Nel suo intervento finale Giovanni Impastato ha ripercorso una serie di numerose vicende, soffermandosi alle iniziative degli ultimi anni, che hanno cercato di affrontare temi come quello della lotta alla mafia, quello sui diritti negati e quello sull’eredità e sulle prospettive da lasciare nell’immediato futuro. L’intervento di don Ciotti è stato applauditissimo e ha preso come spunto l’esempio di Peppino e il suo bisogno di comunicare per suggerire ai giovani vie diverse dalla rassegnazione, in partenza quelle della lotta al potere e all’iniqua divisione delle ricchezze. Sui limiti dell’informazione in Italia e sulle continue minacce che tengono sotto scacco i giornalisti italiani più esposti si è soffermato Giuseppe Giulietti. Nulla di nuovo dagli interventi di Susanna Camusso, che ha sfiorato i drammatici problemi di miseria e di mancanza di lavoro in cui si dibatte il sud, di Umberto Santino, che ha ripercorso le tappe di quarant’anni d’impegno, citando, come ogni anno, momenti in gran parte conosciuti e risaputi, e di Carlo Bommarito, che, a nome dell’Associazione Impastato ha fatto riferimento a qualche estemporaneo impegno ambientalista, costantemente ignorato dalle amministrazioni locali. Alla fine c’è stato un collegamento con i genitori di Regeni e l’invito, da parte di costoro, a non considerare le manifestazioni e i momenti di richiesta di giustizia come cose inutili.
La grande partecipazione poteva anche essere più numerosa se lo sciopero degli aerei non avesse costretto una quarantina di altre scuole a fermarsi senza la possibilità di arrivare a Cinisi. Nei dieci giorni d’impegno, pazientemente portati avanti da Casa Memoria e da Giovanni Impastato, che ne è il coordinatore, uno dei temi non ufficialmente affrontati, ma emerso prepotentemente, è stato quello di non ridurre Peppino a un santino, a una icona da inserire nel pantheon degli eroi antimafia. È il vecchio problema dell’identità di Peppino, negata o alterata dall’immagine che ne hanno dato i mass media o i film su di lui e su Felicia. Qualcuno ha visto nel Peppino de I cento passi “un ragazzetto che fa scenate o che compie la famosa camminata”, senza soffermarsi sugli altri profondi significati che il film suggerisce, qualche altro presenta Peppino come un esempio di educazione alla legalità, senza tenere conto che Peppino non aveva niente da spartire, anzi era nemico di quella legalità che significa rispetto e ossequio passivo alle istituzioni e al potere delle classi dominanti, qualche altro lo presenta come un folle, un utopista, un “illuso”, uno che si è fatto ammazzare perché non si era reso conto che il potere mafioso è intoccabile e reagisce con la pena di morte a chi cerca di metterlo in discussione. Le migliaia di persone che ogni 9 maggio gridano “Peppino è vivo e lotta insieme a noi, le nostre idee non moriranno mai” troppo spesso dimenticano che l’idea fondamentale cui Peppino ha dedicato la vita è il comunismo, da lui definito come “un’esigenza biologica”, quindi non solo un’idea, ma un modo di essere, una concezione di un mondo in cui ci sia uguaglianza totale e gioia di vivere. L’altra idea è quella della rivoluzione, come passaggio obbligatorio per costruire questo mondo, ovvero l’azzeramento delle regole che sinora hanno governato il vecchio mondo. La terza idea è quella dello stare insieme, di essere “compagni”, ovvero amici con cui si divide il pane. Di tutto questo spesso rimane una maschera, quella che la società mette su se stessa per coprire le proprie lordure e quella che si tenta di mettere a Peppino per occultare la forte carica rivoluzionaria delle sue idee.
È per questo che oggi in un anniversario reso sempre più lontano dai ritocchi d’immagine che se ne fanno, ricordiamo Peppino con alcuni suoi versi:
Oggi si butta giù
la maschera, mascherandosi.
Il carnevale
è una festa davvero strana:
si vince l’ipocrisia
erigendole un monumento mascherato.
Stasera voglio tagliuzzare
ogni mio sentimento
in mille coriandoli colorati.
Poi li getterò
nella calca dei convenuti
per allietare le loro danze.
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