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Roma brucia: un libro di Pietro Orsatti sulla mafia romana e non solo…

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Un anno fa Piero Orsatti pubblicava una sua dettagliata ricerca sulla mafia a Roma, dal titolo “Grande Raccordo Criminale“.

In quel libro c’è una radiografia minuziosa del sistema criminale che ha in mano la capitale e che spadroneggia senza farsi scrupolo di ricorrere al delitto e alla prepotenza, oltre che alla corruzione. C’è cosa nostra, la ‘ndrangheta, la camorra, la banda della Magliana, Casamonica, le organizzazioni straniere, e, tanto per avere un punto d’inizio, si parte dalla devastante presenza di Pippo Calò, il banchiere dei corleonesi, compare del camerata Diotallevi, cui  battezzò il figlio, a quella precedente di Frank Coppola, che a Pomezia aveva una sua tenuta, dove è morto nel suo letto  e, persino, si parla  anche di una permanenza romana di Matteo Messina Denaro, della presenza, sul litorale di Ostia, di esponenti della cosca Cuntrera-Caruana, ma, a volere andare più a ritroso possiamo ricordare il libro di Felice Chilanti “La mafia su Roma”, scritto nel 1971 (Rizzoli) e il precedente “Rapporto sulla mafia” del 1962, e poi non si può non fare riferimento a tutta una fila di deputati e senatori, che curano i loro affari mettendo la politica a disposizione dei mafiosi, pilotando appalti e progetti. E attenzione, se una volta c’era bisogno di qualche bravo boss siciliano che insegnasse le regole e il metodo del gioco, oggi i lestofanti della capitale hanno imparato a farne a meno, sanno benissimo gestire gli affari da soli, insomma, sono diventati mafiosi a tutti gli effetti, da Alemanno e tutta la sua ciurma di fascistelli, a qualche nuovo entrato del PD, a impiegati, esponenti corrotti delle forze dell’ordine, giudici, avvocati, imprenditori ecc.

Alemanno è definito da Orsatti “il peggior sindaco che Roma abbia mai avuto, con la sua capacità di mettere in crisi tutte le aziende gestite dal comune e di assumere caterve di parenti in posti in cui non c’era niente da fare: più di novecento assunzioni a chiamata diretta all’Atac, l’azienda del trasporto pubblico, di cui la maggior parte come impiegati e dirigenti, tanto che oggi solo un terzo dei lavoratori dell’azienda è in grado di guidare un autobus. Decine di parenti, amici, 139 camerati, alcuni con più o meno gravi precedenti penali. Stesso giro per chiamata diretta anche all’Ama, l’azienda che gestisce i rifiuti della città. In due anni 1357 neoassunti su un totale di settemila dipendenti.

Per non parlare dei sotterranei del Vaticano e dei mille rivoli dei soldi dello IOR. Insomma, Roma caput mundi anche per la mafia. O come dicono in Sicilia: “U pisci feti d’a testa”. Il libro di Orsatti fa riferimento all’indagine “Mafia Capitale”, che ha svelato il sistema di potere e di controllo del denaro pubblico nelle mani di Carminati, uno dei nuovi Re di Roma, già terrorista nero dei NAR, poi legato a doppio filo con tutte le giunte susseguitesi a Roma negli ultimi 20 anni, assieme ad altri complici come Buzzi. il Re delle cooperative e Odevine, punto di congiunzione con l’area politica di sinistra. È anche preso in considerazione il ruolo ambiguo dei 5 stelle, a metà strada tra l’eversione nera, dalla quale provengono alcuni esponenti e la difficoltà nel sapersi rendere conto del guazzabuglio che Roma nasconde: “Vedere i giovani del M5S in compagnia dei militanti di Casa Pound e di FdI di Giorgia Meloni assediare piazza del Campidoglio, forzare il blocco dei vigili urbani e irrompere nell’aula Giulio Cesare chiedendo le dimissioni di Marino e della sua giunta mi ha disorientato. E non solo me, ma credo anche molti di quei “grillini” che erano andati sotto il palazzo senatorio e si sono trovati sommersi da saluti romani e romanissimi boia chi molla”.

Interessante la pista del mercato dell’eroina. Proveniente dal triangolo d’oro asiatico, dove l’anno scorso si è avuto un raccolto eccezionale di oppio, il cui traffico è in gran parte monopolizzato dall’Isis ed avviato in Europa attraverso la ndrangheta: “l’eroina, scrive Orsatti, è, infatti, la seconda fonte di finanziamento dopo il contrabbando di petrolio dell’organizzazione fondamentalista che controlla grandi aree di Iraq, Siria e, più recentemente, anche della Libia. Un giro di affari che fino a poco tempo fa già fruttava almeno un miliardo di dollari l’anno, ma che oggi sembra essere destinato a crescere in maniera esponenziale”

La conclusione di Orsatti è amara e lascia adito a poche speranze, a parte i risultati del processo che si è aperto il 5 novembre 2015 e che, dopo la notizia iniziale sembra già caduto nel silenzio, in una città che tutto fagocita e dove le organizzazioni criminali continuano a spadroneggiare: “Si sono presi la città. Hanno iniziato a farlo fin dagli anni Sessanta. Con calma. Dalla Sicilia, dalla Campania e dalla Calabria, infiltrandosi e poi diventando 154 pezzi del tessuto connettivo degli affari illeciti e non della Capitale. Cosa nostra è presente da decenni, tuttora lo è con i Caruana-Cuntrera sul litorale e con i Santapaola nell’urbe. Lo stesso hanno fatto gli uomini della ’ndrangheta e sono tutte famiglie che pesano: De Stefano, Alvaro, Mazzaferro, Tripodi, Gallico, Piromalli, Nirta, Parrello, Bruzzaniti, Palamara, Frisina, Saccà, Sergi-Marando, Gallace. Così la camorra, con Michele Senese “o pazzo” (la vecchia prassi delle perizie psichiatriche per evitare il carcere di epoca cutoliana non tramonta mai) e i casalesi che definire “camorra” è riduttivo. Ci stanno tutti a Roma, beati e “a panza piena”. Pure “gli zingari” stanno comodamente a Roma, i Casamonica che dall’Abruzzo prima si sono presi un pezzo grosso di Roma est e poi con gli Spada hanno tentato di conquistare il litorale scontrandosi e poi a malavoglia alleandosi con il gruppo “misto” – ex Banda e camorra e chissà che altro – di Fasciani, che poteva contare pure sull’appoggio di Carminati” … L’obiettivo è quello di “far passare la nottata, le inchieste, le retate, il Giubileo. Roma brucia.

Di auto-combustione, dei suoi rifiuti, della sua aria ferma e mefitica, di una diossina letale che è la dimenticanza, la rimozione”.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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