17.3.2018. Io e Faro Di Maggio, con il quale, dai tempi di Peppino Impastato condividiamo militanza e impegno nel testimoniare le nostre esperienze e il nostro rapporto con Peppino, continuiamo il nostro itinerario, che ormai dura da quarant’anni, in giro per l’Italia, per parlare di lui. Questa volta andiamo in un grosso centro in provincia di Messina, Sant’Agata di Militello, dove siamo stati invitati a partecipare a un’assemblea studentesca del Liceo Classico Sciascia. Da tempo sono stato contattato da uno studente, Arturo Caputo che, con molto garbo mi ha chiesto se non avevo nulla in contrario a intervenire assieme a Giovanni Paparcuri. Ho colto a volo l’invito, perché per me era l’occasione per conoscere un uomo con cui sono stato in contatto via Facebook, ma del quale ho sempre apprezzato l’impegno sociale, che non si è fermato alla condizione di sopravvissuto all’attentato contro Rocco Chinnici e la sua scorta, di cui faceva parte.
Ci muoviamo con Faro, arriviamo in anticipo, il tempo di fare un giro sul bel lungomare, con il litorale in stato di abbandono, e di visitare il castello Gallego, con il suo piccolo museo di reperti della civiltà contadina. Ci accoglie la prof.ssa Leone, che ci presenta ai ragazzi, più di trecento seduti a terra nell’aula magna. Arturo interviene per spiegare come delle sei assemblee d’istituto tre, per volontà degli studenti, sono state destinate ad incontri con persone o personaggi che possano dare un contributo all’obiettivo di fondo di educazione alla legalità. Dopo la proiezione di un video con immagini della vita di Peppino e di tutto quello che è stato fatto in suo nome, parlo per primo facendo notare che in questi giorni si parla in tutti i mass media di Aldo Moro, ma non di Peppino, l’anniversario della cui morte ricade nello stesso giorno di quella di Moro, ossia il 9 maggio ’78. Mi soffermo sul concetto di legalità, del quale è certamente espressione Felicia Bartolotta, la madre di Peppino, nella sua scelta di chiedere giustizia e non vendetta: una scelta durata 24 anni, ma alla fine una scelta vincente, poiché ha portato alla condanna degli assassini del figlio.
Faro illustra alcuni passaggi della vita di Peppino, della sua rottura con il padre, legato agli ambienti mafiosi di Cinisi, da Cesare Manzella, di cui era cognato, al boss Gaetano Badalamenti, parla del Centro Musica e Cultura, creato da Peppino, centro d’aggregazione dei giovani di Cinisi, di Radio Aut, punto da cui abbiamo condotto la nostra battaglia di controinformazione e di satira nei confronti del potere politico e mafioso.
È la volta di Paparcuri che, attraverso alcune immagini proiettate racconta la sua terribile esperienza nel momento in cui è scoppiata la bomba in via Pipitone, che ha ucciso il giudice Rocco Chinnici, gli appuntati Bartolotta e Morici e il portiere dello stabile (1983). Malgrado le ferite riportate e malgrado la possibilità di essere messo a riposo Giovanni ha chiesto di continuare nel lavoro assieme ai giudici Falcone e Borsellino, che hanno partecipato anche al suo matrimonio e, al momento si occupa di accogliere tutti coloro che vanno a visitare una stanza del Palazzo di Giustizia di Palermo dove egli ha messo insieme gli atti del maxiprocesso e altri reperti dei magistrati con i quali è stato a contatto.
Non posso fare a meno di intervenire e di spiegare ai ragazzi chi era Chinnici, che considero il più grande magistrato del Tribunale di Palermo, e il suo ruolo nella vicenda delle indagini sulla morte di Peppino Impastato. Quando, dopo il depistaggio fatto da chi conduceva l’inchiesta, il caso venne formalizzato dal giudice Signorino come “omicidio ad opera di ignoti”, Chinnici, seguendo un memoriale che da Radio Aut gli avevo inviato, diede una svolta alle indagini, facendo ispezionare l’Ufficio tecnico di Cinisi, inviando una comunicazione giudiziaria per omicidio a Giuseppe Finazzo, prestanome di Badalamenti e facendo arrestare i fratelli Amenta, che in base a testimonianze da noi raccolte, sembravano essere stati al corrente di vicende legate all’omicidio di Peppino. Con la morte di Chinnici poi tutto andò a finire nelle mani del suo successore, Antonino Caponnetto, che chiuse l’inchiesta.
Diversamente da quanto ci è capitato di notare in altre scuole, i docenti, invece di andare a fare le loro cose, come succede in queste occasioni, erano presenti e interessati alle nostre testimonianze. La nostra speranza è di avere lasciato qualcosa che possa aiutare i ragazzi nella loro crescita e nelle loro scelte successive, assieme alla traccia di un ricordo di questa giornata.
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