Viviano e sua madre si ritrovarono ben presto senza “il capo famiglia”, cioè il papà che di professione faceva il ladro, ammazzato in seguito ad una rapina «perpetrata ai danni della persona sbagliata», alla giovane età di ventidue anni.
Da quel giorno, nonostante l’esistenza dei due pare stravolgersi drasticamente, la vedova continua la sua carriera come cameriera prima e donna delle pulizie dopo, all’Agenzia Ansa di Palermo, dove riuscì a trovare un impiego per il figlio come fattorino. La vita del giovane adolescente cambia totalmente veste dal giorno in cui non riuscì a portare a termine la sua vendetta, ovvero uccidere l’uomo che gli strappò via suo padre.
In quel periodo comincia a scrivere per l’Ansa, abbandonando per sempre la pistola per sostituirla con un’arma più potente e più piccola, di soli di 10 cm, la penna, che gli ha permesso di scrivere le cronache più nere del Paese, con degli ideali fissi di Giustizia e Legalità e con la passione per il giornalismo sempre più forte. Voleva dimostrare agli altri che cambiare il proprio destino è una scelta possibile, coraggiosa e responsabile. La mamma, ridotta ormai in pessime condizioni fisiche, sebbene i numerosi inviti da parte del figlio a congedarsi perché ci avrebbe pensato lui a mantenerla col suo nuovo stipendio, decide di non allontanarsi dalla propria indipendenza. In più occasioni ha addirittura lucidato la scrivania del ragazzo: un modo per stargli accanto e tenerlo d’occhio. Qualche anno dopo, Francesco, lavora anche per l’Ora di Palermo e il Giornale di Sicilia.
Le sue “confidenze” con i boss, vecchi «compagni di merenda» – come li descrive lui – gli hanno permesso diverse volte di lanciare alcuni scoop, come la morte del collega Mauro de Mauro raccontata da Francesco Di Carlo, all’epoca uno dei reggenti di Cosa Nostra; l’omicidio del Vice Brigadiere Filadelfo Aparo, lentinese in servizio a Palermo, con testimonianze inedite; l’operazione alla prostata di Bernardo Provenzano a Marsiglia. E poi ancora, la scomparsa del poliziotto Emanuele Piazza, uno degli agenti assunti dal Sisde per dar la caccia ai latitanti mafiosi e l’uccisione di Pio La Torre e Dalla Chiesa nel 1982, anno in cui si formò, tra le altre cose, il Pool Antimafia di Caponnetto, con i giudici Falcone e Borsellino.
Il suo curriculum si contraddistingue anche per l’amicizia con Peppe D’Avanzo e con Mario Francese, uno dei suoi primi maestri. Da killer mancato a cronista di mafia, oggi collabora con il quotidiano “La Repubblica”, per il quale cura diverse inchieste. Nel libro si rivivono gli anni che hanno caratterizzato le terribili guerre di mafia comprese quelle del ’90, il maxi-processo nell’aula bunker dell’Ucciardone, le grandi confessioni dei pentiti, l’arresto di Brusca, le rivelazioni sulla trattativa tra mafia e Stato.
All’incontro di Lentini hanno preso parte, oltre agli alunni dell’I.T.E. “Alaimo”, quelli delle classi quinte del Liceo Artistico “Nervi” e del Liceo Scientifico “Vittorini”, con la partecipazione dei dirigenti scolastici, rispettivamente Giuseppina Sanzaro e Giovanni Bonfiglio. A Francofonte, invece, oltre ai ragazzi e docenti, le autorità militari, il Sindaco di Francofonte, Salvatore Palermo assieme al comandante della Polizia Municipale, il presidente dell’associazione antiracket di Francofonte, Antonio Di Pietro e Mario Caniglia, il contadino di Scordia che da sedici anni vive sotto scorta perché minacciato di morte dalla mafia.
Per concludere la sua visita a Lentini, Francesco Viviano è stato accompagnato da Salvo di Salvo presso l’aula Falcone del Liceo Classico “Gorgia”, all’interno della quale sono custoditi i mobili che sono appartenuti al magistrato Giovanni Falcone, negli anni in cui svolse l’incarico di Pretore a Lentini, dal 1965 al 1967. Ad accoglierlo la prof.ssa Rita Privitelli.
Danilo Daquino
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