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Terroristi, mafiosi e fascisti

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Chi ha vissuto la stagione degli “anni di piombo”, ha visto agire in quegli anni un terrorismo rosso che colpiva bersagli bene individuati, fossero essi il generale Dozier, i magistarati Coco e Sossi, l’operaio Guido Rossa, i politici Cirillo e Moro, i giornalisti Tobagi e Montanelli, o il giuslavorista Biagi, e un terrorismo nero che sparava nel mucchio, da Piazza Fontana, all’Italicus, a Piazza della Loggia, alla stazione di Bologna.

Dietro questo c’era un disegno politico, per le B.R. quello di una società comunista senza disuguaglianze sociali ed economiche, per i neofascisti quella di una stretta della democrazia verso una deriva autoritaria marcatamente anticomunista. Si potrebbe anche pensare, con molta immaginazione, che dietro ci fossero anche regie sotterranee di Unione Sovietica e Stati Uniti, ma non si tratta solo di ipotesi senza riscontri. Anche quello che, in un lontano articolo del ’78 su Lotta Continua chiamai “terrorismo mafioso”, è andato avanti su bersagli mirati, dei quali sarebbe troppo lungo scrivere l’elenco di nomi: i mafiosi hanno ucciso persone che erano un pericolo per loro, allargando l’area del delitto tutt’al più alla scorta o alle persone vicine alla vittima. Il cambio della strategia c’è stato solo con gli attentati della chiesa del Velabro di Roma e degli Uffizi di Firenze, compreso il mancato attentato presso uno stadio romano, con una macchia piena di esplosivo che avrebbe potuto causare centinaia di morti. In questi casi si è colpito nel mucchio, senza preoccuparsi delle vittime, ma dietro c’era un disegno ben preciso, quello di aprire una trattativa con lo Stato. Dietro il terrorismo dell’estremismo islamico c’è la volontà che caratterizzava il terrorismo fascista, di colpire qualsiasi persona che possa trovarsi nell’area in cui viene consumato l’attentato.

L’obiettivo non è eliminare il nemico, ma creare, attraverso il numero di morti, una situazione di panico, con conseguente restrizione degli spazi e delle regole della democrazia. In pratica provocare una situazione di guerra senza che ci sia un nemico bene individuato nei confronti del quale procedere a un’operazione militare. Questo tipo di scelta sembra avere forti motivazioni religiose e sembrerebbe sognare una mitica realtà in cui la bandiera della mezzaluna dovrebbe sventolare sulla Torre Eiffel, sulla cupola di San Pietro o sulla Casa Bianca. Questa poca considerazione della vita altrui, questo intravedere un nemico in chiunque vive e fa parte dell’Occidente, questa scelta dell’assassinio di chi è inerme come metodo per sfogare primordiali violenze e rancori per chi vive in realtà diverse e con scelte ed abitudini diverse è una riedizione del terrorismo fascista e riesce ad essere più pericolosa dello stesso terrorismo mafioso. Ma è preferibile non scendere nello specifico: il terrorismo in fondo è uno solo, è il disprezzo della vita degli altri, ma anche della propria stessa vita.

I mafiosi sicuramente sono condannati all’inferno. I fascisti dovrebbero pure finire lì. Ma che Allah possa premiare questi “guerrieri” assassini dando loro in premio le vergini dell’Eden, è un’ipotesi che lascia forti dubbi anche in chi crede nell’Islam.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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