Riflessioni su San Giuseppe

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La vicenda di Maria e Giuseppe

San Giuseppe è il padre “putativo” di Gesù: “puto” in latino sta per “credo”, quindi  è colui che “è creduto” padre di Gesù, il quale invece ha per padre Dio, in quanto Maria concepì il figlio miracolosamente, senza aver avuto rapporti sessuali con alcuno, ma solo per  opera dello Spirito Santo.

Secondo il Protovangelo di Giacomo (II secolo) Giuseppe, discendente dalla famiglia di David e originario di Betlemme, prima del matrimonio con Maria si sposò con una donna che gli diede sei figli, quattro maschi (Giuda, Giuseppe, Giacomo e Simeone) e due femmine (Lisia e Lidia). Rimasto presto vedovo si trovò a portare avanti una così numerosa famiglia, accresciutasi con il matrimonio con Maria e con la nascita di Gesù, del quale i figli di Giuseppe sarebbero fratellastri: va detto che la Chiesa non accetta questa versione, pur ammettendo la presenza di  parenti stretti di Gesù, cugini.

Secondo altre versioni apocrife Giuseppe, in età avanzata, assieme ad  altri celibi della Palestina, tutti discendenti di Davide, si diresse a Gerusalemme, dove il sacerdote Zaccaria aveva  ordinato che venissero convocati tutti i figli di stirpe reale per sposare la giovane Maria, allora dodicenne, vissuta per nove anni nel tempio. Ognuno di essi avrebbe condotto all’altare il suo bastone e Dio avrebbe indicato il prescelto facendolo fiorire. Fiorì il bastone di Giuseppe, da cui uscì una colomba che si pose sul suo capo. Giuseppe fece presente a Zaccaria di “non avere più l’età”, ma il sacerdote lo ammonì a non disubbidire alla volontà di Dio e così egli prese Maria in custodia nella propria casa.

La vicenda di Maria e Giuseppe ha inizio nei Vangeli con l’episodio dell’Annunciazione. Nel sesto mese l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, Nazareth, presso una vergine, di nome Maria, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. Per opera dello Spirito Santo, Maria concepì un figlio e l’angelo, a conferma dell’evento straordinario, le disse poi che anche la cugina Elisabetta benché sterile, aspettava un figlio. Maria si recò subito dalla parente e al suo ritorno, essendo già al terzo mese, erano visibili i segni della gravidanza. In queste circostanze Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di allontanarla in segreto, cercando comunque di sottrarla alla pena della lapidazione, quando gli apparve in sogno un angelo che gli disse: “Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Matteo 1,20-21). Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo e prese con sé la sua sposa, accettandone la maternità e riconoscendone la paternità. Qualche mese dopo Giuseppe si spostò insieme a Maria da Nazareth a Betlemme, in Giudea, a causa di un censimento della popolazione di tutto l’impero, per il quale anche lui doveva registrarsi nella sua città d’origine, insieme alla sposa. A Betlemme, Maria diede alla luce il figlio “che fasciato fu posto in una mangiatoia, perché non vi era posto per loro nell’albergo”. (Luca,2,7). Dopo otto giorni dalla nascita, secondo la legge di Mosè, Giuseppe circoncise il bambino, e gli impose il nome Gesù. Quaranta giorni dopo lui e Maria portarono il neonato a Gerusalemme per la presentazione al tempio e lì assistettero alla profetica esaltazione del vecchio Simeone che predisse il futuro del bambino. Quindi fecero ritorno a Nazareth. La Sacra Famiglia rimase a Betlemme per un periodo non ben determinato, sembra da un minimo di 40 giorni (Luca 2,22;2,39) a un massimo di due anni (Matteo 2,16), dopo di che secondo Matteo, avvertito in sogno da un angelo, Giuseppe con la sposa e il figlio fuggì in Egitto a causa della persecuzione del re Erode che, avendo saputo dai magi della nascita di un bambino che sarebbe diventato re dei  Giudei, ordinò la strade di tutti i bambini di Betlemme dai due anni in giù. Dopo un periodo di esilio Giuseppe ebbe, con il solito messaggio in sogno, l’ordine di tornare a Nazareth, dove Gesù visse fino all’inizio della sua vita pubblica. L’unico episodio “ufficiale” che si conosce dell’infanzia di Gesù, si riferisce alla sua età di dodici anni, quando si recò con i genitori a Gerusalemme per festeggiarvi la festa di Pasqua. Trascorsi i giorni della festa, mentre erano sulla via del ritorno, Maria e Giuseppe notarono l’assenza del figlio, iniziarono a cercarlo il giorno dopo e lo trovarono, dopo tre giorni, nel tempio, seduto a discutere con i dottori. E quando Maria gli domandò: “Figlio, perché hai fatto così? Ecco tuo padre ed io, angosciati ti cercavamo”, Gesù rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Non si sa se Giuseppe lo abbia preso per un orecchio e riaccompagnato a casa.

Secondo l’apocrifo “Storia di Giuseppe il falegname”, Giuseppe aveva ben 111 anni quando morì, godendo sempre di un’ottima salute e lavorando fino al suo ultimo giorno, quando la sua anima, dopo avere attraversato infiniti tormenti,  venne raccolta dagli arcangeli e condotta in paradiso. Il suo corpo viene poi sepolto a Nazareth, ma la sua tomba non è stata mai trovata. Secondo alcuni santi e teologi  Giuseppe, assieme a Giovanni Battista è stato assunto in Cielo al tempo dell’Ascensione di Cristo, quando (Matteo 27,52) «.. i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E, uscendo dai sepolcri, entrarono nella Città santa e apparvero a molti…»

Secondo una tradizione universalmente accettata dagli scritti apocrifi, Giuseppe è il custode della verginità di Maria,  confermata da “una donna saggia di nome Salomè che viene a visitare Maria e constata la sua verginità anche dopo il parto”.

Rispetto all’iconografia che ce lo presenta come un vecchio, con figli, già ai tempi delle nozze con Maria, San Girolamo smentisce questa tradizione e sostiene che il santo non fosse sposato prima di scegliere Maria e che fosse ancora giovane. “Giuseppe contrasse matrimonio con Maria: questa era sui 14 o 15 anni, lui sui 18 o 20 anni. Queste le età solite per il matrimonio presso gli ebrei… Giuseppe e Maria vivono assieme, sotto il medesimo tetto. I giorni passano, e per Maria si avvicina il tempo del parto”.

Secondo Matteo, nei rapporti tra i due coniugi “Ed egli non la conobbe fintanto che lei non generò il figlio”, (Matteo 1,24-25): il che lascia presumere che dopo il parto “egli la conobbe”, cioè tra i due avrebbero potuto esserci rapporti più intimi di conoscenza. San Tommaso D’Aquino dice: “essi erano uniti l’uno all’altro dall’amore reciproco, un amore spirituale. Si scambiarono quei diritti coniugali che sono inerenti al matrimonio, anche se, per il loro voto di verginità, non ne fecero uso”.

In conclusione la vecchiaia di San Giuseppe o alcune sue precedenti paternità sembrano essere state costruite e immaginate per tutelare Maria da eventuali “avances” sessuali, dal momento che Giuseppe non sarebbe stato più sessualmente attivo sulla base di una concezione  una concezione della sessualità come “peccato”, da cui sono esenti sia Maria che San Giuseppe, “sposo vergine di Maria Vergine ”.

Sulla ricorrenza e sulla verginità di San Giuseppe

La festa di San Giuseppe cade a ridosso dell’equinozio di primavera, il giorno in cui la durata della notte è uguale a quella del giorno. A ridosso di questa ricorrenza, qualche giorno dopo, il 25 marzo, c’è quella dell’annunciazione, che completa i nove mesi occorrenti per il parto, che avviene il 25 dicembre. Si tratta di festività tipiche di tutto il Mediterraneo e legate alla dea Cibele, e a Persefone, o Kore, che rapita da Plutone, dio degli inferi, ogni sei mesi ritorna sulla terra per annunciare la rinascita della vita e della bella stagione, dopo lo squallore e la morte dell’inverno. San Giuseppe è un santo “maschio” che si intromette in questo trionfo di divinità femminili, dopo la contaminazione avvenuta tra la cultura greco-romana e quella ebraico-cristiana. In mezzo, o sempre vicino a queste date, c’è la Pasqua, la festa della Resurrezione, ma anche quella del “passaggio”, che non è solo quello degli ebrei attraverso il Mar Rosso, ma è anche un passaggio di stagione e un passaggio di spiritualità, nel senso che ci si dovrebbe disporre a un’interiore resurrezione con la scelta di un modello di vita e di comportamento diverso da quello che ci ha caratterizzato. Cosa c’entra in tutto questo San Giuseppe? Anche lui, con il suo bastone su cui fioriscono gigli, ha qualche richiamo primaverile. Il giglio è tuttavia, nel suo caso, espressione di purezza, come lo è nel bastone di Sant’Antonio. La sua importanza religiosa è stata quella di essere stato padre “putativo” del figlio del Dio e custode della verginità di sua moglie Maria. Qui nascono una serie di domande e considerazioni.

Una delle litanie, nata nella zona di Misilmeri e poi esportata in tutta la Sicilia, dice:

“San Giusippuzzu, fùstivu patri
Fustivu vìrgini comu la matri:
Maria la rosa, Giuseppe lu gigghiu:
Ratinni aiuto ri patri e cunsigghiu.”

Il canto ripropone una questione irrisolta, quella della verginità di San Giuseppe. Presumere una verginità maschile è già una forzatura logica: si può solo supporre che, secondo coloro che hanno ideato questa aberrazione e l’hanno imposta ai credenti, San Giuseppe non abbia mai avuto rapporti sessuali né con Maria né con altre donne e/o uomini. E a questo punto nascono altre domande: possibile che San Giuseppe possa essere stato lontano da quelle che sono le umane esigenze della sessualità? Difficile da credere: altre tradizioni ci parlano di un Giuseppe che ebbe altri figli, idem dicasi di Maria. Quella di costringere ad accettare queste anomalie è una caratteristica del cristianesimo, assieme a quella di imitare, mutuare al suo interno, assorbire e riproporre in veste cristiana moltissimi aspetti religiosi di precedenti civiltà.

Altrettanto forzata è la verginità di Maria, diventata dogma con il Concilio Vaticano primo, cioè nel 1854, ma sempre contrapposta a una banale considerazione: ammesso che Dio abbia potuto ingravidare Maria senza l’atto sessuale, nel momento in cui il bambino è uscito dall’utero la verginità dovrebbe essere venuta meno. Leggiamo su Wikipedia:

“Non essendo la verginità fisiologicamente determinabile nell’uomo per motivi morfologici, essa è uno stato fisico osservabile nelle sole donne: nelle donne vergini l’ingresso della vagina è parzialmente occluso da una sottile membrana chiamata imene che viene lacerata durante la prima unione sessuale completa con un uomo: la lacerazione dell’imene, o deflorazione, comporta quindi la perdita fisiologica della verginità”.

L’imene si sarebbe, anzi si è certamente lacerato quando è venuto fuori il bambino.

Perché farci credere, obbligarci a credere che invece Maria è rimasta vergine? Per quanto se ne sa, Cristo non è nato col parto cesareo. Si badi, alcune di queste considerazioni sono state già fatte dal grande teologo Hans Kung, al quale è stata poi tolta la cattedra universitaria.

A parte il palese caso di adulterio, attribuibile non a Maria, che è ignara di tutto quello che succede, che sa di essere stata prescelta al momento dell’annunciazione, quindi senza il suo preventivo consenso, siamo davanti a un chiaro esempio di fecondazione eterologa, perché se è vero che Dio può tutto, nelle umane leggi della biologia  è previsto che per la procreazione ci vuole il seme maschile. E tuttavia la Chiesa condanna, sino ad oggi, sia l’adulterio che la fecondazione eterologa, per non parlare del rapporto sessuale, considerato da sempre un peccato, anche se, come dice san Paolo, strenuo difensore dell’astinenza sessuale, è un “remedium concupiscientiae”. Quanto si riuscirà, e credo che questo avverrà nel tempo, a superare i tabù della sessualità, molte di queste credenze non avranno più motivo di esistere, neanche quella della forzata verginità di San Giuseppe e di Maria, ai quali è giusto attribuire tutto quello che possa renderli uguali o simili agli  altri “umani ”, anche nel diritto di avere una sessualità.

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