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Politica e antipolitica: andare oltre

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Andare oltre vuol dire non accontentarsi di limiti che ci siamo posti.

Il più grande esempio dell’andare oltre è l’Ulisse dantesco, che, dopo avere finalmente ritrovato Penelope e il figlio Telemaco, in un certo momento si stanca della  vita che conduce nella piccola Itaca, riprende il mare, oltrepassa le colonne di Ercole, limite dell’umana conoscenza, e si avventura nell’ignoto, spronando i suoi  compagni con il famoso “fatti non foste a viver come bruti…”. Di colpo una tromba d’aria avvolge la nave e la inghiotte, facendo sparire nel nulla quegli uomini che volevano sapere troppo. Cosa c’entra? Il movimento di Grillo è nato sull’oltre, sull’andare oltre i partiti, oltre un parlamento decrepito, oltre la politica, oltre la democrazia rappresentativa, e quindi verso una presunta democrazia di base, che ruota nel web, che si riconosce in una comunità virtuale, ma che al vertice di tutto ha una persona che gestisce e presume di sapere gestire questo “tutto”,. Il successo dei cinquestellini è stato determinato dall’incapacità della vecchia politica di sapere risolvere le contraddizioni in cui si è avvitata, la legge elettorale, il finanziamento dei partiti, il controllo della stampa, la fedina penale pulita, il rinnovo costante degli organi di governo, politiche di attenzione verso i disoccupati, lotta ai privilegi della casta, sgravi fiscali e altre proposte individuabili nelle linee programmatiche del Movimento. L’andare oltre, con l’elezione in Parlamento di un consistente numero di rappresentanti stellati, si è risolto in un arrivo. Una volta in Parlamento si sono ritrovati nella stessa condizione in cui erano già da tempo gli altri partiti, ovvero sono stati risucchiati dai vortici dell’ingovernabilità, dal gioco delle parti, che comprende maggioranza e opposizione, hanno scelto di fare opposizione, hanno dimenticato che il voto è una delega per la governabilità, non per il dissesto, per il disastro e per la scomparsa della vecchia imbarcazione, della quale hanno deciso di far parte. E così, l’ostentazione di una originaria purezza si è trovata a fare i conti con le regole del gioco, le quali includono le alleanze politiche, a meno che non si voglia andare verso il partito unico, quello del 100%, cioè la dittatura. Ci si può sottrarre a tutto questo, rinunciando a far politica istituzionalizzata, lanciando da una piattaforma, non solo mediatica, le basi di una possibile terza repubblica sulle macerie, ogni giorno più grandi, della seconda?

È vero che il berlusconismo ha perso gran parte del suo appeal più per colpa dei suoi squallidi esponenti che per l’esistenza di una vera e propria ideologia di centro destra. In ciò il lavoro ai fianchi dell’opposizione ha conseguito pure qualche risultato, ma ha finito con l’essere risucchiato e invischiato in tutte le tattiche e le miserie del centrodestra, comprese le tangenti, l’esibizione, da parte dei politici di atteggiamenti e tenori di vita tipici dei boss mafiosi, in ogni caso di razza padrona, il tutto associato all’incapacità di gestione del territorio, abbandonato nelle mani di lestofanti assorbiti solo dall’ottica del profitto a tutti i costi. E tuttavia il vizio di fondo di tutto ciò, il peccato originale, è tutto nel momento in cui l’Italia, con un referendum promosso da Segni Junior nel 1993, decise di abbandonare il sistema proporzionale, per scegliere quello maggioritario. Chi vince prende tutto, anche se chi perde ha il 49,9 per cento. In questo senso fu possibile il 61 a zero in Sicilia. Quando ci si accorse che questa nuova regola rischiava di fare sparire l’opposizione e, sicuramente, le minoranze, si passò al “mattarellum”, che consentiva la possibilità, di essere eletti col sistema proporzionale, e quindi con la doppia scheda, a un terzo dei parlamentari: e fu, ancora una volta, il ritorno, nei primi posti delle liste, dei vecchi zombies e dei dirigenti di partito che non volevano mollare. Segni ci riprovò anche nel ’99 e nel 2000 ad abolire la quota di proporzionale che ancora restava, ma la proposta non raggiunse, in nessuno dei due casi, il quorum del 50%. Grazie a questa legge, che rappresentava una sorta di “proporzionale controllato”, ci fu anche la possibilità di entrare in Parlamento per una pattuglia di Rifondazione Comunista, che  in un primo momento, con lo scissionismo e il masochismo integralista tipico delle formazioni politiche marxiste,  affondò il governo Prodi, sulla questione delle 25 ore, poi si divise in due, sino a sparire, grazie all’accordo tra Veltroni e Berlusconi, che introduceva lo sbarramento del 5% e premi di maggioranza, alla camera sul collegio nazionale, al senato su base regionale e abolizione del voto di preferenza. Tentativi del genere si sono ogni tanto affacciati nel sistema elettorale italiano, dalla legge Acerbo, del 1923, che portò all’affermazione definitiva del fascismo, alla “legge truffa”, del 1953, che avrebbe dovuto regalare il 65% dei seggi alla lista o all’insieme di liste che avessero raggiunto il 51% dei voti. Nel 2005, con il porcellum, è rispuntato l’imbroglio, stavolta con il benestare della sinistra: non a caso “Il Giornale” ebbe a intitolare: “La legge truffa adesso piace anche ai compagni”. Del premio ha usufruito “L’Ulivo” di Prodi, Forza Italia e Lega e, per ultima,  l’aggregazione PD-SeL. Per pochi voti in più, così come anche con Prodi, il PD ha usufruito del premio di maggioranza e la sua rappresentanza di deputati, che non andava oltre il 30%, è arrivata al 51%. Non così al Senato. Se si voleva uccidere la democrazia, non si poteva far di meglio. Il berlusconismo, è stato il prodotto mostruoso di tutto ciò,, attraverso la sapiente regia dei i mass media. L’unica possibilità di libera comunicazione sembrava il web,. Il travolgente messaggio di Grillo è maturato in questa circostanza, in queste maglie aperte nel blocco delle comunicazioni di potere, nell’osservazione impotente del malgoverno, amplificata dalla stretta economica, dai morsi della crisi mondiale, dai fantasmi agitati, anche da Grillo, sull’esistenza di complotti internazionali che volevano risucchiare le economie più deboli, tra le quali l’Italia e  dalle bordate contro l’euro, contro le banche, contro misteriosi strateghi che a tavolino decidono le sorti del mondo. Nel che può anche esserci qualche fondamento di verità, ma agitare fantasmi stranieri è una tecnica della quale tutti i regimi si servono per scaricare sugli altri le proprie responsabilità.  A questo punto bisogna guardarsi in faccia e avere il coraggio di andare ancora oltre. Lasciare che la tromba d’aria risucchi nel vortice il PD, Il PDL, i 5 stelle,  la Lega e altri cespugli, ed entrare nell’ordine di idee che anche i nuovi politici sono subito diventati come i vecchi, si sono lasciati attrarre dal gioco delle parti, si sono ritagliati una parte e non sono stati capaci di andare “oltre”. E andare oltre oggi significa davvero riattivare le regole della democrazia di base, la volontà popolare che includa l’esistenza delle minoranze e l’apporto del loro contributo, rifiutare e rigettare, malgrado le indicazioni dei dieci saggi napoletani, i premi di maggioranza, vero e proprio furto nei confronti della volontà popolare, in nome di una governabilità che continua a non esserci, malgrado tutto. Il ritorno al sistema proporzionale  e a regole più elastiche che consentano  alle voci discordi di poter partecipare, oggi è la strada maestra per liberarsi dai trucchi escogitati da coloro che hanno preteso, senza averne le basi e le caratteristiche, di scimmiottare i sistemi elettorali angloamericani. È per questo che una riforma elettorale è urgente, ma non si risolverà niente se non si avrà la capacità di andare “oltre” le facili scorciatoie dei premi di maggioranza, degli sbarramenti, della pretesa di eternare chi resta a galla con i trucchetti e l’abolizione delle preferenze o, comunque, con la “riserva di posti” ai gruppi politici dirigenti. Non si tratta di escogitare nuovi movimenti politici, già nati vecchi. Sappiamo cosa ci aspetta, per esserci passati: al sistema francese con le due tornate elettorali, si contrapporrà quello tedesco, quello spagnolo, quello anglicano e quello americano, del quale le “primarie” in Italia sembrano essere un patetico scimmiottamento. Alla fine si troverà, se si riuscirà a “fare l’impresa”, un sistema che contenti e contenti tutti. Bisogna avere il coraggio di andare “oltre”, alla ricerca di nuovi parametri che ridisegnino la governabilità, più consoni alle circostanze nelle quali stiamo vivendo. La crisi delle ideologie non vuol dire crisi delle idee, e un primo principio, insito in qualsiasi norma di socialismo, è quello dell’equa distribuzione del reddito, in modo da evitare drammatiche sacche di povertà e cime di enormi ricchezze, non solo tra gli uomini, ma anche nei rapporti tra le nazioni.

Ulisse non è solo quello a cui la conoscenza totale è preclusa da un intervento divino, così come nell’ebraismo succede ad Adamo con l’albero della conoscenza, ma è anche quello che, con la sua intelligenza, sa prendere per il culo Polifemo, sa espugnare l’imprendibile Troia, protetta da alcuni dei, rifiuta l’immortalità offertagli dalla ninfa Calipso, pur di non restare intrappolato sempre nello stesso posto.  Non credo che i nostri uomini politici, da Renzi a Grillo, al Berlusca, siano in grado di fare questi salti, per i quali occorre fantasia e coraggio. “L’imagination au pouvoir” si gridava nel ’68. In altri termini, andare oltre l’oltre.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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