So benissimo di non essere nessuno per poter parlare di Falcone, quel giorno avevo solo 18 anni, frequentavo l’ultimo anno del liceo a Castelbuono, vivevo in montagna a Isnello e dopo pochi mesi mi sarei trasferito a Palermo per studiare giornalismo e quella è diventata la mia città per una ventina d’anni e passa. E allora che autorevolezza avrei per parlare? Nessuna, e infatti lascerò parlare qualcuno che con Falcone ci ha lavorato fianco a fianco, lo ha visto al lavoro, lo ha intervistato.
Uomini che parlano nel bel documentario di Salvatore Cusimano dal titolo “Nella terra degli infedeli”, proiettato ieri pomeriggio a Isnello(PA) alla presenza dell’autore, in un auditorium pieno zeppo, circa 150 persone. Un documentario delicato nei toni e rigoroso nei contenuti.
Il giornalista Saverio Lodato davanti alla telecamera afferma: “non dimentichiamo che uno dei primi atti che compie Giovanni Falcone da giudice istruttore quando inizia ad indagare seriamente sulla mafia, ma ancora non sa cosa sia la mafia, sa che esiste, ne vede i risultati, ne conta i morti, ne conta le stragi, ne conta i delitti; uno dei primi strumenti che lui decide di adoperare è lo strumento bancario e lui telefona a tutti i direttori di banca di Palermo, di sedi centrali e di agenzie, chiedendo che mandino all’ufficio istruzione di Palermo, tutte le movimentazioni per assegni superiori a un determinato importo.Falcone era convinto che seguendo il denaro si sarebbe trovata la mafia, mentre seguendo la mafia non si sarebbe trovato il denaro”.
Nulla di nuovo direte voi, ma a questo proposito c’è una domanda che vorrei porvi. Il metodo di Falcone quanto ha inciso nella lotta alla corruzione che sembra essere diventata la piaga maggiore di questo Paese? Giudicate voi se quell’eredità è stata raccolta.
A un certo punto parla il generale della Guardia di Finanza Ignazio Gibilaro e dice: “Le carte parlano e quella capacità di ascoltare le carte era forse uno dei principali vantaggi competitivi che aveva il giudice Falcone. Lui aveva un’esperienza di giudice fallimentare, una capacità di leggere i bilanci, di fiutare il riciclaggio…”.
Per chi non conosce la biografia di Falcone questa sarà un’informazione interessante. Ma a questo punto non posso evitare di pormi un’altra domanda. La sezione fallimentare del Tribunale di Palermo, da Falcone in poi, è riuscita a fare tesoro del suo metodoe a fornire nuovi giudici capaci di incidere nella lotta alla criminalità organizzata? Oppure, come dicono in tanti sotto voce, e come aveva annunciato il giornalista Pino Maniaci prima di essere “esiliato”, sarebbe diventata qualcosa che somiglierebbe a un centro di potere poco trasparente?
Un altro elemento ce lo da il giudice Gioacchino Natoli che aveva lavorato accanto a Falcone nel pool antimafia: “quando si passò dalla struttura militare, dall’ala militare di cosa nostra, alle prime relazioni esterne di cosa nostra in campo amministrativo e soprattutto politico, allora la presa di distanza divenne sempre più ampia, divenne sempre più efficace e trovando sponda anche in talune campagne giornalistiche, cominciarono a mettere in dubbio la figura di Giovanni Falcone, isolandolo, creandogli delle difficoltà che poi sono diventate talmente note che parlarne oggi, a quasi 25 anni dalla sua uccisione, mi sembra addirittura un voler perdere tempo”.
E qui si può avanzare la terza questione sull’eredità di Falcone. Di quelle campagne giornalistiche di cui parla il giudice Natoli qualcuno ne ha memoria? E soprattutto, avete mai sentito i protagonisti di quelle campagne fare autocritica sul loro operato? E infine, avete mai la sensazione che per alcuni uomini che tuttora combattono le mafie ci sia un tentativo di delegittimazione usando più o meno gli stessi strumenti di allora?
Infine, l’ultima citazione la lascerei al giudice Giuseppe Ayala, che afferma: “vorrei ricordare che Falcone fu oggetto di un esposto inviato contro di lui al Consiglio Superiore della Magistratura da uno dei nascenti movimenti antimafia verso il quale va tutto il mio rispetto, non voglio innescare polemiche, cito fatti storicamente avvenuti. Falcone dovette andare al CSM a difendersi da un violentissimo attacco di una parte dell’antimafia. È una cosa che se ci pensiamo oggi…poi ognuno nella sua coscienza si faccia il commento che vuole. Io me lo tengo per me, ma il dato storico, è che questo famoso periodo, durato anni, dell’isolamento professionale di Falcone, vede fra i coprotagonisti, non l’aspetto becero soltanto della politica collusa con la mafia. No, anche di un pezzo dell’antimafia. Devo dire la verità, con una differenza che non va sottovalutata. Quell’esposto era firmato, chi lo ha fatto si è assunto la responsabilità. La prima firma era dell’attuale sindaco di Palermo” (ndr: si riferisce a Leoluca Orlando)
A questo punto l’ultima considerazione riguarda il dogma dell’infallibilità dei movimenti antimafia. L’antimafia non può diventare una chiesa con dei gran sacerdoti custodi di santi e di verità non basate su una rigorosa analisi della realtà. Comunque ci si chiami e qualunque storia si abbia alle spalle. La memoria è una grande responsabilità. Tuttavia, continuare il cammino di qualcuno che si è dimostrato “grande” non può significare solo ripercorrere i suoi passi, ma avanzare nel cammino. E nell’anno orribile dell’antimafia, non si dovrebbe dimenticare che degli errori sono stati commessi anche in tempi non sospetti. Le commemorazioni da tempo hanno perso il loro vigore, ma la mia sensazione è che quest’anno lo Stato voglia investire anche più energie del solito, perché da più parti si avverte la sensazione di esorcizzare quest’anno orribile. In qualche modo di farlo dimenticare, attraverso il ricordo di qualcos’altro, di qualcun altro. Per chiudere con l’eredità di Falcone, l’ultima potrebbe essere questa: gli uomini sbagliano, gli eroi erano uomini, chi trasforma gli eroi in pupi da esibire nelle tante magliette e rappresentazioni di rito, li priva della loro umanità.
Tratto da scomunicazione.wordpress.com – di Gianpiero Caldarella