciare il loro posto per portare i regali ai loro piccoli parenti vivi. Non si tratta di zombie, ma dei volti dolcissimi delle persone che abbiamo amato e che ci hanno amato, il cui ricordo si può leggere in una foto, in un quadro, in una traccia che diventa icona alla quale accendere una luce, un lumino.
Ricordo una notte, potevo avere cinque anni, passata ad occhi aperti, a vegliare per vedere questo passaggio dei morti e della mia grande delusione nello scoprire che “i morti” erano mia madre e mio padre.
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