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Liberatori, ladri, assassini?

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11 Maggio 1860, 158 anni fa iniziava l’impresa dei Mille, che poi non erano neanche mille, ma 702, in buona parte avanzi di galera.

11 Maggio 1860, 158 anni fa iniziava l’impresa dei Mille, che poi non erano neanche mille, ma 702, in buona parte avanzi di galera che dopo essersi impadroniti, in modo piratesco, molti dicono in perfetto accordo con Vitt. Em. 2°, di due piroscafi nel porto di Genova, e dopo avere saccheggiato il deposito di armi di Orobello, nell’isola d’Elba, sempre d’accordo col re, sbarcarono a Marsala, protetti dalla flotta inglese. Li guidava Giuseppe Garibaldi, un ladro di cavalli, a cui in Argentina avevano mozzato le orecchie perché colto sul fatto. Dopo avere percorso un itinerario che li portò sino a Napoli, qui, dopo uno scontro alle falde del Volturno con i resti dell’esercito borbonico, i garibaldini si incontrarono con l’esercito piemontese guidato dal re Savoia. Nello spazio di pochi anni ogni ricchezza venne saccheggiata. Difficile chiamarli fratelli d’Italia, perché non si sono dimostrati nemmeno parenti alla lontana. Per quel che ci dicono alcuni storici, da prendere con le molle, il Regno delle due Sicilie era il terzo Stato più ricco ed avanzato al mondo, aveva il miglior tenore di vita del mondo e la migliore qualità di vita del mondo grazie alla mitezza del clima, alla bellezza dei paesaggi, alla qualità dell’alimentazione, agli splendidi palazzi, alle ricche chiese, alle opere d’arte: musica, pittura, architettura, cultura, cibi, ospitalità, usanze popolari… erano apprezzati, visitati, ammirati, esaltati ed invidiati da tutta Europa.

Con l’annessione al Piemonte iniziò il tonfo: su quasi 7,5 milioni di abitanti di allora dal 1860 al 1875, quasi 50.000 giovani, la meglio gioventù, militari del Regio Esercito del Regno delle Due Sicilie, furono sterminati non solo in battaglia, ma nei feroci campi di concentramento e sterminio come Fenestrelle. Come nel caso di Auschwitz, non mancano storici “negazionisti” che negano l’esistenza di questo campo. Dal 1860 al 1880, nel giro di 20 anni, con la guerra al brigantaggio furono massacrati, passati per le armi o carcerati brutalmente più di 100.000 civili. Complessivamente fu sterminato 1,2 milioni di persone, per fame, freddo, malattie e persecuzioni causate soprattutto con la legge marziale, che spesso veniva proclamata per intere regioni, e che impediva alla gente di uscire anche solo per procurarsi da vivere e, o recarsi al lavoro fuori paese o anche solo fuori casa. La legge Pica del 1863 fu una sorta di “licenza di uccidere” e istigava ad uccidere anche per semplici sospetti, contadini, pastori, vecchi, donne e bambini, impedendo loro di recarsi liberamente a procurarsi da vivere lavorando nelle campagne o sulle montagne. Non si poteva più andare fuori casa portando armi, anche insignificanti, come coltelli da cucina per tagliare il pane, falci, tridenti ed altri arnesi simili da lavoro. Era vietato perfino portare con sé anche cibo. Chi veniva sorpreso con vivande al seguito, veniva fucilato senza processo, col pretesto che detto cibo fosse per i briganti. I boscaioli, ad esempio, non potevano usare neanche asce e accette per i loro soliti lavori. La coscrizione militare obbligatoria aveva sottratto, al sostentamento delle famiglie, i giovani che erano indispensabili per i lavori di ogni genere nei campi e nelle officine, costringendoli a 5 e 10 anni di ferma sotto le armi, tenendoli semicarcerati nelle caserme o impegnati sul terreno nella barbara guerra senza fine contro i propri conterranei che si erano dati al brigantaggio e facendo morire tanti e tanti giovani del Sud a decine di migliaia nelle varie guerre e controguerre irredentiste, imperialiste e coloniali in Italia e dappertutto nel resto del mondo. Ma anche la “tassa sul macinato” aveva portato i prezzi delle granaglie e delle altre derrate alimentari più popolari, come il pane, a livelli proibitivi per la popolazione sempre più artificiosamente impoverita e ridotta in miseria ed alla fame vera e propria. Tutto l’oro e l’argento del Banco di Stato di Napoli e del Banco di Stato di Sicilia, che per un valore di circa 450 milioni di ducati d’oro e d’argento, fu confiscato, razziato senza rimborso, portato ed utilizzato nel triangolo industriale di Torino, Milano-Genova, creato “ex novo” nel nord Italia, dove prima non c’era assolutamente nessunissima attività economica industriale ed avanzata. Le industrie di stato minerarie, estrattive, siderurgiche e militari di Mongiana, Ferdinandea e Bivongi, le industrie di stato meccaniche e ferroviarie di Pietrarsa, le industrie dei cantieri navali statali di Castellammare di Stabia, furono chiuse, smontate, rubate, razziate, portate via per essere poi rimontate più a Nord, specie a Terni, La Spezia, Genova, Torino, Milano, Brescia e Bergamo sempre nell’interesse dei pochissimi che se ne erano impossessati con la prepotenza e l’inganno. I beni della chiesa che ammontavano allora a circa due terzi di tutti i beni immobili del paese, furono confiscati e svenduti ad una borghesia avida e senza scrupoli, che a differenza della chiesa stessa che si accontentava al massimo di piccole decime, sfruttava invece i contadini ed i pastori fino al midollo, senza neanche dar loro la possibilità di avere di che mangiare per sé e per la propria famiglia. La maggior parte del popolo, che lavorava la terra, da proprietario divenne colono e schiavo, proletarizzato dal nuovo Stato, il Regno d’Italia. Non c’era altra scelta, al sud, o Brigante!… o Emigrante!.. per cui… Dal 1860 fino al 1875 andarono via dalla nostra terra 4 milioni di persone. Dal 1860 fino al 1914 ne andarono via 18 milioni. Dal 1860 fino ai nostri giorni ne sono andate via 36 milioni di persone e stanno continuando, costrette da politiche volutamente antipopolari ad emigrare ancora adesso a centinaia di migliaia ogni anno.

(Riadattamento di Salvo Vitale di una nota di Salvatore brosal-duccio mallamaci, in ondasud.blogspot.it, 2015/05)

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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